Quando, a Maggio, si insediò il Governo Letta, se ne poteva cogliere un duplice significato politico (per chi volesse, Fuori dal coro del 2 Maggio).
Il primo riguardava la maggioranza di allora: essenzialmente connotata dalla presenza di Berlusconi. Conseguentemente, la valutazioni sul merito politico, tratte dal sedicente merito giudiziario, sembravano tutte sconfessate, posto che non si governa con uno stupratore, mezzo mafioso, corruttore, evasore fiscale, e così via. Specie considerando che all’alto compito si apprestava a concorrere il principale partito avversario. Sicchè, il Presidente Letta pareva porsi su un crinale delicato ma capace di fecondi sviluppi: ridimensionare l’indebita pressione prodotta dall’Ordine Giudiziario, e dalla lobby editorial-finanziaria di sostegno, sui legittimi poteri dello Stato Repubblicano: il Potere Legislativo, l’unico a cui compete il fondamentale attributo della Sovranità, e il Potere Esecutivo, che ne è il mandatario fiduciario.
Condurre alla sua fine la c.d. “Guerra dei vent’anni” avrebbe, da un lato, permesso di avviare l’imprescindibile ripristino dell’equilibrio costituzionale, dall’altro, consentito di valutare meriti e demeriti politici di tutti, e di Berlusconi in primo luogo, senza la distorsione indotta dalle valutazioni necessariamente asfittiche e rigidamente oppositive che si formano all’ombra dei patiboli: se rischio di perdere tutto e, con me, quelli che mi votano, allora mi difendo muro contro muro. Fra i maggiori guasti alla dinamica democratica prodotti dalla giustizia politica, questo non è certo il minore.
Guasto pericolosissimo. Tanto vero che, mantenendosi questo interessato blocco delle coscienze e della vita pubblica, nel perdurare di un Italia che si è voluta costringere sulla linea del patibolo, ai fautori di questa pressione non è rimasta che la maledizione e la liquidazione dei milioni di cittadini che compongono questa Italia. La linea Scalfari-Palasharp: votano Berlusconi (e ieri qualche altro diverso da noi) non perché esprimono una posizione politica, ma perché sono una massa di delinquenti che vogliono delinquere come il loro capo. Violenza del linguaggio, rozzezza dell’analisi, infantilismo del livore, sono di chiara estrazione totalitaria (Hitler&Stalin, secondo la nota sintesi di Hanna Arendt). Accreditata la maledizione, sta seguendo la liquidazione.
Nel contesto di scelte politico-economiche di matrice europea, recessive e a dominanza teutonica (Obama è arrivato all’11% del rapporto Deficit-Pil, e ha imposto che i soldi pubblici dati alla banche finissero anche su famiglie ed imprese; per uscire dal Credit-Cranch: e c’è riuscito), l’effetto micidiale della crisi è stato dirottato lucidamente su alcuni ceti e alcuni gruppi economico-sociali: le proteste dei c.d. Forconi, l’emigrazione non più solo qualificata dei giovani sotto i trent’anni, la mutilazione feroce di centinaia di piccole e medie imprese, il massacro della Domanda Aggregata (investimenti e consumi), registrano un fenomeno che, per la precisione calcolata dei suoi confini e la ferocia dei suoi effetti, assomiglia più ad un Pogrom che ad un anonimo “effetto economico”.
Quei ceti maledetti sono stati passati al Napalm, e hanno sopportato da soli falciature del loro reddito nell’ordine del 70-80%, quando non è intervenuto il suicidio a semplificare le cose.
Nessuno, che non sia bugiardo in modo abietto, può negare che il lavoratore dipendente ignori la quasi totalità di questo scempio organizzato e assecondato. Se lavora nel settore privato, può contare su una vasta rete di sostegni pubblici individuali, con cui sopravvivere; se lavora in quello pubblico, alla parola crisi, immagina di potere interloquire ma, in realtà, non sa neanche di che si parla. Sempre che si tenga presente che qui si discute di distinguere la sopravvivenza dalla mortale indigenza. Ogni obiezione che volesse scantonare da questo ingombrante criterio (per es: ma neanche loro navigano nell’oro, e così via) sarebbe solo cinica e indegna.
Questo primo significato del Governo Letta è clamorosamente venuto meno; il mio auspicio di allora si è rivelato fallace e, ciò che conta, fallace e inconcludente è stata la scelta di allinearsi a quello squilibrio costituzionale e ai suoi fautori; irresponsabile e immorale assecondare il massacro selettivo cui ho accennato; geopoliticamente fariseo e pusillanime accreditare l’equivalenza Europa-Bruxelles, Politica Estera-Patto di Stabilità. L’Italia esiste e questo Governo ha offerto il nostro sangue ai competitors o nemici che dir si vogliano e, peggio del peggio, ha inimicato gli italiani reciprocamente: distinguendo tra figli e figliastri con mentecatto spirito di fazione ed infima volontà autoconservativa.
Il secondo significato riguardava il PD: dopo la deriva sull’elezione di Napolitano, si poteva ritenere che non fosse finito il PD, ma “una certa sinistra”: quella abusiva, cresciuta sugli equivoci del dopo-Moro (sofismo moralistico e antimodernismo programmatico), e fattasi zerbino di quel c.d. ceto intellettual-lobbistico-finanziario, oggi visibile e operativo nel suo autentico profilo totalitario. Uno zerbino che, come tale, ha alimentato mediocrità politica e cretineria intellettuale. Questo secondo significato è oggi una speranza e, com’è noto, si chiama Matteo Renzi.
E una speranza nella speranza è anche poter pensare di farcela con le nostre forze più fresche ed entusiaste: senza miseramente esigere troppo da chi, alle soglie dei novant’anni, bene o male ha già dato.