Che cosa succederà in Italia il 4 dicembre, il giorno del referendum costituzionale? Siamo entrati negli ultimi giorni di campagna elettorale, quando non si possono pubblicare sondaggi e l’atmosfera politica si sta scaldando, il dibattito non è più confinato ai giornali o ai frequentatori dei social network e si comincia a parlare del referendum e delle possibili conseguenze di una vittoria del Sì o del No un po’ dappertutto. L’aumento dell’interesse per il referendum potrebbe per prima cosa alzare il livello di partecipazione rispetto a quello che era stato ipotizzato dai sondaggi. Ma come finirà?
Secondo gli ultimi sondaggi la partita è sostanzialmente chiusa a favore del No: in tutte le rilevazioni, che prevedevano un’affluenza ai seggi di circa il 50% dell’elettorato, il fronte del No era davanti in una forbice percentuale che partiva da pochi punti percentuali in più fino ad arrivare al 10%. Nel fronte del No si intrecciano elementi di critica nel merito alla riforma a considerazioni più politiche legate alla necessità di votare contro il governo Renzi nella speranza di una crisi di governo dopo il referendum. Le critiche nel merito arrivano da fronti diversi perché, in estrema sintesi, c’è chi a sinistra è contrario all’abolizione del bicameralismo fatta in questo modo e chi, soprattutto a destra, considera invece troppo morbida la riforma e vorrebbe l’abolizione vera e propria del Senato. Ma è difficile che l’esito finale del voto sia determinato da un’analisi oggettiva del contenuto della riforma perché nelle ultime due settimane entreranno in gioco fattori politici, psicologici e forse persino sociologici e saranno principalmente questi fattori a decidere la partita.
Se prevarrà ad esempio l’elemento politico del voto anti-sistema che ha già avuto la meglio con la vittoria della Brexit in Gran Bretagna e con la vittoria di Donald Trump alle elezioni americane il risultato a favore del No è segnato. Se vincesse il No significherebbe che il fronte anti-sistema (da intendersi come anti-governo) è così forte che per dare la spallata è disposto a tenersi il sistema, inteso come l’attuale bicameralismo perfetto e il Senato con 315 senatori.
Ci sono però alcuni elementi che potrebbero contribuire a rendere incerto il finale di partita. Il primo fattore è che il numero di indecisi rilevato dai sondaggi è ancora altissimo e lì dentro potrebbe annidarsi quella che i media chiamano la maggioranza silenziosa, un elettorato moderato e trasversale che si mobilita solo negli ultimi giorni del voto e che finora non ha dato indicazioni utili a chi faceva ii sondaggi. Esiste ancora questo blocco trasversale o la lunga crisi economica lo ha definitivamente frammentato? Lo si capirà solo la sera del 4 dicembre.
Un altro fattore che può influire a mutare il quadro finale è il voto degli italiani all’estero, circa 4 milioni gli aventi diritto all’ultimo referendum in Italia, quello sulle trivelle. Anche nell’eventualità che solo una parte di questi vadano a votare i numeri restano molto alti e piuttosto importanti. È molto probabile che chi vive all’estero sia più slegato dalle dinamiche politiche contingenti nel Paese e che voti principalmente riflettendo sul merito del quesito referendario.
Infine c’è un ultimo elemento che potrebbe determinare qualche spostamento dell’ultima ora: la preoccupazione per le conseguenze sul proprio portafoglio di un quadro di instabilità politica ed economica con l’aumento dello spread, dei tassi di interesse e così via, una situazione che gli italiani hanno sperimentato su se stessi nell’autunno del 2011 quando ci fu il traumatico passaggio di consegne tra Silvio Berlusconi e Mario Monti.
Il finale di partita non è dunque scontato ma una cosa è abbastanza chiara, almeno a giudizio di chi scrive: non è vero che il 5 dicembre in un caso o nell’altro non cambierà niente. Questo voto è uno snodo fondamentale per il Paese e lo sarà qualsiasi sia l’esito della consultazione.
Olivio Romanini, 43 anni, nato a Parma, tre figli, vive a Bologna. Giornalista, laureato in Scienze Politiche, è il caposervizio della politica della redazione bolognese del Corriere della Sera. Con questo articolo inizia la collaborazione con La Voce di New York