Nel 1993, l’Assemblea Generale si riunì per dichiarare il 3 maggio la Giornata per la Libertà di Stampa. La data è stata scelta per commemorare la conferenza, tenuta dalle Nazioni Unite, che ha avuto luogo in Namibia, Paese dell’Africa del sud, durante la quale i partecipanti espressero supporto per “media indipendenti e pluralistici”.
Se a questo punto vi state già annoiando, vi perdono. Nonostante abbia votato la mia carriera a difendere i diritti dei giornalisti in tutto il mondo, trovo difficile esaltarmi ogni anni quando si ripresenta la Giornata per la Libertà di Stampa.I Governi che regolarmente violano i diritti dei giornalisti rilasciano contemporaneamente solenni dichiarazioni. Le agenzie ONU che restano invisibili per la gran parte dell’anno ospitano elaborate conferenze internazionali nelle quali tutti parlano e niente si porta a casa. Un panel ONU sulla libertà di stampa è stato addirittura cancellato per non urtare la Turchia, il principale carceriere mondiale dei giornalisti.
Poi, ci sono i dati agghiaccianti. Più di 260 giornalisti sono stati imprigionati in tutto il mondo alla fine dello scorso anno, il numero più alto mai registrato da CPJ. All’inizio di questa settimana, almeno nove giornalisti sono stati uccisi in un attacco suicido perpetrato dallo Stato Islamico a Kabul, che è apparso deliberatamente puntare i media. In un ulteriore attacco lo stesso giorno, un reporter della BBC Pashto è stato ucciso a colpi di pistola nella provincia di Khost.
Questo record di uccisioni e repressioni è anche il motivo per cui la Giornata per la Libertà di Stampa serve, soprattutto quest’anno in cui il consenso intorno all’importanza di una stampa libera e indipendente ha cominciato a collassare. Per un quarto di secolo, quel consenso ha contribuito a definire policy essenziali per la libertà di espressione globale, comprese quelle che hanno facilitato la creazione del World Wide Web. Senza ciò, il futuro della libera espressione globale è a rischio.
Per comprendere la ragione, dobbiamo fare un passo indietro e pensare a come il consenso emerse. La libertà di espressione è custodita nell’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, un documento fondante delle Nazioni Unite creato nel 1948. Esso dichiara che “Ognuno ha il diritto di esercitare la libertà di espressione e opinione; questo diritto include la libertà di formarsi opinioni senza interferenze e di cercare, ricevere, rivelare informazioni attraverso i media e al di là delle frontiere”. Nel 1970, l’UNESCO, l’agenzia ONU che si occupa di libertà di stampa, commissionò un report che concluse che le agenzie con base a Parigi, New York, Londra stavano imponendo l’agenda informativa globale. Era indubitabilmente vero. Ma per l’Unione Sovietica fu anche un cuneo politico. La soluzione che proposero i Sovietici fu che i governi intervenissero per regolare i media e stabilire standard etici.
Le organizzazioni mediatiche internazionali e i governi occidentali, compresi gli Stati Uniti, si opposero alla proposta, che avrebbe gravemente minato la libertà di stampa. Nel 1948, gli Stati Uniti si ritirarono dall’UNESCO per protesta.
Cinque anni dopo, l’Unione Sovietica cominciò a collassare. I media russi, vista la discrezionalità di lavorare più liberamente sotto Glasnot (termine che indica le regole di governo più indulgenti di Mikhail Gorbachev), sfidarono i miti storici al cuore dell’URSS, e svelarono la corruzione e l’incompetenza che fino ad allora erano rimaste nascoste al pubblico. Entro quando la falce e il martello furono tolte dal Cremlino nel 1991, emerse un consenso globale sul fatto che media liberi e trasparenti potessero essere il motore della responsabilità e della legittimazione democratica.
Tale concetto fu confermato quando, due anni più tardi, fu dichiarato la Giornata mondiale per la Libertà di Stampa. Durante il decennio successivo, il mondo testimoniò una espansione senza precedenti della stampa libera, in quanto i leader autoritari si allontanarono dallo stato di controllo e dalla censura diretta. Non è una coincidenza il fatto che internet emerse proprio in questo periodo, quando c’era una minima opposizione ideologia alla creazione di una risorsa globale comune.
Il trend cominciò a ribaltarsi con l’inizio della guerra al terrorismo. Per dare qualche numero, 81 giornalisti furono imprigionati in tutto il mondo alla fine del 200o. Al termine dell’anno successivo il numero è balzato a 118, e da allora è sempre stata una traiettoria crescente. Oggi, in giro per il globo, quasi tre quarti di tutti i giornalisti imprigionati sono trattenuti per accuse di aver agito contro gli interessi dello stato. Naturalmente, la guerra al terrore attuale si è rivelata mortale per i giornalisti. Un record di 185 giornalisti sono stati uccisi in Iraq contemporaneamente dagli stessi giornalisti e dai governi che li combattono.
L’ulteriore peggioramento è seguito alle Primavere Arabe del 2011. L’abbattimento di regimi consolidati in Egitto e Tunisia, celebrato dagli avvocati della democrazia, è stato interpretato differentemente dai leader autoritari in tutto il mondo. Questi, infatti, hanno riconosciuto la necessità di controllare l’informazione per conservare il potere, e il fatto che internet abbia posto una minaccia a questo tipo di controllo. Una nuova ondata di repressione online si è abbattuta sul Nord Africa e sui paesi del Medio Oriente. Anche la Russia ha risposto non soltanto limitando la libertà dei propri media, ma anche sviluppando una capacità offensiva da utilizzare potenzialmente contro paesi come gli Stati Uniti, che Mosca crede stiano usando l’informazione per destabilizzarla.
In un periodo in cui l’informazione viene usata come arma, gli storici difensori della libertà di stampa, USA e Europa, stanno fallendo nel fare progressi. L’Europa sta avendo grande difficoltà a trovare la propria voce, forse anche perché si dibatte con una crisi della libertà di stampa in due suoi stati membri, Polonia e Ungheria, che sfidano le norme democratiche imponendo restrizioni sui media attraverso leggi punitive e campagne del governo. A Malta e in Slovacchia, due importanti giornalisti sono stati assassinati.
Nel frattempo, il presidente USA è impegnato in una guerra permanente con i media e definisce i giornalisti nemici del popolo americano. Donald Trump non mostra interesse nel difendere quel sistema internazionale che ha supportato la libertà di stampa negli ultimi due decenni. Senza una leadership globale, ci saranno ben poche conseguenze per quei paesi che violano le norme di libertà di stampa, che si tratti del governo turco che detiene un numero record di giornalisti, o i cecchini israeliani che sparano ai reporter che coprono le proteste a Gaza, o una bomba di un kamikaze a Kabul che prende di mira i giornalisti.
In tale contesto, mi sorbirò ogni proclamo per le Giornate per la Libertà di Stampa che potrò. Ogni protesta pubblica, ogni panel delle Nazioni Unite rafforza, per quanto debolmente, le norme globali che per numerosi decenni hanno supportato l’espansione di una stampa libera nel mondo. E se è certamente facile alzare gli occhi al cielo di fronte all’ennesima celebrazione delle Nazioni Unite, senza un consenso unanime sul valore e l’importanza di una stampa libera questo fondamentale diritto finirà nel dimenticatoio.
Traduzione dall’originale pubblicato su Columbia Journalism Review, a cura di Giulia Pozzi