La stomachevole vicenda che ha riguardato la giornalista Rai, Giovanna Botteri, ha richiamato alla mia memoria infelici episodi del passato e mi ha dato occasione di riflettere su quante ipocrite anime candide, dalla viscerale propensione conformista, si nascondano in mezzo ai benpensanti che oggi s’indignano.
Prima, però, devo dare atto dell’ultimo episodio di quella che un’incaponita fino all’ostinazione Michelle Hunziker è riuscita a trasformare in una trash-saga. Non ne cambia il succo, ma ci costringe a tornare su un argomento che avremmo volentieri archiviato sotto la rubrica “cose di cui vogliamo dimenticarci in fretta”.
Riassumiamo, per tutti coloro che abbiano ricevuto la grazia di viverne lontani, l’ evitabile querelle testimone della peggior Italia possibile: un gruppo di haters, cioè quegli sfigati che nella vita passano il tempo a insultare gli altri su internet, ha preso di mira la giornalista Rai per il look trasandato con il quale si presenterebbe in televisione, in occasione dei suoi servizi di politica internazionale. I commenti sui social di quelli che vorrei considerare scarto residuale ineluttabile di ogni organismo funzionante, se solo non fossero così numerosi, dove per organismo debba leggersi società, vertevano sui maglioni tutti uguali della professionista (sarà sempre lo stesso?), sull’assenza di trucco, sui capelli senza piega.

Se ne potrebbe capire il tenore e passare oltre, come si fa davanti alle mosche, il cui danno, apportato dal loro fastidioso ronzare, è comunque meno dispendioso energeticamente che mettersi a rincorrerle con lo scopino per farle fuori. Bastava ignorarli, ma il programma televisivo Striscia la Notizia, a conduzione di Gerry Scotti e Michelle Hunziker, ha deciso di legittimarli rendendoli oggetto di un servizio Tv in prima serata. E già questo, il solo fatto che abbiano deciso di dare dignità e pubblico a una serie di commenti di siffatta speme, basterebbe a farci implorare tutti di chiudere all’istante quella banca dati del grottesco che è il programma di Antonio Ricci.
Invece no, loro si sentono nel giusto, pensano di averla difesa, testimoniando come invece la giornalista fosse corsa ai ripari facendosi “una bellissima messa in piega” (parole della Hunziker), senza neanche per un attimo farsi venire il dubbio di quanto cretino fosse anche solo che se ne stessero occupando. La Botteri non è corsa a farsi nessuna messa in piega, circostanza che sta solo nella testa dei venditori di fuffa che dovevano confezionare il video, con tanto di animazioni a corredo. La Botteri ha continuato a fare quello che faceva, cioè la giornalista di politica internazionale, con i capelli puliti come sempre, ma di nuovo senza messa in piega perché, come lei stessa ha spiegato, non ha tempo per pensare a queste formalità. Un tempo che invece, ahinoi, avanza alla signora Trussardi.
La Hunziker, infatti, continua a invocare di guardare il video del servizio (Michelle credimi, purtroppo l’abbiamo visto), si rifiuta di scusarsi per aver prestato voce a quell’osceno montaggio, in cui la giornalista veniva schernita con cartoni animati apposti alla sua immagine, di docce e bollicine, vasche e acqua corrente, qualora ci fosse alcun dubbio che il tenore fosse di dileggio e riprovevole sarcasmo.
Nessuno, se non fosse per il raccapricciante montaggio di Striscia, avrebbe notato alcuna differenza del prima e dopo sui capelli della Botteri. Timida, troppo, anche la frase a chiosa del servizio di Gerry Scotti: “Brava Giovanna per l’importante lavoro che fai, vai avanti così e non badare a chi va a vedere il capello”. Davvero troppo poco. Non dovevi prestarti Gerry, almeno tu, zione televisivo d’Italia.

La soubrette svizzera, dalla piazza in cui a differenza della Botteri si sente a suo agio, quella social, insiste a chiedere alla giornalista di prendere posizione sull’accaduto, nella speranza di un atto apologetico che la assolva. Io invece vorrei chiedere alla Hunziker, visto che la sua lingua è il tedesco, di piantarla di mettermi in condizione di provare un sentimento come la fremdschämen ovvero la vergogna per qualcosa che fanno gli altri.
Personalmente sono in imbarazzo ogni volta che apre la bocca sull’accaduto, anziché cospargersi il capo di cenere e andare a riflettere su quanto impropriamente si sia autoeletta paladine delle donne, una che dimostra di essere troppo adattata a questo mondo per capirne le discriminazioni.
Forse il suo sedere perfetto, il sorriso, la silhouette, l’altezza, devono sempre averla messa a riparo dal capire cosa significhi davvero combattere una qualche battaglia di autoaffermazione. Oppure ritrovarsi così, senza motivo, da un giorno all’altro, sommersa dalle attenzioni morbose e intrise di cattiveria di un altro che fino a un momento prima ci era neutrale e ora di colpo ci si fa estraneo, all’improvviso nemico.
Dunque ecco l’episodio che mi ha riportato alla mente.
Nel Medioevo della mia esistenza, quando più mi sono sentita persa e sola, in un lock down dal quale non mi sono certo bastati due mesi per riprendermi, m’è toccato sentire da un gruppetto di “colleghe” che mi stavano intorno che puzzassi. Anzi no. Non me l’hanno detto, queste cose nessuno ha il coraggio di dirtele. Nessuno ti si avvicina, ti guarda negli occhi, ti stringe una mano e ti dice: “sono preoccupato per te, c’è qualcosa che non va?”. Perché nessuno che dica di qualcun altro che puzzi ha davvero a cuore l’interessato. Di fatti non lo dice a lui, lo dice agli altri. Quella di “non lavarsi” è l’etichetta più infima che si possa appioppare a qualcuno, è un modo per chiamare quell’individuo fuori dalla società: il presupposto della civiltà stessa è l’igiene, chi non lo rispetti mette in pericolo gli altri e in questo periodo ne abbiamo la prova più evidente. Per cui “non ti lavi” non è un fatto privato, è un’accusa pubblica. E’ peggio di schernire qualcuno perché è omosessuale o per la sua religione. E’ disumanizzarlo. Chi minimizza non ha mai avuto l’esperienza dell’offesa o è talmente ottuso da non capirne l’umiliazione.
La mia routine igienica non è mai cambiata da allora, quindi non credo ci fosse nulla in tal senso che io facessi per attirarmi quello strisciante vociare. Non so se i farmaci che ho dovuto prendere mi comportassero un cambio di sudorazione, ma nessuno degli interessati è venuto a chiedermelo. Hanno preferito sghignazzare tra loro. “Discriminate lo strano.” E’ una specie di ordine, di comando tribale: se schifiamo e ridiamo tutti della stessa persona, noi ci sentiremo uniti. La gente è disposta a passare su qualsiasi cosa per questo senso di pseudo-empatia di branco. Persone interessate all’attualità, alla fame nel mondo, alla guerra in Siria, un secondo dopo si girano e dicono di quello a fianco che puzza. A me hanno sempre fatto schifo i gruppi per questo motivo, è la ragione per la quale preferisco avere rapporti individuali anziché una “cricca” di riferimento ed è anche il motivo per il quale da sempre, dalle scuole dell’obbligo, sono costretta a difendermi dal linciaggio pubblico. Non mi sono mai comportata come si aspettavano loro e questo mi ha reso bersaglio di scherno molto spesso, ma ha anche fatto da scrematura naturale nell’avvicinarmi sempre e solo agli altri, a quelli un passo fuori dal mucchio. Non mi piacciono le dinamiche che s’innescano quando l’uomo si riconnette col suo essere animale. E pure tra questo essere animale dell’uomo, lasciate che ve lo dica, io ci metterei animali di molte specie: c’è il leader, più simile a un leone, a un lupo solitario e c’è la formica, c’è l’essere gregario per eccellenza. Forse sì, l’uomo è prima animale, ma mi sa che non proveniamo tutti dalla stessa specie di riferimento. E’ una cosa, questa che racconto ora, che mi ha fatto così male da non essere mai riuscita a raccontarla prima. La tiro fuori affinché ognuno di noi possa indirizzare la rabbia e lo sdegno che ora prova per la Hunziker, alla Michelle che ognuno custodisce dentro di sé e che se non si sta attenti potrebbe risbucare fuori come il più basso degli istinti.
E una cosa sono proprio contenta di risponderla a queste persone, a distanza di anni: siete riusciti a farmi del male, ma non a farmi fare quello che volevate voi. Non ho iniziato a lavarmi più ossessivamente, ho invece imparato a trattare con una certa diffidenza tutti quelli che non sopportano il proprio odore.