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October 2, 2011
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October 2, 2011
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FUORI DAL CORO/ Il caso Saverio Romano: l’obbligo di accusare

Fabio CammalleribyFabio Cammalleri
Time: 3 mins read

A sinistra il ministro dell’Agricoltura Saverio Romano

La Camera dei Deputati ha respinto la mozione di sfiducia mossa al Ministro Saverio Romano. Si potrebbe osservare che ha mancato di sensibilità politica, o più semplicemente di opportunità. Solo che in questo medievale impiego del sospetto, sia pure di un sospetto pieno di timbri e marche da bollo, a cui, ogni giorno di più, pare assuefarsi la vita civile italiana, non basta più ricorrere alle indagini, o ai loro parziali contenuti, o ai loro risultati per alimentare la c.d. lotta politica.
Uso, anzi abuso, delle indagini preliminari che poi, così come si svolge, è l’equivalente fariseo del machete, tanto caro agli Utu e ai Tutsi.
Ora, giacchè si è vicini al fondo di questa pozza sudicia e maleodorante che sono diventati taluni fascicoli del Pubblico Ministero, giacchè il clamore sempre assicurato alle loro “scoperte” o “rivelazioni” o “verità”, risulta, con crescente costanza, inversamente proporzionale alla loro reale e intrinseca consistenza, l’arsenale- propagandistico- squadristico pare arricchirsi di nuovi ritrovati. Fra cui spicca il “sospetto coatto”. Un Pubblico Ministero, con i gracili strumenti di cui dispone (può incarcerare, sequestrare, intercettare, perquisire, raccogliere delazioni e conferirgli credibilità) indaga su un cittadino, diciamo per alcuni anni: sette, per esempio. E poi decide, nonostante abbia potuto fare tutto con comodo, che non c’è proprio niente da contestare.
E chiede l’archiviazione. Si aggiunga che, in generale, la richiesta di archiviazione è infrequente; ma nelle indagini di mafia è una vera rarità.
D’altra parte, si dirà, il Pubblico Ministero accusa, altrimenti che Pubblico Ministero è. Per la verità, ci sarebbe una norma del Codice di Procedura Penale che gli imporrebbe di raccogliere anche elementi a favore dell’indagato; ma lasciamo perdere, altrimenti il discorso si complica. E teniamo per buona l’idea che le Procure debbano accusare. Ma allora, quando non lo fanno, non ci dovrebbe essere proprio di chelagnarsi. Se non accusano loro! E invece no.
Perché, nelle cose di giustizia penale, l’elemento fariseo regna sovrano.
E così noi abbiamo una norma (una serie articolata in realtà) che consente ad un Giudice di obbligare il Pubblico Ministero ad accusare. Anche quando non vuole. E così siamo tornati al “sospetto coatto”.
Pardòn: imputazione coatta. Sennò i corifei della legalità, che sembra abbiano frequentato corsi serali di giurisprudenza in tempo di guerra, si indignano. Anche le ossessioni compulsive, infatti, come il mobilio, le vacanze e i ristoranti, devono essere alla moda.
Così oggi ci si indigna perché, a quanto pare, indignarsi è una figata pazzesca. Dicevamo del sospetto coatto. Il fatto è che un sospetto coatto è un sospettino, è un sospettuccio, magari non passa la notte. Così alla Camera devono essersi detti: ma se sfiduciamo un Ministro, che non è proprio l’omino del chiosco, per un sospetto coatto, qui finisce che il Governo del Paese non dipende più da un’indagine, magari farlocca, magari riciclata in gogna e dileggio, ma pur sempre sostenuta da un tipo che ne rivendica la paternità. Qui se diamo spazio al sospetto coatto, finisce che il cittadino, presunto innocente fino a prova del contrario (lo dice la Costituzione, all’art. 27; ma si sa: fatta la Legge, trovato l’inganno), che magari è anche Ministro della Repubblica, deve dimettersi perchè in un ufficio giudiziario è in atto uno scorno fra colleghi. Forse, si saranno detti, sarebbe troppo.
Anche per l’Italia dei processi Musotto, Carnevale, Mannino, Andreotti, Canale e chissà, forse anche Meredith-Sollecito.
Macchè! Alla Camera hanno “salvato” Romano da sicura e infallibile responsabilità, insorge l’Italia migliore che legge “Repubblica” e s’indigna (of course, sciocchino!); lo hanno salvato da una colpa così chiara e lampante che neanche il Pubblico Ministro la sostiene.
Ma c’è il G.i.p. Eh sì. Perché uno pensa che la Procura accusa, l’indagato si difende e il giudice decide. Ma dove? Negli Stati Uniti, probabilmente.
Certo non in Italia. In Italia c’è la “cultura della legalità”, mica niente. Così, pure dopo avere atteso sette anni che la Pubblica Accusa tenesse in piedi un’indagine, coltivare la speranzella di poter finalmente tornare ad una vita sgombra da timori e da sospetti non è possibile. Perché il G.i.p. può sostituirsi al Pubblico Ministero e fare quello che neanche lui vorrebbe fare: cioè accusare. E se il Giudice, formalmente, legalmente, diventa Pubblico Ministero, chi rimane a fare il Giudice? Che domande! Ma Nessuno. Perchè, in Italia, i giudici servono?

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Fabio Cammalleri

Fabio Cammalleri

Il potere di giudicare e condannare una persona è, semplicemente, il potere. Niente può eguagliare la forza ambigua di un uomo che chiude in galera un altro uomo. E niente come questa forza tende ad esorbitare. Così, il potere sulla pena, nata parte di un tutto, si fa tutto. Per tutti. Da avvocato, negli anni, temo di aver capito che, per fronteggiare un simile disordine, in Italia non basti più la buona volontà: i penalisti, i garantisti, cioè, una parte. Forse bisognerebbe spogliarsi di ogni parzialità, rendendosi semplicemente uomini. Memore del fatto che Gesù e Socrate, imputati e giudicati rei, si compirono senza scrivere una riga, mi rivolgo alla pagina con cautela. Con me c’è Silvia e, con noi, Francesco e Armida, i nostri gemelli.

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