Cosa succede nel Pd? E’ il “Rottamatore” che va verso i “rottamandi mai rottamati”, o sono questi che vanno verso quello? Troppi applausi e troppo repentini per passare inosservati. Persino Rosy Bindi, campionessa del più bigotto conservatorismo politico in perenne mascherata progressista, è passata in pochi mesi dal livoroso “infiltrato di Berlusconi” al piagnucoloso “l’ho aiutato, ma è lui che ce l’ha con me”.
Ma, come ormai è regola da circa vent’anni, centrali sono le mosse ipotecarie del Gruppo De Benedetti. Il quale, dopo averlo vistosamente sabotato per tutte le scorse primarie, lo ha, con altrettanta scoperta protervia, gratificato del suo endorsement: “Renzi rappresenta un cambiamento” sono state le parole-laticlavio pronunciate dal Gran Capo all’inizio di Giugno, all’ultima “Repubblica delle idee”, i saturnali organizzati dal suo giornale.
D’altra parte, l’Ingegnere, sin da quando reclamò per sè “la tessera n. 1 del PD”, nei momenti ritenuti decisivi interviene sempre personalmente ad occupare il quadro della “sinistra democratica”, lasciando poi alle sue maestranze le rifiniture sulla tastiera. Ed anzi, giacchè è uomo di mondo e di finanza, la sera stessa in cui Bersani ottenne la sua vittoria di Pirro alle primarie, aveva rassicurato il giovane sconfitto di avere apprezzato il suo “ottimo lavoro”, concludendo, regale: “non mancherò di farlo notare”.
Sicchè, in queste settimane, a ben vedere, si è solo conclusa una manovra di avvicinamento avviata mentre ancora si militava nel campo avverso. Se Bersani avesse vinto le elezioni, avrebbero ipotecato Bersani; altrimenti, si sarebbero messi alla ricerca di un altro “debitore di belle speranze”. Come nelle migliori tradizioni del Gruppo.
Debitore, certo. Perché avendo la sinistra italiana rinunciato alla politica reale, deve la sua stessa esistenza al tutore mediatico. Si tratta di vedere se Renzi si accoderà, e accetterà di guidare un agglomerato di debitori o se non proverà, quanto meno, a far saltare il banco: come va dicendo dal famoso discorso della “Leopolda” di due anni fa.
Per sapere se questa sia una prospettiva politica ancora plausibile, o se i giochi sono invece fatti e il Sindaco di Firenze si appresta ad indossare la livrea di cui viene beffardamente dotato l’Usciere Del Gruppo, non si dovrà attendere molto. Perché la verità, sullo stato dell’arte in quello che fu il campo della sinistra, in atto abusivamente occupato dai concorrenti di Mediaset (non va sottaciuto Murdoch) e dai manipolatori pseudokantiani del Palasharp, dipende dal “dossier giustizia” che, pour case, è notoriamente determinante anche per il centro-destra.
Non dovrebbe essere così, ma è così. Le decine di milioni di voti, espressi su un fronte e sull’altro, dovrebbero innervare e sorreggere la politica, cioè la sovranità; e invece sono tutti col fiato sospeso in direzione di qualche procura. Condizione ideale per una oligarchia tirannica, autoprotetta da ogni circuito di responsabilità. Una catastrofe per una democrazia.
Dunque la nebbia si diraderà presto. Infatti, se è il “Rottamatore” che si sta dirigendo verso i “rottamandi mai rottamati”, il voto sulla decadenza di Berlusconi sarà rapido e compatto, come vogliono il Gruppo e quelli del Palasharp; altrimenti si dovrà seguire la rotta tracciata da Violante, come aborrono il Gruppo e quelli del Palasharp. E magari riconsiderare la posizione sui Referendum di Pannella. Tutto il resto è contorno. Così, potrebbe accadere che dopo la “cattività avignonese” il Papa torni a Roma.
Cioè, fuor di metafora, potrebbe accadere che la sinistra ponga la questione della sua emancipazione dal giogo e dal ricatto della “giustizia ingiusta”; la faccia finita con le scorciatoie antidemocratiche, con il giornalismo questurino, con l’ipocrisia militante; che riscopra la distanza che dovrebbe separarla dai celerini di ogni tempo, dal perenne patriziato che vive riccamente di “pensiero benpensante” e di ben protette rendite di posizione. E si ricordi della sua storia reale, dei suoi meriti, della sua responsabilità verso il ceto medio: colpevole, agli occhi di quel perenne patriziato, di essersi emancipato, fra gli anni ‘70 e gli anni ’80 del ‘900, dalla sua condizione proletaria, e di aver tentato di superare quella retorica organizzata sulla “questione morale” con cui, come sempre si è fatto lungo secoli di sperimentata tradizione inquisitoria, si atterrisce ogni vitale impulso al benessere materiale, senza del quale ogni crescita morale è impensabile.
Se così fosse, allora risulterebbe che “i rottamandi mai rottamati” starebbero andando verso la loro fine. Se così fosse, significherebbe che la sinistra italiana avrebbe rotto le sue catene dorate e velenose, tornando finalmente a dedicarsi al bene dell’Italia e non del Gruppo. Auguri.