Stanotte ho sognato Matteo Salvini. Biondissima, jeans dorati, mi ha notata e invitata alla sua festa a Milano. Mi è sembrato più simpatico che in tv e gli ho detto che sarei andata. Ma poi sono stata assalita dal dubbio che forse sarebbe stato meglio presentarmi accompagnata. Non volevo che mi avesse invitata solo per il mio aspetto, non sapendo fossi una giornalista. Del resto, mi chiedevo, avrà pur visto che ho qualche anno più di lui? Comunque per mantenere le distanze, ho pensato, chiederò a qualcuno di accompagnarmi, per esempio a Vittorio Feltri, che è il direttore di Libero con cui saltuariamente collaboro, e Salvini ne ha gran stima. Poi ci ho ripensato: meglio di no, perché farei la parte della giornalista che scrive solo perché piace al direttore.
Negli anni molti direttori mi hanno dato l’opportunità di collaborare alle loro testate, ma sarebbe stata una bella fatica fare un doppio lavoro: la giornalista e l’amante del direttore, o meglio concedersi per scrivere. Oltre che moralmente indegno. Eppure ho visto certe aspiranti giornaliste sistemate in qualche redazione, nonostante non sapessero dove stesse di casa la consecutio temporum e qualcuna, cercando di imitare Oriana Fallaci, usasse pure una terminologia da postribolo. Usare le parolacce non è essere sinceri, bensì esser male educati e quindi disporre di un lessico limitato. E chi parla male, pensa male. Ma di questi tempi la povertà intellettuale si cela copiando dal web vecchi articoli di altri giornali e facendoli passare per la notizia dell’ultima ricerca scientifica di qualche università americana. È usare il sedere anche per scrivere.
Una volta la giovane fidanzata di un mio attempato amico mi disse sorridendo: “Se si chiede con gentilezza, non c’è niente che non si possa ottenere”. Oltre a ricevere da lui soldi, auto, pellicce, gioielli, gli fece staccar dal muro un De Chirico e un paio di Gentilini. Fattasi una cospicua dote, ritornò a casetta sua.
Ho sempre pensato che chiedere sia muovere a pietà, un comportamento da miserabili, mentre le cose le devi saper meritare: in tal caso ti verranno date, come un dono. Invece, gli uomini li giri e rigiri con due moine, basta saper fare la gattamorta. Eppure non pensate che sia così facile: non è da tutte. Bisogna far buon viso a cattivo gioco, saper dissimulare i propri sentimenti ed essere estremamente affettuose e servili. A certi datori di lavoro piace sentirsi dire: caro, tesoro. Si sentono adorati, invece sono solo raggirati. Proprio ieri un mio amico si lamentava: “Sembrava che pendesse dalle mie labbra: l’ho portata dappertutto, Parigi, Vienna, Egitto… Invece devo ammettere che avevi ragione tu quando anni fa mi dicesti: è un’opportunista. Mi ha usato, finché le sono servito”.
Da diciotto anni scrivo questa rubrica, LIBERA, perché sono libera di scrivere. Che per me non significa scrivere in modo sboccato o scrivere falsità o fare l’eco di quanto sostiene il direttore, ma esprimere il mio animo. Il direttore di questa testata non sa nemmeno quale argomento affronterò e mi ha sempre pubblicata. Non pretendo di piacere a tutti; spero semmai di offrire uno spunto di meditazione o un’opportunità di confronto a chi ha la bontà di leggermi. Negli anni ho ricevuto molte lettere di stima e non ho collezionato alcuna querela al solo scopo di mettermi in mostra. Pe qualche direttore forse questo è un demerito, sono però in pace con me stessa per non aver procurato un danno economico a chi mi ha dato lavoro, benché non sia mai riuscita a mantenermi collaborando come giornalista. Ho dovuto scendere a patti con me stessa e fare l’addetta stampa, che è un lavoro non creativo e di attenta mediazione, tuttavia dignitoso. La libertà interiore ha un prezzo: il sacrificio della libertà esteriore. Per me non è libertà andare in giro e postarmi con una borsetta firmata, ottenuta avendo digerito il rospo; cioè per essere andata a letto con il mio benefattore (“angelo custode” l’ha chiamato su facebook un’aspirante redattrice). Penso di valere più di una borsetta, un vestito o un orologio, che mi offerse un fidanzato che stavo lasciando. Penso di valere più di un lavoro sicuro, ottenuto ingoiando rospi.
Le vie del Signore sono infinite, ma quella del meretricio per diventare ricche e famose è una sola: passare per i letti. Se il Signore poi sia capace di riportare quante si prostituiscono sulla retta via, è un mistero della fede. L’America di una vergogna hollywoodiana ne ha fatto una virtù femminile, fino a prova contraria. Che è arrivata puntualmente con le rivelazioni su Asia Argento.