Siamo malati di paura, sensazionalismo e vittime delle fake news. Nella situazione di crisi provocata dal Coronavirus è accaduto di tutto. Qualche sera fa commentando quanto sta accadendo in Italia all’approfondimento di Radio 1 Rai “Tra poco in edicola” condotto dal bravo Stefano Mensurati ho avuto modo di dire che nel rincorrere scoop e nel dribblare fake news c’è stato un corto circuito. Per un attimo non abbiamo pensato che le persone della grande età hanno tutte paura di morire e che i bambini ne escono terrorizzati e che quelli di mezza età si dividono tra quelli che comprano Amuchina e mascherine e quelli che pensano a fare scorta di cibo e di vino in previsione di una quarantena. A Milano, dove anche il Presidente della Regione, Fontana, è in quarantena l’Ordine dei Giornalisti è intervenuto dopo la segnalazione sui social di titoli e articoli o servizi televisivi un po’ oltre le righe.
“Il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia – si legge in una durissima nota- non può esimersi dal richiamare direttori, vicedirettori capiredattori e i singoli colleghi allo scrupoloso e attento rispetto dei doveri deontologici imposti dalla legge e dalle Carte deontologiche in materia sanitaria, in particolare: al rispetto dei diritti e della dignità delle persone malate; a evitare un sensazionalismo che potrebbe far sorgere timori o speranze infondate; a diffondere notizie sanitarie solo se verificate con autorevoli fonti scientifiche. Il Consiglio, nella consapevolezza che questa emergenza più ancora di altre mette in gioco la credibilità della professione, sta raccogliendo da giorni decine di segnalazioni di uso inappropriato, e cioè deontologicamente censurabile, di titolazioni, argomentazioni e commenti che, oltrepassando il limite della lealtà intellettuale, della continenza espressiva e prima ancora della verità fattuale (reale o putativa, secondo i parametri deontologici di riconoscimento della seconda) avrebbero contribuito a deformare la percezione dei fatti e dei pericoli da parte della collettività dei lettori. La procedibilità su tali ipotesi di illecito disciplinare, come noto, dal 2013 spetta al Consiglio di disciplina territoriale che applica per legge i principi del giusto processo amministrativo, a cominciare dal contraddittorio e dal diritto di difesa tecnica”.

Fin qui la nota. Ma era necessaria? I giornalisti che hanno sottoscritto codici deontologici e che seguono corsi di etica dovevano essere richiamati anche quando si presenta un forte allarme sociale? La partita che anche il mondo dell’informazione sta giocando è difficile, quasi proibitiva perché bisogna combattere insieme paura e fake news. Qualche giorno fa un giornalista mi ha intervistato su quello che sta accadendo con l’allarmismo smisurato sul coronavirus. Ho provato a chiarire che stiamo sottovalutando il fenomeno delle fake news. Chi pensa con certezza incredibile che le fake news siano prodotte da buontemponi, sbaglia. Perché a produrre notizie false sono centrali internazionali con precisi interessi da salvaguardare che attaccano tre momenti fondamentale del nostro vivere sociale: economia, politica e scienza.
Le fake news, sfruttando l’ignoranza , basta ricordare la battaglia sui vaccini, con persone assolutamente incompetenti si sono arrogate il diritto di pontificare su temi scientifici producendo solo confusione, sono estremamente resistenti sul web e girano in maniera vorticosa soprattutto su WhatsApp: la messaggeria veloce che ci raggiunge ovunque. Studi ci dicono che il sessantacinque per cento delle notizie false che condividiamo nelle cosiddette cascate informative, nei gruppi che si formano, come le echo cambers (gruppi profilati sulle nostre stesse opinioni), derivano dal fatto che su certi temi non cerchiamo verità ma conferma alle nostre convinzioni. Che non cancelliamo cioè dalla nostra mente le notizie false anche se ci viene provato che sono false: qualunque smentita non ha la stessa forza della fake news. La disinformazione prodotta è utile a danneggiare un posizionamento in borsa, la reputazione di un individuo, di un’azienda, di un partito o di un intero Paese o di un gruppo etnico. Sono paura e odio generati dalle fake news, guidati dagli algoritmi dei social e dal sistema delle echo chambers, a farci mettere ogni giorno in discussione tutto. Con il fine di guadagnare voti o denaro.

Sul caso delle fake news sul coronavirus il Ministero della Sanità ha coinvolto divulgatori come Michele Mirabella per ridurre gli isterismi. E il ministro Speranza ha, giustamente, cercato una sponda sui social media, a cominciare da Twitter, per far diventare il Ministero un punto di riferimento. Ma si tratta di una risposta lenta: la propaganda sa immettere sul mercato dell’informazione, fake news crossmediali, che passano da Facebook agli altri social ai giornali, alle quali non si può replicare immediatamente. Il potere dell’algoritmo può essere combattuto soltanto con l’informazione di qualità, attendibile e sana.
Sul tema della sanità siamo all’era del paziente Googlante che trova ogni risposta su Google. Figuriamoci oggi in piena emergenza Coronavirus. Siamo tutti potenzialmente appestati e abbondantemente disinformati. La buona notizia è che i principali social network già dall’inizio del mese di febbraio hanno promesso il pugno duro contro la disinformazione. Twitter ha lanciato un nuovo prompt di ricerca dedicato per garantire che quando si arriva al servizio per informazioni sul #coronavirus arrivano informazioni credibili e autorevoli. Google ha dal canto suo annunciato il lancio di alert SOS in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità per rendere facilmente accessibili le informazioni dell’OMS in cima ai risultati di ricerca. Facebook è al lavoro con un drappello di fact-checker per rivedere i contenuti e smascherare false informazioni relative al virus. TikTok ha creato una sorta di etichetta che avvisa tutti gli iscritti di “verificare i fatti utilizzando fonti affidabili, tra cui l’OMS.
Quindi possiamo stare tranquilli? Non molto perché il peggio arriva su whatsapp e a volte gli spacciatori di notizie false sono così bravi a recitare che qualcuno ci casca. E il resto lo sapete. Noi italiani siamo un po’ troppo guardoni e creduloni. Purtroppo!!!