Ha avuto poco tempo Enrico Letta a New York per concentrarsi sulla politica estera e gli investimenti. Le scosse politiche contro il suo governo provenienti da Roma gli hanno guastato quei tre giorni in cui tra le Nazioni Unite, Wall Street e la Columbia University , il Premier italiano stava cercando di convincere il mondo che poteva ancora avere fiducia nelle capacità di ripresa economica dell’Italia e del suo ruolo in Europa e nelle aree di crisi in Africa e Medio Oriente. Invece una continua serie di scosse politiche provenienti dalla sua maggioranza, fino alle annunciate dimissioni dei parlamentari Pdl in caso di decadenza di Silvio Berlusconi, hanno non solo fatto tremare il governo, ma scatenato la furia del pur caratterialmente mite Letta.
Alla Columbia University, giovedì il premier italiano ha tenuto una conferenza stampa dopo aver condotto una lecture intitolata “European Governance and Italy’s Role” davanti ad una platea di centinai di studenti. Nel teatro dell’Italian Academy, ha iniziato una conferenza stampa che avrebbe dovuto toccare i temi internazionali della sua tre giorni a New York, con la rabbiosa accusa: “Ieri mentre mi accingevo a parlare all’Assembea Generale dell’Onu, l’azione istituzionale (del PDL e Berlusconi) non ha umiliato me, ma soprattutto l’Italia!”
La reazione scelta dal PDL per stringersi attorno al suo leader condannato annunciata mercoledì sembra portare ormai verso la crisi: l’improvvisa sterzata impressa da Berlusconi con l’annuncio delle dimissioni in massa di senatori e deputati ( lettere già consegnate ai capigruppo) giovedì ha provocato prima l’ira di Giorgio Napolitano, che ancora sperava in un possibile chiarimento del Cavaliere e che però non arrivava. E contemporaneamente la reazione di Letta che da New York chiedeva un “chiarimento” immediato nel Consiglio dei Ministri e in Parlamento, senza escludere l’ipotesi fiducia.
“Appena atterrato a Roma, domani mattina vado subito da… no prima mi faccio una doccia”, dice Letta provocando le risate dei giornalisti, ma riprende subito serissimo, cercando sempre la sua bussola di questi mesi: “Domani appena atterrato mi recherò da Napolitano per un chiarimento su come andare avanti”. Ha ancora un po’ di ottimismo, o finge di averlo: “Sono certo che riuscirò a convincere tutti sulla corretta priorità dei problemi in agenda”. In ogni caso, “serve un chiarimento nel governo e in parlamento: dove vogliamo andare? Proprio quando avevamo in progetto la legge di stabilità per il rilancio del paese… Ci vuole in chiarimento per capire su quali basi vogliamo andar avanti”. "Voglio decidere insieme a Napolitano la modalità migliore per avere questo chiarimento. Voglio che tutto accada davanti ai cittadini italiani, in modo che possano valutare, non voglio usare metodi da Prima Repubblica”.
Il premier continua a lodare l’azione di Napolitano: “Il presidente della Repubblica, e ho avuto conferma anche qui a New York, si conferma una guida, un punto di riferimento, una garanzia per il nostro paese. Condivido le sue parole dalla prima all’ultima”. Quindi l’avvertimento a Berlusconi: “Voglio che il chiarimento avvenga davanti ai cittadini italiani. Ognuno si deve assumere le sue responsabilità. La stabilità politica è necessaria per il nostro Paese”. Letta non esclude di chiedere la fiducia in Aula: “Le modalità le valuterò con Napolitano”.
Ma l’obiettivo dei messaggi da mandare da New York resta il capo del centrodestra. “Il principio ‘muoia Sansone con tutti i filistei’ non conviene a nessuno, nemmeno a Berlusconi. E sarebbe il disastro dell’Italia”, continua il premier. Interpellato sulla decadenza del Cavaliere, il premier cerca di contenersi e no esplodere e cerca ancora di comprendere:
“È assolutamente comprensibile che ci sia un momento di disagio e di profonda riflessione all’interno di un partito come il Pdl nato attorno ad una leadership. Ma bisogna separare le questioni”. Ma comprendere non significa avallare le accuse ai giudici di “colpo di stato”: “La comprensione per un certo momento di disagio non vuol dire che condivido chi dice che c’è un golpe. Non c’è nessun colpo di Stato, è una parola fuori luogo. L’Italia è uno stato di diritto”.
Letta non da il suo governo ancora per spacciato: “Non parlo di dimissioni o di altra maggioranza, mi fermo qui. Voi correte troppo”, risponde nel corso della conferenza stampa nel teatro dell’Italian Academy. “Abbiamo tante scadenze, abbiamo bisogno di un governo che affronti i problemi. Io so dove andare e lo dirò in Parlamento. A tutti i miei interlocutori ho detto che i risultati ottenuti sono il frutto di 4 mesi di lavoro in comune, di tutti i miei ministri, nel segno dell’unità. Sarebbe uno spreco interromperlo”.
E se a dimettersi fosse Napolitano, come già alcuni giornali danno per sempre più probabile? Quando lo chiediamo a Letta, lui a questa ipotesi proprio non ci vuole neanche pensare e risponde invece all'altra nostra domanda, sul perchè nel suo discorso all'Assemblea Generale dell'ONU l'Iran non è stato mai menzionato. (Dopo la conferenza stampa alla Columbia, Letta correrà alle Nazioni Unite dove con accanto Emma Bonino incontrerà il Presidente iraniano Hassan Rouhani, un incontro a cui abbiamo assistito alle fasi iniziali)
Era la prima volta che Letta veniva alla Columbia University, lo ha detto alla fine del suo intervento sull’Europa. Doveva essere una bella giornata tra gli studenti, invece gli è stata rovinata dalle notizie provenienti dall'Italia. Alla fine della “lecture”, Letta nel salutare gli studenti aveva detto che sperava di rivederli “in a week”, tra una settimana. Un lapsus, avrà voluto dire “in a year”, tra un anno, magari per la prossima Assemblea Generale. O forse, tante erano le preoccupazioni per le notizie da Roma, che incosciamente per un attimo gli avranno fatto desiderare di non prendere più quell’aereo e rimanersene a New York.