Si è dimesso il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Maurizio Lupi. Non è persona sottoposta ad indagine, ma persona sottoposta ad insinuazione che, in Italia, produce effetti analoghi, e senza neanche scomodare il codice. Perciò si è dimesso. L’indagato più noto, l’ingegnere e architetto Ettore Incalza, è accusato di essere l’artefice di un “sistema corruttivo”. Tav, Grandi Opere. Dal “sistema prostitutivo” brianzolo al “sistema corruttivo” che “discese da Fiesole ab antico”, nelle indagini da copertina è sempre più uno scoprire razionalità totali, tuttavia totalmente pervertite. Anche nel caso fiorentino la perversione viene dal vecchio Mammona: il denaro, sterco del demonio. Misture biblico-hegeliane.
Ma il punto, come sempre con le parole, scava molto più in profondità di quanto appaia. Perchè svela la realtà, diciamo: culturale, delle indagini penali in Italia. Che sia una realtà ormai consolidata non esime dalla critica. Anzi.
Le indagini della magistratura cercano (dovrebbero cercare) singole e personali colpe. Per la ragione semplice quanto basilare che la responsabilità penale è personale. Se si ritiene vi siano complicità, materiali o ideative, le colpe si espandono. Uno fa il palo, un’altro sfodera la pistola e il terzo dà l’informazione: fatto unico a tre teste. E si può osservare che i fatti criminosi più gravi, proprio per essere più complessi, sempre richiedono il coinvolgimento di più persone. Giusto. Ma come mai, allora, le tirannie giudiziarie, dalle inquisizioni ecclesiastiche a Stalin, fino ai Tribunali Speciali del Fascismo, hanno fatto incetta di fattispecie associative, si sono erette sul riferimento ad una stabile e preliminare “dimensione collettiva”, da colpire “in quanto tale”? Perchè il crinale fra la complicità nel fatto e il “sistema” rarefatto è sottile: pericolosamente sottile.
Per varcarlo ci sono due modi, semplificando: o si “proclama”, con atto solenne, fra il tripudio delle fanfare, un Nemico Pubblico (l’Infedele, il Controrivoluzionario, il Comunista) e questo annuncio ha un valore costitutivo, serve a fondare un’identità politica e comunitaria (“Noi”, “loro”); e allora “i gruppi”, le “consorterie”, “le associazioni” diventano il canale di raccolta della propaganda, che riduce l’intero discorso pubblico, cioè politico, alla dinamica amico-nemico. Oppure si può varcare quella soglia giorno per giorno, quasi inavvertitamente, non solo senza adunare folle sotto un balcone, ma anzi mentre ciascuno crede di godere della sua libertà democratica e della sua pienezza contemporanea. Senza fanfare, ma anzi invocando la Costituzione e la Legge.
E così torniamo a Lupi. E a Renzi. Queste dimissioni non sono gravi perchè sia risultato che Lupi era venuto, da Ministro, a miracol mostrare; o perchè il criterio della “opportunità politica” è troppo sfuggente e ambiguo, un modo per dire e fare tutto e il suo contrario, senza mai offrire uno straccio di ragione. No, queste dimissioni sono gravi perchè segnano una resa, mascherata da inarrivabile strategia.
La resa politica di Renzi, che anzichè porre il problema politico dell’uso e dell’abuso delle intercettazioni, si accoda alla catena che dai brogliacci giunge fino alle redazioni, ora diramata anche su Palazzo Chigi; che anzichè piagnucolare sugli “schiaffi ai pubblici ministeri”, poteva replicare con il tema di un CSM che non induce a dimettere nessuno, e sanziona condotte infinitamente più gravi di quelle del Ministro Lupi con la miseria di uno scappellotto o di una gita fuori porta; che anzichè affrontare l’indegno coacervo normativo dei rapporti fra privato e Pubblica Amministrazione, lascia ristagnare quest’area grigia, in cui l’azione penale è un obbligo ma non è un obbligo, l’uso può essere abuso ma anche no, la rilevanza penale della condotta è materia esoterico-cabalistica, e l’attività d’impresa tende a risolversi in un male in sè.
E’ sconveniente che il figlio dell’ex Ministro abbia lavorato per qualche mese presso un’azienda contraente del Ministero e abbia ricevuto un regalo costoso? E’ sconveniente, perchè la funzione pubblica si interseca con un interesse privato.
Benissimo: qualcuno, a proposito di interferenza fra pubblico e privato, per esempio, ricorda richieste (o richieste non richieste) di dimissioni del dott. Esposito (figlio), della Procura della Repubblica di Milano, quando risultò che frequentava la nota Nicol Minetti, imputata dal suo stesso Ufficio, e mentre era in corso il processo? No. Qualcuno, a proposito di “opportunità politica”, ricorda richieste (o richieste non richieste) di dimissioni quando risultò (ancora da fonte giudiziaria) che il Presidente della Regione Puglia, Vendola, sghignazzava con il Rappresentante della famiglia Riva, delle cui capacità inquinanti avrebbe a lungo strologato senza pudore? No.
E’ ovvio, pertanto, che il Presidente del Consiglio ha voluto queste dimissioni. Non c’entra l’opportunità nè la vischiosità del piano pubblico/privato. Poco qui importa se lo abbia fatto per ridimensionare il suo già ridimensionato alleato centrista; o per vellicare certa sua vocazione tribunizia; o per sommare un ingrediente alla pastura con cui ingraziarsi l’insaziata canea forcaiola, dopo le nuove e maggiori pene su corruzione e falso in bilancio o l’estensione della prescrizione.
Quello che conta è che abbia rinunciato ad un discorso politico sul terreno più qualificante per ogni leader negli ultimi vent’anni: quello dell’equilibrio fra i poteri dello stato, e della barbara normalità del character assasination, unica, vera parola decisiva nella comunità dei consociati, che può solo applaudire alle variabili e imperscrutabili scelte di un oligarchia sottratta ad ogni controllo.