Il Parlamento ha approvato definitivamente la legge di stabilità mentre osserviamo che i dati recentemente comunicati dall’Istat indicano che la ripartenza dell’economia italiana è ancora debole e che ogni facile ottimismo è fuori luogo. Sicuramente c’è qualche segno di fine caduta, ma gli indicatori dei diversi settori continuano ad essere contrastanti, possono al massimo essere considerati timidamente positivi. Inoltre, il PIL stimato del +0,7% annuo, per il 2014, è troppo modesto per permettere al Paese di tornare ai livelli pre-crisi cancellando gli effetti della recessione con ricadute significative sul livello dell’occupazione.
In quest’ottica, la legge di stabilità è soltanto un inizio per risanare e se non saranno affrontati e risolti definitivamente i problemi strutturali dell’economia e del sistema Italia, non potrà esserci né crescita né ripresa. Stimoli troppo bassi e rigidità del sistema economico con il credito che non arriva alle imprese che ne avrebbero bisogno per investimenti, rappresentano un fardello per il rilancio. Solo un governo che opera in prospettiva ed in stabilità potrà rimuoverli.
E’ fuori da ogni dubbio che molti cambiamenti ed interventi, a partire da una seria revisione della spesa pubblica, porteranno benefici soltanto se vanno alla radice del problema – per moltissimo tempo abbiamo assistito a interventi tappabuchi e, come tali, non potevano dare i risultati promessi. Stiamo affrontando i nodi della crescita, cioè il rilancio della domanda interna e l’export e sicuramente ci sono segnali positivi sul fronte della competitività del costo del lavoro (cuneo fiscale). Abbiamo bisogno di stabilità politica a medio-lungo termine per iniziare subito con gli interventi inderogabili. Tuttavia, se si può dire che nel complesso si sta svolgendo un’azione positiva non possiamo essere sicuramente soddisfatti per quanto concerne l’azione del Governo circa gli italiani all’estero.
Nel bilancio pubblico, la voce “Italiani all’estero” ha già subito numerosi tagli in passato, potremmo citare la lingua e cultura italiana, l’assistenza, la mancanza di fondi per le elezioni di Comites e CGIE, per non parlare dei pesanti tagli che la rete consolare ha già subito negli ultimi anni.
E’ vero! E’ stato dato qualcosa al Senato, ma non basta e non basta se si vuole ragionare in termini di sistema anche nella prospettiva di Destinazione Italia. Anche se abbiamo colto un piccolo segnale nel fatto che i comuni possono attingere al fondo di solidarietà comunale di 500 milioni di euro per attivare eventuali detrazioni in favore dei cittadini italiani iscritti all’AIRE, non basta perché è solo facoltativo dei comuni. Eppure noi eletti all’estero siamo stati costruttivi, disponibili a riflettere sulle priorità da porre in cantiere ma abbiamo registrato molta chiusura.
Noi eletti all’estero rappresentiamo circa 4 milioni e 341 mila cittadini italiani iscritti all’Aire, una vera e propria Regione fuori dai confini nazionali, ma una regione che gode di scarsa considerazione nonostante abbia sempre avuto una attenzione privilegiata per la propria terra di origine nei momenti del bisogno. Siamo cittadini disponibili a contribuire al rilancio del nostro Paese per farlo uscire dalla crisi con i propri investimenti, con il turismo di ritorno ma si è sordi nel non voler riconoscere la parità di trattamento fiscale degli Italiani all'estero, iscritti all'Aire, con quelli residenti in Italia sulla prima casa.
Addirittura abbiamo registrato una chiusura completa anche di fronte a quelle richieste emendative inerenti i carichi familiari e quest’anno per la prima volta non saranno possibili le detrazioni, un passo indietro.
Abbiamo chiesto di valorizzare l’associazionismo che si occupa di emigrazione ma anche qui: la risposta è stata NO! In politica non è possibile dire sempre No, soprattutto quando le richieste sono ragionevoli e volte al bene comune ed allora date un segnale di attenzione perché la corda, il legame umano e culturale tra le comunità emigrate e l’Italia delle Istituzioni, si sta rompendo. In quest’ottica la chiusura di consolati come Newark, Filadelfia e Detroit sono un colpo duro per le nostre comunità emigrate e non rispondono ad adeguati criteri di razionalizzazione visto il significato culturale, economico e politico che tali aree del mondo rappresentano.
E’ necessario fermare la manovra di ristrutturazione della rete diplomatico-consolare e di riconsiderarla nel suo complesso. In fondo, questo significherebbe semplicemente riconoscere che queste comunità sono una grande, seppure silente, ricchezza per l’Italia. Esse potranno essere il vero motore di Destinazione Italia.