“Non faremo pubblicità con omosessuali, perché a noi piace la famiglia tradizionale. Se i gay non sono d’accordo, possono sempre mangiare la pasta di un’altra marca”. Guido Barilla, industriale, a La Zanzara, trasmissione di Radio24, due giorni fa.
“Non può essere concepito normale uno spot in cui i bambini e il papà sono seduti e la mamma serve a tavola”, Laura Boldrini, presidente della Camera, ad un convegno tenuto al Senato, due giorni fa.
La prima affermazione è liberale e democratica. La seconda, autoritaria e dispotica. Perché? L’industriale esprime una visione, un’idea: la sua. Gli antichi greci chiamavano doxa, opinione, quella proposizione che non esprimeva una verità incontrovertibile. Quest’ultima era epistème, conoscenza certa, immutabile, assoluta. In quell’ambito l'opinione, tuttavia, era assunta come alcunché di difettoso, proprio perché incapace di esprimere una verità assoluta. Il cristianesimo, eredita la tensione verso La Verità. A cominciare, com’è noto, da Galileo e da Bacone e, sontuosamente, con Cartesio, invece, il dubbio sistematico, il “ricominciare tutto da capo”, si pose come riflesso nel pensiero della rivoluzione copernicana. Il geocentrismo restituiva al Soggetto una centralità smarrita: La Verità non bastava più. Ad un uomo liberato, o meglio, che, d’allora in poi, avrebbe cercato via via di liberarsi dalla costrizione dell’Oggetto, unico e indiscutibile, all’uomo moderno, si sarebbe accompagnato il dubbio; il dubbio si sarebbe accompagnato al soggetto che lo esprime; il soggetto, all’alterità; l’alterità, alla pari dignità dei soggetti; la pari dignità, alla democrazia. Questa emancipazione avrebbe anche aperto la via ad un tormento nuovo e tenace, ma non sarebbe stata rinnegata.
Kant avrebbe poi precisato che l’uomo dubitante e il suo strumento, la Ragione, incorrevano in un limite insuperabile, “la cosa in sè”, che non si sarebbe mai potuta conoscere con quel solo strumento, pur prezioso e potente; Hegel avrebbe poi compiuto l’ultimo tentativo di superare questo limite, di fatto riconducendo, la “cosa in sé”, l’Oggetto inconoscibile e, per questo, incontrovertibile, entro il dominio dello Soggetto dominante, lo Spirito; ma il nucleo di quel primo ed essenziale azzeramento, il “ricominciare tutto da capo” di Cartesio, sarebbe rimasto per lungo tempo un punto di svolta definitivo. Ci sono io e ci sono gli altri. L’Oggetto non soverchia più.
Com’è altrettanto noto, sia da Kant, che volle riconfermare quel punto di svolta, sia da Hegel, che invece tentò di superarlo col suo ultimo, grandioso, edificio, variamente travisandosi entrambi, originarono i più vasti e atroci abomini (e loro sottoprodotti) del mondo contemporaneo. Da Kant, i deliri giudiziario-giacobini con la ghigliottina. A sinistra di Hegel, la sistemazione definitiva di ogni ingiustizia ad opera di Marx, con il compimento sovietico. A destra di Hegel, le palingenesi statualistiche e imperialistiche, con razze superiori, conquiste civilizzanti e il sangue necessario. La sintesi è brutale ma non inveritiera, per quanto possa non esserlo una sintesi.
Sicché, il “ci sono io e ci sono gli altri” sembrerebbe tornato, dopo i due secoli in cui quegli abomini presero il loro corpo storico, come la sola reale possibilità per vivere senza scannarci. Al netto di ogni perfezione gnoseologica.
Ora, le parole di Barilla, mentre affermano una loro visione, simultaneamente evocano quella altrui. Gli “altri”, inoltre, sono significativamente considerati non come mero riflesso inerte (ci sono gli altri, ma è come se non ci fossero), ma proprio mentre concretano il loro, “anche” il loro, essere liberi. Immaginandoli mentre scelgono di esprimere il loro dissenso col gesto simbolico (ma fino ad un certo punto, date le dinamiche delle economie di scala) di acquistare una diversa marca di pasta. Ci sono io e ci sono gli altri.

Laura Boldrini, presidente della Camera
Consideriamo invece le parole dell’onorevole Boldrini. “Non può essere concepito”. Lo stigma colpisce la stessa radice del pensiero, di cui si auspica l’inibizione già all’atto del suo farsi concetto, “concepito”, quindi parola espressa e sistemata. “Normale”. Non solo: non può essere “concepito” “quel” pensiero (quest’ultima frase, peraltro, e senza scomodare Freud, nel suo stizzoso compiacimento, sembra prepotentemente svelare sinistre connessioni presidenziali tra Gnoseologia e Ontologia), cioè la visione riassunta nello spot che presenta la madre e moglie in un atto di cura domestica; ma esiste un pensiero “normale”, che quella visione contraddice e che, pertanto, deve essere vietata nel modo più assoluto possibile: impedendone la stessa “pensabilità”. Il “Normale” ripesca l’Oggetto che sta prima e oltre il Soggetto. Il Normale riaccende le braci della Verità sotto la cenere del dubbio. Il Normale dà per ammesso un dio da difendere contro ogni eretico. E con ogni mezzo, perché la Verità non tollera dubbi, non tollera alterità, perché è una e una sola. Non “ci sono io e ci sono gli altri”, ma “ci sono solo io” che custodisco la Verità.
Ognuno vede con che fuoco stiamo scherzando, a furia di assecondare i trastulli del politically correct (il linguaggio, amorfo e corruttivo, e corruttivo perché amorfo, della Civiltà Della Tecnica, la nuova epistème, la nuova Verità). Non mi consola supporre che il nostro presidente della Camera non sappia quello che dice: sono evidenti la qualità della sua formazione e i sostrati delle sue conoscenze. Semmai questo conferma che l’autoritario ed il dispotico, cioè il volto storico di ogni Verità, sono tornati, assoldano vassalli in ogni dove e godono ormai di comune e lieta accettazione. Qualcuno lo chiama pensiero unico.
Non è la prima volta che succede, come dicevo. Ma neanche questo mi consola.