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January 31, 2012
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January 31, 2012
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POLITICA/ I partiti nella rete

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 6 mins read

Osservo la politica italiana dagli Stati Uniti ormai da vent’anni e la mia idea fissa, senza possibilitá né buone ragioni per cambiarla é questa: il Belpaese, da tanto tempo ormai, ha venduto anima e corpo ai suoi partiti che l’hanno tenuta in ostaggio finchè l’avvento di un rivoluzione tecnologica dagli effetti epocali non l’ha finalmente liberata. 

’Partitocrazia’ é una parola che ricordo urlata da Marco Pannella durante le Tribune Politiche di Ugo Zatterin, ma ero allora ancora troppo ’piccolo’ e ’provinciale’ per capire quanto in Italia comandassero i partiti. Mi sembrava tutto normale perché, sentivo ripetere a cantilena, l’Italia era una democrazia che poteva funzionare solo attraverso i partiti e bla bla bla…Appena arrivai negli Stati Uniti, mi bastarono pochissimi mesi per vedere tutto messo a fuoco.

Ebbi la fortuna di arrivare quando erano iniziate le primarie per le elezioni presidenziali del ’92, quelle in cui uno sconosciuto governatore dello Stato piú povero dell’Unione finí per togliere il posto alla Casa Bianca al Presidente che aveva appena vinto una Guerra in meno di un mese… (allarme rosso per Obama, tentato dall’Iran, pensi a Mitt Romney con ‘it’s the economy, stupid!”).

Allora fu impressionante assistere a tutti quegli americani impegnati nelle campagne elettorali, non solo per le presidenziali ma anche per le contemporanee elezioni del Congresso, militanti e generosi, che lavoravano volontari per la campagna del loro candidato. Chissá quale ’posto’ il partito aveva pronto per loro. Poi invece a elezioni finite, il 99% di loro tornava alle loro occupazioni nelle universitá e nel business e anche quelle sedi con depliant elettorali e poster del candidato, venivano in fretta smontati e nello stesso posto ci vedevi aperto a tempo di record un altro business anni luce lontano dalla politica. I partiti di colpo tornavano fantasmi innocui.

In Italia invece strade e piazze delle sedi dei partiti, pensate alle storiche Botteghe Oscure e Piazza del Gesú, cosí come quelle odierne anche se con meno fascino, emanano lo stesso potere nell’accompagnare i titoloni dei giornaloni… Giá, tutte le sedi dei partiti italiani, da quelle romane a quelle del piú sperduto paesino, devono restare ben riconoscibili al cittadino 360 giorni l’anno.

Parliamo di partiti, argomento tanto noioso quanto indispensabile per comprendere l’Italia, perché ieri leggevo sull’Ansa alcuni stralci del discorso del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, lezione che ha tenuto all’Universitá di Bologna mentre gli veniva conferita una laurea honoris causa in scienze politiche. Napolitano ci dice quindi che i partiti hanno tante pecche da correggere e devono rinnovarsi profondamente, ma aggiunge che non devono essere ’demonizzati’, perché sono essenziali alla democrazia. Cioé non sono diavoli ma angeli che sbagliano. Il Capo di Stato consiglia ai partiti di dimostrare ai cittadini la volontá di rinnovarsi affrontando nei prossimi mesi le riforme piú urgenti: quelle costituzionali, la legge elettorale, i regolamenti parlamentari.

Il nostro caro vecchio Presidente sembra andare giú duro, elencando le ragioni della crisi dei partiti e della perdita di fiducia da parte dei cittadini. Troppo distacco della politica dalla cultura, da una visione ideale, colpevole di non aver tentanto neanche di affrontare i problemi posti dalla globalizzazione e dalle speculazioni finanziarie. I partiti quindi sono considerati oggi inefficaci, poco persuasivi, non inclusivi, e sempre secondo Napolitano, sconterebbero anche l’incapacitá di prospettare alternative alle politiche di spesa che finora hanno garantito benessere.

Ed ecco che dopo la tiratina d’orecchie ai partiti discoli che non hanno fatto bene i compiti, il Presidente ricorda che è per questo adesso abbiamo un governo senza rappresentati eletti, ma che in fondo, sebbene i i partiti possano attraversare “periodi di involuzione e di decadenza, perdendo il senso del limite”, il loro ruolo nella politica é insostituibile. Insomma, si chiamano in causa i celebri partiti ’cinghia di trasmissione’ della democrazia rappresentativa.

Peró qui ci sembra che Napolitano, nel criticare giustamente i peccati dei partiti italiani, manchi il loro peccato piú grave: quella di aver instaurato una ’partitocrazia’ con l’occupazione permanente e asfissiante dello Stato e della societá italiana. Giá, per far carriera in un ospedale, alla Rai o in una banca, senza tessera in tasca o senza essere semplicemente ’a disposizione’ diventa impossibile. Napolitano nel criticarli ci dice invece che i partiti sono poco persuasivi e ’non inclusivi’? Semmai il contrario. Per decenni, nella Prima come nella ’vai a capire come chiamarla Repubblica’, i partiti sono stati fin troppo bravi a persuadere gli italiani e fargli accettare la loro ’inclusivitá totalizzante’ della societá Italiana.  Con le giuste ’entrate’ nei partiti, si poteva arrivare a quel permesso necessario alla sopravvivenza di una azienda, come a far trovare al nipote finalmente l’agognato posto ’alle poste’ o ’in ferrovia’.

Che farne allora di questi partiti? Basterebbe metterli tutti in cura dimagrante, ’snelli’ e finalmente piú ’flessibili’, all’americana, dove gli elettori sono registrati come ’repubblicani’ o ’democratici’ (o rimanere  ’indipendenti’) ma nessuno mai si ’iscrive’ al partito. Il cittadino non prende tessere… Cioé il partito sí come ’cinghia di trasmissione’ tra elettori e candidati, ma fuori dalle competizioni elettorali o dal coordinamento dei suoi eletti al Congresso e nelle varie assemblee statali, i partiti qui spariscono dalla ’gestione’ della societá.

E allora in questa occasione ci delude doppiamente il caro vecchio Presidente – che visto da qui resta comunque un gigante della politica e salvatore della patria italica dato che é riuscito nel miracolo di ’togliere’ il timone al capitan Berluschettino e salvare la nave Italia da un naufragio certo –  quando poi ammonisce, nel discorso di Bologna, che “non si prenda l’abbaglio” di pensare che internet, con la sua capacitá di aggregazione e di manifestazione di consensi e dissensi, possa sostituire i partiti. Sottolinea Napolitano: “la sola strada che resta aperta é quella dell’auto-rinnovarsi dei partiti. Questo vorrei dire soprattutto ai giovani: tra il rifiutare i partiti e il rifiutare la politica, l’estraniarsi, con disgusto dalla politica, il passo non é lungo, ed é fatale, perché conduce alla fine della democrazia e quindi della libertá. Dei partiti, come della politica, bisogna avere una visione non demoniaca, ma razionale e realistica”.

Ma di quali partiti parla il Presidente? Quelli che si sono fatti la legge ’porcata’ in modo che fossero loro a scegliere chi far andare in Parlamento e non i cittadini? E non sono ’segni del demonio’ questi? Se gli italiani adesso cominciano finalmente ad averne le scatole piene è proprio grazie a internet, perché quei ’demoni’ della partitocrazia avevano in tasca da sempre, in perfetta lottizzazione, anche le redazione dei grandi e piccoli giornali d’Italia.

A Bologna Napolitano ha poi concluso il proprio discorso che i partiti devono abbandonare i comportamenti e le posizioni acquisite che hanno suscitato “reazioni di rifiuto devastanti”, devono restituire ai cittadini elettori la possibilitá di scegliere i loro rappresentati nelle istituzioni e devono selezionare i candidati a rappresentarli nelle istituzioni fra coloro che hanno “i necessari titoli di trasparenza e morale e competenza”.

Bravo Presidente, ma qualcuno dei suoi consiglieri un po’ piú tecnologicamente preparato avrebbe dovuto farle capire come nel mondo, cosí come in Italia, la rete abbia cambiato la partecipazione dei cittadini alla politica, senza dare piú scampo a quei politici corrotti finalmente piú controllati nel loro operato. Perché la libertá di informazione nel web anche in Italia è in grado di smontare il regime partitocratico. Solo allora, caro Presidente Napolitano, avremo finalmente dei partiti veri e non piú ’demoni’ della lottizzazione.

 

 Questo articolo è stato precedentemente pubblicato in esclusiva sull’appzine L’Indro ed è disponibile su www.lindro.it

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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