Silvio Berlusconi è "decaduto" dal Senato, finisce il Ventennio berlusconiano? Di questo si discute adesso in Italia e chissà per quanto ancora. Ma tra quegli americani che in questi anni hanno per mestiere osservato gli affari italiani, non tutti sono convinti che l'Italia abbia vissuto in un "regime" dove il Cavaliere aveva assoluto controllo, come se fosse stato il Ventennio mussoliniano. Anzi, per l'osservatore americano che rilascia raramente dichiarazioni ai giornali italiani perchè, ci dice, in passato hanno troppo spesso riportato strumentalmente le sue dichiarazioni, in Italia nessuno ha veramente "comandato". In questi anni, secondo Burnett, c'è stata semmai una costante lotta tra giustizia e politica a scapito del futuro delle riforme sempre più necessarie per la Repubblica degli italiani.
Quindi, qualche lettore soprattutto in Italia si tenga forte, Burnett è il teorico americano di quello che ha ripetuto Berlusconi in questi anni, che dei magistrati hanno cercato di far politica "con altri mezzi". Non sarebbe quindi questo solo il grido disperato e interessato di un imprenditore sceso in politica e per anni braccato dai magistrati con uno straordinario numero di processi a suo carico, ma le conclusioni a cui ben prima era giunto uno studioso del prestigioso Center for Strategic and International Studies di Washington, quello di Kissinger e Brzezienski per intenderci.
Stanton H. Burnett, che de La VOCE di New York si fida e ci concede questa intervista, è l'autore del libro The Italian Guillottine: Operation Clean Hands and the Overthrow of Italy's First Republic, (Rowman & Little Field, 1998), saggio preparato quando Burnett era il Director of Studies del CSIS di Washington. Quando 15 anni fa intervistai Burnett la prima volta, finii col beccarmi una denuncia da Silvio Berlusconi. Accadde che dopo aver intervistato il politologo americano, che teorizzava proprio quello che poi il Cavaliere farà suo, cercai e ottenni la replica dei magistrati milanesi. Dopo quella intervista al pool di Milano, era l'estate del 1998, il Cavaliere indignato in diretta tv minacciò di querelare "il magistrato Pier Camillo Davigo e il giornalista americano Stefano Vaccara…". Ero anche io finito, con Burnett, tra i due fuochi della guerra tra giustizia e politica in Italia.
Ma chi è Stanton Burnett? Ex professore universitario di scienze politiche e consigliere-attivista del Partito democratico americano, negli anni Settanta Burnett era stato assunto dal Dipartimento di Stato per monitorare certi paesi alleati che durante la guerra fredda erano considerati "a rischio" di una svolta comunista. In questo incarico Burnett lavorò sia alla NATO che all'ambasciata USA di Roma a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. Poi, dal CSIS di Washington, ha continuato a monitorare l'Italia, concentrandosi principalmente sul sistema giudiziario. Quando scoppiò Mani Pulite nel 1992, Burnett aveva già iniziato le sue ricerche. Nel 1998, queste produssero il "libro bomba" (con co-autore Luca Mantovani che aveva assistito Burnett nelle ricerche in Italia) in cui si sosteneva la motivazione "ideologica" di alcuni settori della magistratura, soprattutto la componente della corrente di Magistratura Democratica che, secondo il politologo americano, fin dagli inizi degli anni Settanta avrebbe teorizzato una rivoluzione politico-sociale in Italia da portare a termine "con altri mezzi", cioé quelli giudiziari.
"The Italian Guillottine", uscito negli USA e sponsorizzato dal CSIS, uno dei piu importanti "think tank" degli USA, non fu mai tradotto in Italia perchè, ci dice Burnett, le case editrici che lo presero in considerazione – che erano andate avanti anche con la traduzione – ebbero poi il terrore delle querele e ritorsioni da parte di alcuni magistrati italiani.
Qui ci preme sottolinearlo, il nostro interesse per le idee diffuse dall'autorevole studioso americano non è dovuto ad una condivisione delle stesse, come se le teorie del Dr. Burnett fossero "verità" incontrovertibili. Le sue sono tesi strutturate in un contesto di studi accademici e quindi sottomesse a continue revisioni. Ma, di questo ne siamo convinti, in un paese democraticamente "normale" queste idee avrebbero dovuto avere l'opportunità di essere pubblicate senza il pericolo di subire delle "ritorsioni". Su questo punto, sulla libertà di stampa e diffusione delle idee, l'Italia ci appare ancora come un paese "a libertà vigilata".
Ma queste tesi espresse nel saggio di Burnett pubblicato dal CSIS, sono state per anni anche il ritornello ripetuto da Silvio Berlusconi negli ultimi quindici anni, ed è anche per questo motivo quindi che ci sembra interessante conoscere il pensiero attuale del politologo americano che inventò l'espressione, analizzando la stagione di Mani Pulite dei primi anni Novanta, della "ghigliottina italiana".
Dr. Burnett, Berlusconi è stato cacciato dal Senato. Dopo aver perso la sua lunga battaglia con la giustizia italiana, la sua carriera politica è ormai giunta al capolinea?
"Se Berlusconi fosse un politico normale, ovviamente la sua carriera politica non avrebbe scampo. Ma Berlusconi non è un politico come gli altri. Lui rientra nella categoria dei cosidetti populisti, che non hanno mai avuto bisogno di mantenere una carica politica per poter continuare ad ottenere il consenso del loro popolo e quindi poter contare nello scontro politico in atto in un paese. Inoltre se si pensa che Berlusconi continua a mantenere il controllo su una buona parte dell'informazione italiana, sopratutto quella in tv, penso che rimarrà uno dei protagonisti della politica italiana, almeno fino a quando lui lo vorrà'".
Lei in passato ci ha dichiarato: "In questo scontro tra la politica e la magistratura la maggioranza del pubblico vuole una risposta chiara alla domanda: siamo in presenza, con Berlusconi, di un ricco delinquente, corruttore che merita di essere perseguito e condannato, oppure siamo in presenza di una frangia della magistratura eversiva, ideologicamente motivata che attacca un avversario politico e quindi un pericolo per la democrazia? Ma c'e' una terza possibilità, che si possa essere in presenza di entrambe le situazioni: siamo tutti abituati a vedere nei film western un duello tra chi porta il cappello nero e chi lo porta bianco, tra il buono e il cattivo, ma si dovrebbe pensare alla possibilità che entrambi, tra chi si spara addosso in questo scontro tra politica e giustizia, abbiano il cappello nero…". Poi in questi anni Berlusconi ha ripetuto che "certe toghe, infiltrandosi nel potere giudiziario, vogliono sovvertire la democrazia… ma io non mi faccio ghigliottinare". Ma il politico Berlusconi ora è stato "decapitato" da un processo. La ghigliottina è forse scattata? Nel novembre del 2013, con Berlusconi "decaduto" dal Senato, possiamo chiamare il Cavaliere lo sconfitto in questo duello? Hanno vinto i magistrati?
"Calcolare se i magistrati da me analizzati nel libro del '98 abbiano effettivamente vinto è un'operazione complicata. Dobbiamo tener conto che Berlusconi è sempre stato, per i magistrati dell'originale pool di Mani Pulite, una questione secondaria, un secondo fronte. La sua salita al potere è stata la non voluta conseguenza della loro dacapitazione della leadership politica (e parte di quella industriale) dell'Italia. Loro cercavano, usando la loro stessa espressione, di 'rigirare l'Italia come un vecchio calzino'. E per la maggior parte di questi magistrati, se non per tutti, quello che sarebbe dovuto rimanere di questa Italia trasformata sarebbe stata la predominanza della sinistra radicale (cioè quella che negli anni Settanta era a sinistra del PCI)".
Ma di questo scontro in Italia tra politica e giustizia ad alta intensità negli ultimi vent'anni, cosa rimane? Cosa è stato raggiunto?
"Gli obiettivi dell'offensiva dei magistrati non sono stati raggiunti. Il tono morale, le abitudini e le regole, la cultura politica, dell'Italia di oggi è notoriamente non diversa da quella della fine degli anni Ottanta. Il confluire di soldi alle finanze dei partiti politici avviene forse con più attenzione ora, e i partiti adesso per condurre le loro operazioni hanno budget più piccoli. Ma il vecchio calzino, puzzolente e con gli stessi buchi che devono ancora essere rammendati, resta ancora intatto. L'espulso Berlusconi non era il solo da biasimare per una certa politica italiana; molti di coloro che hanno voluto la sua decadenza hanno compiuto delle operazioni politiche e finanziare che probabilmente non potrebbero reggere a delle serie ispezioni e indagini da parte della magistratura".
Quindi anche i magistrati hanno fallito?
"Sicuramente i magistrati hanno fallito nella loro missione di favorire l'avvento di una politica di sinistra e di 'ripulire' la politica italiana dalla corruzione e il malaffare: oggi questa timida, moderata sinistra, forzata in una strana coalizione come unico modo per poter continuare ad avere una certa influenza nel governo, non puo' essere considerata quello che certi uomini d'assalto di Magistratura Democratica avevano in mente negli anni Sessanta e Settanta".
Ma se non hanno vinto i magistrati alla fine, allora chi ha vinto? E chi ha perso?
"Mentre lo scontro si evolveva, la spinta della loro azione presto portò ad una reazione della politica e quindi ad un bisogno da parte della magistratura di difendersi. Su questa reazione, si può dire che i magistrati hanno avuto successo. Il loro arrogante e scorretto uso di un sistema giudiziario già claudicante ha prodotto alcuni grandi titoli nei giornali ma ha anche esposto la straordinaria vulnerabilità dell'uso politico della loro azione per il quale i magistrati non hanno mai, in generale, dovuto rispondere. La voce di Berlusconi è rimasta la più forte in questa parte della lotta, ma non è mai stata efficace, perchè era sempre macchiata dalla convinzione diffusa che la sua preoccupazione principale fosse il suo interesse personale e il suo essere, alla fine, il leader degli 'immorali' ".
Secondo lei quindi i magistrati non hanno perso, ma la giustizia sì?
"La parte difensiva dell'azione dei magistrati, quella di difendere e preservare la loro abilità di calpestare le norme del processo comunemente accettate in Occidente, e quello di usare il loro unico (almeno rispetto alle moderne democrazie) livello di indipendenza per non lasciare la politica fuori dal sistema giudiziario, che era l'intenzione originale dei fondatori della Repubblica nata del dopoguerra, e invece poter continuare ad avere mano libera nell'essere impegnati nella lotta politica…. ecco questa operazione è stata, per i magistrati quasi un successo totale".
Quindi quello che lei definisce un tentativo di "golpe" avrebbe avuto successo?
"No. Nei risultati finali raggiunti dai magistrati, mi sembra che si possa dire che abbiano vinto per quanto riguarda lo scontro finale con Berlusconi e nella difesa della loro fortezza, ma, nella parte più generale, hanno fallito nel raggiungere gli obiettivi primari che si erano prefissati al principio (portare al governo la sinistra radicale, ndr). Infatti a non essere riformata alla fine è stata la giustizia italiana. Una riforma e trasformazione seria del sistema non è stata presa mai in considerazione da nessuna dalle parti in lotta. A perdere, quindi, alla fine è stata soprattutto la Repubblica italiana".