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Libertà di aizzare alla violenza? Quando i social non fanno più sconti a Trump

Dopo l'assalto dei manifestanti pro-Trump al Congresso, twitter e facebook hanno bloccato l'accesso del presidente: una decisione apparsa inevitabile

Francesco PirabyFrancesco Pira
Libertà di aizzare alla violenza? Quando i social non fanno più sconti a Trump

Il conto Twitter di Trump il 6 gennaio, con un post poi cancellato perché ritenuto pericoloso

Time: 4 mins read

L’America non sarà mai distrutta dall’esterno. Se cadiamo e perdiamo le nostre libertà, sarà perché ci siamo distrutti da soli”.

Abramo Lincoln non avrebbe mai immaginato quanto è successo nelle ultime ore. E ancora 24 ore dopo il fattaccio le squadre di sostenitori, chiamiamoli così, di Donald Trump, urlano ai giornalisti che sono solo capaci di spacciare fake news. E anche il mite Antonio Di Bella della Rai è costretto a raccontare che ha sentito con le sue orecchie ripetere: “corda e palo per i cronisti”.

Adesso che tutto è globale grazie ai social anche il buonsenso dovrebbe esserlo. E invece tutti hanno paura che lo Stato più armato del mondo, mentre la pandemia uccide uomini e donne, possa continuare a protestare, a contestare, a rivendicare. E i giornalisti, sotto accusa come spacciatori di fake news, sono in prima linea nonostante le minacce e le derisioni. I social registrano umori e malumori. Tutto sembra sottosopra. Tutto, dicono gli esperti era previsto e prevedibile. Mentre continuiamo a vedere immagini di sciamani e pettoruti pelosi sostenitori di Trump.  Violenza, razzismo, negazionismo, populismo tutto in salsa molto folk. Non è l’America che amiamo. Non è l’America solidale e vera. E’ l’altra America quella che non avremmo mai voluto vedere ma che oggi, vista dall’Italia, sembra lontanissima dai nostri sogni.

Il presidente Donald Trump (Illustrazione di Antonella Martino)

I social hanno deciso di bloccare subito l’account del tycoon, a questo punto abbandonato da tutti.  Il primo blocco è arrivato su Twitter per 12 ore e a seguire quello di Facebook fino alla fine della Presidenza. Sempre Facebook, ma anche YouTube, hanno eliminato il video in cui l’ex presidente invitava i rivoltosi a tornare a casa nonostante le elezioni fossero state rubate. Il comunicato di Facebook così giustifica l’eliminazione del video: “Lo abbiamo rimosso perché riteniamo contribuisca al rischio di violenze” e YouTube ha evidenziato: “Il video è stato rimosso perché viola le politiche sulla diffusione dei brogli elettorali”. 

Nemmeno Apple è rimasta in silenzio. Tim Cook l’amministratore delegato ha twittato: “Oggi è un capitolo triste e vergognoso nella storia del nostro paese. Dobbiamo completare la transizione dell’amministrazione del presidente-eletto Joe-Biden”.

E’ stata assunta dai manager dei maggiori social network una decisione storica, definita dai maggiori osservatori “senza precedenti”. Mark Zuckerberg non ha usato mezzi termini in un suo post: “Il rischio di consentire al presidente di continuare a usare il nostro servizio in questo momento è semplicemente troppo grande“ ed ha aggiunto “ lo faremo indefinitamente e per almeno le prossime due settimane fino a quando una pacifica transizione di potere non sarà completata”.

Stessa sorte per l’account di Instagram. Così il sindaco di New York, Bill de Blasio, ha elogiato i social per la loro decisione: “Voglio ringraziare i leader dei media, i leader delle aziende dei social media per quello che stanno facendo…. Non lasciate che quest’uomo abbia una piattaforma”.  

Chi come me è stato negli USA per studiare i segreti della comunicazione politica e ha sperato un giorno di vivere in quel posto dove nella Costituzione è previsto il diritto alla felicità, ha guardato con sgomento a ciò che è accaduto nel Campidoglio degli Stati Uniti a Washington DC. Incollati alla televisione abbiamo assistito ad un vero e proprio assalto organizzato dai sostenitori di Donald Trump.

La folla che assale il congresso (Photo: youtube)

Le immagini e i video sono diventati immediatamente virali sui social network e su Twitter gli utenti cinguettavano preoccupati per quello che stava accadendo e per una situazione ormai fuori controllo. La polizia che puntava le armi e le persone che correvano dentro e fuori l’edificio, una scorribanda che è terminata con 4 morti e 13 feriti.

Ripenso a quanto ha scritto il sociologo Evgeny Morozov nel suo libro “L’ingenuità della rete” richiamando il pensiero del filosofo danese Kierkegaard:

“Una cosa è per gli attivisti veri e impegnati, quelli che rischiano la pelle giorno dopo giorno per opporsi ai vari regimi, adottare Facebook o Twitter e usare quelle piattaforme come aiuto per i loro fini. (Magari stanno sopravvalutando l’efficacia complessiva delle campagne digitali, o ne stanno sottovalutando i rischi ma il loro impegno è autentico). Altra cosa, completamente diversa è per i singoli che possono avere interessi passeggeri in una data causa mettersi assieme ed avviare campagne per salvare il mondo”.

Questo è il caso di un singolo che per tutelare i suoi interessi ha usato la sua popolarità, attraverso il populismo, sfruttando il ruolo di Comandante in Capo degli Stati Uniti, per sobillare attraverso i social i suoi seguaci alla rivolta. A questo aggiungiamo, e il caso del giornalista a Washington della Rai Antonio Di Bella ne è la testimonianza: le minacce ai giornalisti, accusati di diffondere solo fake news mortificando la libertà di stampa e uccidendo la libertà di opinione. Inaccettabile. Incredibile.

Ho aperto questa riflessione con Abramo Lincoln e con lui voglio concludere, in questo momento storico.

“Noi, il Popolo siamo i padroni legittimi sia del Congresso che dei tribunali, non per rovesciare la Costituzione, ma per rovesciare gli uomini che pervertono la Costituzione”. 

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Francesco Pira

Francesco Pira

“Il potere è fare le cose per gli altri”. Questa frase scritta nella piccola sacrestia di un prete cristiano caldeo a Bagdad è quella che mi ha sempre accompagnato nelle mie esperienze umane e professionali. Amo leggere, scrivere, ma soprattutto quando posso narrare. Mi piace, come sosteneva Enzo Biagi, raccontare storie di persone comuni. Scrivo da quando avevo 14 anni. Fin da giovane ho coltivato la passione del giornalismo. Oggi insegno, nell’ambito della sociologia, comunicazione istituzionale e teorie e tecniche del linguaggio giornalistico all’Università di Messina. I miei territori di ricerca comunicazione e giornalismo con focus costanti sul rapporto tra adolescenti e nuove tecnologie, la comunicazione politica, sociale e pubblica. Sono un siciliano che ama il “lato giusto” della Sicilia. Vivo con il sogno prima o poi di trasferirmi negli Stati Uniti.

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