(Questa intervista è uscita su Il Foglio il 21 giugno, 2013)
Perché sì: “Io lo vorrei fare perché ci tengo davvero al Pd e sono sicuro che è solo con un partito innovativo, leggero, scattante, agile, e per questo non fragile, che possiamo cambiare l’Italia, imporre un bipolarismo di fatto, conquistare gli elettori degli altri partiti e dare una mano al governo, con lealtà ma senza piaggeria: preparandoci come è giusto che sia all’appuntamento con le prossime elezioni smettendola di smacchiare i giaguari, smettendola di farci dettare l’agenda dai nostri avversari, smettendola – che palle! – di farci governare dalle correnti e cominciando a farlo davvero, questo benedetto Pd. Io sono pronto, sto già lavorando, ho un piano, sto preparando un documento, e mi affascina l’idea di poter fare nel Pd quello che Tony Blair fece nel 1994 con il New Labour”.
Perché no: “No perché io non voglio farlo a tutte le condizioni, il segretario; e non voglio che qualcuno pensi che soffra di ansia da posizionamento, che stia lì a brigare e a tramare per voler fare chissà che cosa, e che mi sia rotto le scatole di fare il sindaco e che non sappia stare senza un incarico nazionale importante. Dai, su. La politica la si può fare anche lontano dai luoghi di comando, la si può fare anche lontano da Roma, la si può fare anche puntando non sul singolo ruolo ma sulle semplici proposte. Ed è in questo senso che dico che questa volta non mi faccio fregare: se non mi fregano con le regole, e se non provano a restringere la partecipazione, come hanno fatto con ottima lungimiranza in altre occasioni, io ci sono; se vogliono fregarmi, se vogliono mettermi i bastoni in mezzo alle ruote, se vogliono continuare a far rimanere il Pd ostaggio delle correnti e se vogliono trasformare le primarie in una specie di Renzi contro il resto del mondo, non so se ne vale la pena. Ok?”.
Sono le dieci e venti, siamo a Roma, è il 19 giugno, Matteo Renzi è uscito da poco dagli studi televisivi di Raitre e dopo essere arrivato alla Stazione Termini, aver scambiato un po’ di chiacchiere con un capotreno, due studenti giapponesi, un controllore, due ragazzine, una signora anziana, una cameriera, una cassiera, una hostess, un edicolante, un capo del 118 di Padova (“e questo non è nulla, alle primarie era peggio…”, dice Renzi con la faccia un po’ da bullo e un po’ alla Fonzie) sale con il cronista sul treno che alle undici e cinquanta lo porterà a Firenze: si siede su una poltroncina in prima classe, si toglie la giacca, si sfila la cravatta, cerca disperatamente il suo mini iPad nella sua valigia (“scusa ma devo un attimo controllare twitter, devo controllare le reazioni alla puntata di stamattina, ma è vero che avevo le occhiaie?”), poi tira fuori alcuni appunti dalla borsa, poggia sul tavolino tre evidenziatori colorati, risponde a un paio di messaggi e inizia a parlare un po’ della segreteria, un po’ del Pd, un po’ del rapporto con il governo Letta, un po’ delle proposte per incalzare l’amico Enrico, un po’ del suo futuro, un po’ di tutto. Renzi, rispetto alla sua candidatura alla leadership del Pd, dice che non ha ancora deciso e che ci sono alcune questioni che vanno chiarite e che oggi nulla può essere dato per scontato. Il sindaco sa che in questa fase vive in un paradosso: alla sua massima esposizione mediatica corrisponde la sua massima indecisione sul futuro. Ma nonostante questo Renzi dice che a prescindere da quale sarà la sua scelta, lui è in campo: e comunque andranno le cose da oggi in poi si impegnerà in prima persona per strappare dalle mani del centrodestra il pallino del governo, e per sfidare già da ora, sul piano dei contenuti, il suo vero avversario: che non si chiama Gianni Cuperlo, che non si chiama Pier Luigi Bersani, che non si chiama Enrico Letta ma molto più semplicemente si chiama Silvio Berlusconi. Il giaguaro, già.
Cominciamo da qui. “Io rispetto le decisioni della magistratura e non mi sogno di interferire con tutti i processi in cui è coinvolto il Cavaliere. Dico però una cosa: se Berlusconi verrà fatto fuori da un tribunale, e non dalla politica, per la sinistra sarà una sconfitta. Per questo è una sciocchezza parlare di ineleggibilità di Berlusconi. Per questo dico che è una sciocchezza esultare per una sentenza che punisce Berlusconi. E per questo dico che pagherei oro per arrivare alle prossime elezioni e sfidare Berlusconi. Vorrei giocarmela con lui. Saprei come batterlo e come sfidarlo. Non è arroganza, è che il Pd di Renzi, per come lo penso io, non sarebbe più un Pd da bassa classifica, ma un Pd con il 4 davanti…”. Renzi si ferma un attimo, apre la sua agenda, prende la matita e disegna sul retro della copertina rigida due rettangoli: il primo rettangolo è vuoto, il secondo è tutto colorato. “Ecco. Se non superiamo il complesso del rettangolo vuoto”, dice con un sorriso Renzi, “il Pd non vincerà mai”.
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