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November 13, 2011
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ONU/ Iran la bomba si avvicina

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Il presidente dell'Iran Ahmadinejad.

Il presidente dell'Iran Ahmadinejad.

Time: 4 mins read

in foto Il presidente dell’Iran Ahmadinejad

Mentre le televisioni e i giornali d’America erano tutti concentrati sull’Italia e le dimissioni di Berlusconi (anche qui si sono resi conto che se fallisse l’Italia crollerebbe non solo l’euro ma l’economia globale), alle Nazioni Unite martedí usciva il rapporto degli ispettori dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica che accusa l’Iran, per la prima volta esplicitamente, di voler costruire la bomba atomica.

A far notizia all’ONU, più che il rapporto che svelava la corsa all’arma atomica iraniana, é stato l’atteggiamento molto prudente con cui gli Stati Uniti hanno accolto il rapporto dell’AIEA, un silenzio che é stato giustificato dalla Casa Bianca con il tempo necessario per studiare accuratamente il rapporto, anche se nessuno, all’interno del Palazzo di Vetro, nutriva alcun dubbio sul fatto che l’amministrazione Obama sapesse già da tempo i contenuti principali del rapporto degli ispettori dell’ONU.

Quello che l ‘AIEA ha ufficializzato in oltre mille pagine é gravissimo: praticamente si afferma che l’Iran avrebbe sperimentato attraverso dei programmi al computer dei diversi modelli di esplosione nucleare, avrebbe già condotto esperimenti su diversi tipi di detonatori nucleari e avrebbe condotto ricerche avanzate su testate nucleari in grado di essere lanciate su missili a medio raggio.

A dare credibilità al rapporto, come affermava un editoriale apparso sul “New York Times”, sono le meticolose fonti su cui si basa. Il direttore dell’agenzia nucleare dell’ONU, il giapponese Yukiva Amano, ha messo la sua firma ad un rapporto che ha ricevuto l’assistenza di dieci agenzie specializzate di altrettanti paesi membri dell’ONU e che ha intervistato “diversi individui che sono stati coinvolti in attività rilevanti in Iran”. Insomma il rapporto consegnato da Amano a tutti i membri del Consiglio di Sicurezza, dovrebbe sulla carta spazzare ogni dubbio: l’Iran non starebbe più perseguendo la ricerca atomica solo per il raggiungimento di fonti d’energia consentita dai trattati, ma starebbe cercando di dotarsi di un armamento nucleare trasgredendo così il trattato di non proliferazione nucleare.

Quindi le parti adesso si sarebbero invertite: proprio quell’agenzia dell’ONU che gestisce il controllo di come viene utilizzata l’energia nucleare e che otto anni fa era stata critica delle conclusioni che l’amministrazione Bush presentò sull’Iraq di Saddam Hussein, cercando allora di frenare le accuse di Washington che Baghdad volesse giungere all’armamento nucleare, questa volta sull’Iran sembra invece scavalcare l’amministrazione Obama e i suoi alleati, affermando che il regime iraniano si sta pericolosamente avvicinando a dotarsi di armamenti nucleare.

Come era prevedibile, Teheran ha subito denunciato le conclusione dell’agenzia dell’ONU come parte di un ennesimo complotto americano, dopo quello della presunta preparazione di un attentato terroristico contro l’ambasciatore saudita a Washington, e ha anche minacciato il capo degli ispettori nucleari dell’ONU Amano, affermando in una nota che si pentirà di essersi fatto strumento di questo complotto. Il governo di Amhedinejad ha ribadito che nessuno potrà fermare il diritto dell’Iran di acquisire fonti di energia nucleare avvertendo che qualunque intervento militare contro le centrali iraniane provocherà una terribile ritorsione.

Ma infatti non é la possibiità dell’intervento militare che sembra essere in questo momento al centro delle discussioni tra i paesi che più vogliono fermare le ambizioni nucleari di Teheran. Lo stesso “New York Times” ha messo in guardia la Casa Bianca e soprattutto Israele dall’optare per un intervento militare che avrebbe effetti devastanti e imprevedibili sulla regione e che inoltre, viene giudicato non in grado di poter fermare la rincorsa alla bomba atomica di Teheran. Sarebbe invece l’inasprimento delle sanzioni internazionali l’unica soluzione valida, e come il maggiore quotidiano americano la pensa anche uno dei paesi chiave nel Consiglio di Sicurezza, la Francia di Sarkozy, che attraverso il suo ministro degli esteri Juppé ha fatto sapere che l’opzione militare é assolutamente da escludere e che Parigi vuole che il Consiglio di sicurezza si riunisca al più presto possibile per votare nuove più efficaci sanzioni contro l’Iran.

Ma gli ostacoli principali al perseguimento della strategia delle sanzioni, che sembra trovare d’accordo anche l’amministrazione Obama, restano due: l’atteggiamento al Consiglio di Sicurezza della Cina (che ha reagito al rapporto dicendo che prima di dire la sua lo studierà con attenzione) e soprattutto della Russia, che ha invece subito fatto sapere che non ritiene opportuno l’inasprimento di nuove sanzioni attraverso il Consiglio di Sicurezza e che in questa mossa ci vede solo il solito tentativo di “regime change”, di cambiamento di regime a Teheran.

Per capire il vento contrario che tira al Consiglio di Sicurezza dell’ONU in questi giorni, é bastato osservare il dibattito aperto che si é avuto mercoledì intitolato “ La protezione dei civili durante i conflitti armati”, un dibattito durato oltre dieci ore e che ha visto gli interventi di tanti altri paesi oltre ai quindici che compongono il Consiglio di Sicurezza.

I dibattiti tematici di solito al Consiglio di Sicurezza si risolvono in attività simboliche in cui ogni paese esprime generiche volontà di voler sostenere la pace e la stabilità mondiale, ma in questo caso, con l’intervento militare in Libia appena concluso e la prospettiva di un altro intervento in Siria, il dibattito nel Consiglio di Sicurezza sul diritto dell’Onu di proteggere i civili dai proprio governi é diventato politico e ha visto la reazione di molti paesi che ritengono che l’intervento della NATO sponsorizzato dall’ONU in Libia sia andato ben oltre le intenzioni delle risoluzioni 1970 e 1973.

Oltre a Russia e Cina, altri paesi importanti membri del consiglio di sicurezza, come India e Brasile e poi anche il Sud Africa, hanno manifestato il loro disappunto per il modo in cui é stato condotto l’intervento in Libia, giudicandolo ben oltre il suo mandato e più diretto al cosiddetto “regime change” che alla protezione dei civili. Fino a giungere ad interventi sempre piú accusatori, come quello dell’ambasciatore venezuelano Jeorge Valero Briceno, che ha puntato il dito contro quei paesi occidentali che userebbero il principio della “protezione di civili” soltanto come una scusa per servire invece gli interessi di corporation internazionali che per i certi affari hanno bisogno di far cambiare i governi nel mondo…

Da queste premesse, si capisce come l’attuazione della strategia nei confronti dell’Iran per delle nuove sanzioni da far approvare dal consiglio di Sicurezza, sarà ardua e soprattutto lenta. Che fare quindi? La strada passa obbligatoriamente da Pechino e Mosca: Obama e i suoi alleati dovranno riuscire a convincere Cina e Russia a fermare ogni collaborazione con Teheran e ad accettare nuove sanzioni.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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