Consideriamo quello che sta accadendo intorno al Movimento 5Stelle, e alla sua candidata alla carica di Sindaco, l’Avv. Virginia Raggi. Non ci sono ragioni per dirne male, o bene. Allo stato, sarebbero solo pregiudizi di segno opposto. E’ una figura nuova, sconosciuta fino a qualche settimana fa, e tutto quanto potrà essere trasmesso nei mesi a venire sul suo conto risulterà inevitabilmente effimero e incompleto. L’unico elemento saliente sembra sia stato la sua esperienza come praticante avvocato nello studio Previti. Chiacchiere, insomma. E allora? Allora si guarda alla proposta politica, ovviamente. Ed è qui che la discussione politica, cioè di tutti, svela la sua sostanza di cicaleccio per pochi.
Il fatto saliente, quanto al M5S a Roma, è il patto che i candidati (non solo alla carica di Sindaco, ma anche a quella di consigliere comunale) devono sottoscrivere con la Casaleggio&Associati s.r.l.. Naturalmente se ne è scritto, circa un mese fa, quando la notizia si è appresa. Fra poco vedremo come.
Il patto prevede una figura esterna alle istituzioni, “lo staff coordinato dai garanti del Movimento 5Stelle”. Un organo di un’associazione di diritto privato. Tuttavia esso decide dell’adesione o del grado di adesione, ad opera del Sindaco o del consigliere eventualmente eletto, alle direttive dello Staff medesimo. “Convinta adesione”, sono le parole usate. Non si tratta di moral suasion, magari rozzamente indotta: “impegno etico alle dimissioni”, si legge nel patto. Perchè, com’è noto, è prevista una clausola penale di 150.00 euro a carico di chi si discosta dalla volontà dello Staff, a titolo di “danno all’immagine” del M5S. Oltre che l’obbligo di dare corso ad una lettera di dimissioni firmata in bianco.
“Le proposte di atti di alta amministrazione e le questioni giuridicamente complesse verranno preventivamente sottoposte a parere tecnico-legale a cura dello staff coordinato dai garanti del Movimento 5 Stelle”. Art. 2 del patto. Appalti pubblici, gestione delle municipalizzate, piano regolatore, revoca di un assessore, per dire.
“Il Sindaco, gli Assessori e i consiglieri del M5S dovranno operare in sintonia con i principi del M5S, con gli obbiettivi sintetizzati nel programma del M5S per Roma Capitale, con le indicazioni date dallo staff coordinato dai garanti del Movimento 5 Stelle”. Art. 3. Parere. Indicazioni. Volontà.
Il principio, primo e unico, dunque, è quello di un’adesione muta e indiscutibile (“impegno etico alle dimissioni”) ad una serie di ordini elaborati da pochi per molti. In vista di uno scopo mai chiaramente definito (il programma sempre e unilateralmente reinterpretabile dallo Staff), e che in realtà si definisce solo in relazione all’insindacabile potere di disposizione di un comitato di vertice.
E “i cani da guardia della democrazia”? In primo luogo, si è generalmente presentato il fatto non come quello che definisce e assorbe ogni altro aspetto della proposta politico-amministrativa del M5S (concernente il programma, i candidati e altro); ma come una questione fra le altre.
In secondo luogo, quasi tutti i commentatori, e tutti, si badi, si sono autopresentati come critici, hanno voluto rassicurare gli eventuali perplessi che nessun tribunale accoglierà una simile domanda. L’assenza del c.d. vincolo di mandato, in generale, si identifica alla libertà della rappresentanza democratica in quasi tutti gli ordinamenti liberi (anche se si è fatto notare che in Portogallo non è così). Inoltre, il Regolamento del Comune di Roma ribadisce, per i suoi organi elettivi, lo stesso principio. Dunque, non c’è motivo di preoccuparsi.
Non è così. Il patto non è una questione fra le altre. Intende definire il modo di agire e di essere del Movimento. Il patto è “la” politica del M5S. Nell’occasione delle elezioni capitoline, il M5S ha espresso, con chiarezza inusitata e, fin qui, inedita, la sua visione politica. Cioè, come dovrebbe essere ordinato lo Stato. E lo ha fatto più chiaramente che con le espulsioni; o le vaghe e solo rumorose consultazioni on line; o l’abbattimento per “sospetto” di un sindaco legittimamente eletto (caso Quarto Flegreo); o le intromissioni del medesimo Staff nella posta elettronica di parlamentari della Repubblica.
Quella che traspare dal patto per le elezioni amministrative di Roma è una filigrana di tipo squisitamente sovietico: comitati privati che ordinano, espellono e sanzionano. Il Partito nello Stato, il Partito sullo Stato, il Partito è lo Stato. Ma viene degradata, dal circolo benpensante in cui anche la critica è stilizzata, a contrappunto di un minuetto unitario, ad argomento di conversazione fra gli altri. Il tribunale rigetterà: come fosse una bega di condominio.
Nelle aspirazioni del M5S, il Partito, anzi, una società commerciale, dispone delle istituzioni in termini formali e legittimi, e non per alterazione della dinamica democratica (c.d. partitocrazia). Sia l’On. Roberta Lombardi (autrice del patto in nove punti: sono nove, e non dieci, perchè dal n.7 si passa direttamente al n. 9), che l’On. Luigi Di Maio, hanno anzi rivendicato l’iniziativa: “Non ne possiamo più di questi eletti con noi che passano con il PD”. Se “passano” in così grande quantità, forse dovreste interrogarvi di più e meglio; in ogni caso, spetta al Popolo Sovrano, non a voi intervenire (non dicevate di essere una specie di Maggiordomo del Popolo?). A tempo e a luogo. E a modo.
Ma il punto politico più disarmante è quello che ne hanno detto le altre forze politiche. O che non ne hanno detto. Per es., Francesco Rutelli, che nel centro-sinistra di Roma mantiene una forza di prim’ordine, oggi ci ha tenuto ad ammonire che “se i 5 stelle vogliono riuscire, devono proporre un’alleanza con il governo nazionale di Matteo Renzi”. E null’altro. Un’altra celebre candidata a Sindaco, l’On. Giorgia Meloni, ancora ieri ha aggiunto che “al ballottaggio voterei Raggi”. Il cuore ha ragioni che la ragione non intende. Sappiamo.
Alta strategia, probabilmente. O, forse, solo mediocrità.
A chi guarda sembrano solo le movenze stanche di un minuetto in cui basta dire a uno “fascista”, o “comunista”, e lo sparito si apre, fuori dal tempo, fuori della realtà. Mentre la sostanza di quelle parole, minacciosa, plumbea, prende corpo, fra una pilotata indifferenza, sotto insegne che si vorrebbero di libertà.
Forse l’abbiamo già visto questo minuetto, già sentito. Proprio a Roma. Quasi un secolo fa.