“Penso che le piattaforme tecnologiche abbiamo mostrato quanto sia facile usare la tecnologia per manipolare la biologia umana” chi lo sostiene è una giornalista filippina Maria Ressa, vincitrice del Premio Nobel per la pace 2021 insieme al reporter russo Dmitry Muratov. A riportare la notizia e le dichiarazioni di Maria Ressa è il portale Huffingtonpost.
Cofondatrice del sito giornalistico Rappler, la cronista negli ultimi anni si è fatta notare per le critiche sull’operato del presidente filippino Rodrigo Duterte nell’ambito della sua “guerra alla droga” ed è stata condannata e arrestata per diffamazione online per la sua attività.
Prendendo parte al Sydney Dialogue dell’Australian Strategic Policy Institute, Maria Ressa ha evidenziato un dato di cui anche noi forse ci siamo resi conto ovvero come le piattaforme “possano manipolare le nostre menti, creando realtà alternative, rendendoci impossibile pensare” a scrivere le sue parole è il britannico Guardian.
Inoltre, secondo la giornalista il tema più importante da analizzare riguarda la libertà di accesso e non la libertà di parola. Tutti possiamo avere la parola, ma dobbiamo capire come questo accesso possa essere consentito.
Il Premio Nobel ha continuato sostenendo che “c’è qualcosa di sbagliato nell’ecosistema delle informazioni perché le piattaforme che forniscono i fatti sono in realtà prevenute contro i fatti”.
Durante questa emergenza pandemica ci siamo resi conto che qualcosa di strano stava accadendo e non possiamo far finta che non sia successo nulla.
Come se non bastasse Mark Zuckeberg proprietario di Facebook, Intagram e Whatsapp, ci ha spiegato che cambierà nome al suo social più conosciuto e si occuperà del Metaverso. Infatti, il nome che ha tirato fuori, uno degli uomini più ricchi del mondo, per il suo gioiello di famiglia è Meta abbreviazione di metaverso.
Questo prefisso in tutte le lingue occidentali deriva dal greco antico metà, “μετά”, che significa “con”, “dopo”, ma anche “in mezzo a”. E proprio in mezzo a rende l’idea chiara del metaverso, un ambiente pensato a metà tra la realtà e il virtuale che già conosciamo sulla rete. Per dirla con Eric Sadin: “c’è chi si dice molto spaventato dall’instaurazione di una controllocrazia”. Una sorta di monitoring algoritmico che permette al Grande Fratello di sapere tutto di noi e di spingerci a comportamenti precisi. Il tutto nella nuova dimensione del metaverso. Tra reale e virtuale, tutto assemblato, tutto quasi vero, tutto da scoprire. Probabilmente diventerà sempre più difficile distinguere l’online dall’offline
La nostra capacità di interagire con le nuove tecnologie ci deve far riflettere. Il tema sollevato dalla giornalista è davvero importante: “I social media diffondono il virus delle bugie: una minaccia per tutte le democrazie”.
Attraverso il suo sito Rappler, Ressa ha anche messo in luce tutti i modi in cui i Social Media possono essere manipolati per diffondere populismi.
Io combatto da anni il fenomeno delle fake news soprattutto in relazione alla lotta contro il populismo diffuso. Una citazione importante di Morozov ci aiuta a capire le nuove dinamiche della propaganda politica: “Proclamare che le società sono entrate in una nuova era e hanno sposato una nuova economia non rende la natura umana automaticamente più malleabile, né conduce necessariamente al rispetto universale dei valori umanistici. La gente va ancora a caccia di potere e riconoscimento, senza riguardo per il fatto di averli accumulati con una campagna elettorale o raccogliendo amicizie su Facebook“.
Riprendo questa citazione di Morozov a supporto della tesi che è di fatto avvenuto un cambio epocale nel modo in cui la società in rete ha modificato l’esperienza temporale, le logiche dei flussi e il modo in cui si sviluppa la società umana.
Un principio ha accompagnato la storia dell’uomo ed è quello connesso alla caccia e gestione del potere. Per raggiungere questo obiettivo gli individui hanno utilizzato gli strumenti di volta in volta disponibili costruendo propaganda e manipolando quanto utile allo scopo. Per questo le false notizie, la falsificazione e la distorsione della realtà sembrano un segno caratterizzante dello sviluppo della civiltà umana.
Questo può essere dimostrato attraverso fonti storiche e gli esempi che possono essere presi in considerazione sono davvero moltissimi. Oggi, basti pensare alle tante fake news sulla campagna di vaccinazione. Facebook ha cercato di correre ai ripari per arginare la disinformazione sul Covid 19 e sui vaccini.
Diventa fondamentale l’attività di Debunking una pratica che sta ad indicare chi mette in dubbio e smaschera bufale, affermazioni false, esagerate o diffamatorie, voci dubbie, pretenziose o anti-scientifiche. Purtroppo, vi sono tre elementi che frenano il Debunking: la velocità delle fake news, la natura della discussione che si crea attorno alla voce prima del Debunking e l’efficacia virale.
Esiste un fenomeno che si chiama “ritorno di fiamma”. Quando le nostre convinzioni, più o meno profonde, vengono messe in discussione, esse diventano più forti.
Si è diffuso, da parecchio tempo, il cosiddetto “pregiudizio di conferma”. Una sorta di miopia dell’informazione: la nostra decisione è praticamente già presa in partenza perciò, cercando informazioni su un determinato argomento, tendiamo a privilegiare i dati e le informazioni a sostegno di ciò in cui crediamo, finendo per renderci ciechi di fronte a quelle.
Al “pregiudizio di conferma” segue il “ragionamento regolato”. La nostra mente e capacità di ragionare sono influenzate da quelle che sono le nostre conoscenze e convinzioni preesistenti, anzi, finiscono per opporre resistenza a chiunque tenti di mostrarci una tesi opposta a quella che abbiamo.
Questo modo di navigare sui Social favorisce la manipolazione delle informazioni. Allora dovremmo chiederci cosa è cambiato rispetto ai tempi della propaganda se adesso la nuova propaganda passa attraverso i Social Media. Interroghiamoci, senza criminalizzare nessuno, cosi come ha fatto questa giornalista premio Nobel che ci fa riflettere su un dato per nulla trascurabile: la stessa decisione di assegnarle un premio Nobel ha voluto ricordare la portata della crisi che il giornalismo e l’informazione stanno attraversando. “L’ultima volta che un giornalista ha ricevuto questo premio era il 1936, e il vincitore non è riuscito ad ritirarlo, rimanendo chiuso in un campo di concentramento nazista” (Carl von Ossietzky, un giornalista tedesco, vinse il premio Nobel per la pace nel 1935, ndr).