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Charlie Hebdo mi fa schifo, ma per sempre lo difenderò

Provo disgusto per la vignetta sul terremoto del settimanale satirico francese, ma questa sua libertà è anche la nostra

Stefano De AngelisbyStefano De Angelis
charlie hebdo terremoto

La vignetta di Charlie Hebdo apparsa sotto il titolo "Terremoto all'italiana"

Time: 4 mins read

Charlie Hebdo. Per questo nome abbiamo sfilato, abbiamo urlato, abbiamo dato vita a quel tormentone ormai un po’ noioso dei “Je suis Charlie” e poi je suis quello o je suis quell’altro. Per questo magazine abbiamo provato per la prima volta un senso di reale, effettiva paura, di dover tacere dinanzi a chi ci sgozza se la pensiamo diversamente. Per quella redazione massacrata a colpi di kalaschnikov, abbiamo capito, dopo troppi decenni in cui la libertà di stampa era data ingenuamente per scontata, che nulla è poi così scontato. Specialmente al tempo del terrore fai da te.

Ma Charlie Hebdo era quel giornale che faceva satira, in modo sciocco o semplicemente rozzo, anche prima di quella famigerata strage che ha sconvolto l’Occidente in un freddo giorno di Gennaio 2015. I vignettisti di Charlie Hebdo non hanno mai risparmiato nessuno, fregandosene sempre e comunque dell’opinione pubblica, non rinunciando mai a creare con le loro matite dei fumetti che possono indignare.

Ecco perché non ho mai amato Charlie Hebdo. L’ho sempre trovato un po grossolano e decisamente volgarotto nella sua essenza. Ho sempre attuato dinanzi a quel modo di fare satira, quella forma di protesta silenziosa ma letale, che il libero mercato ha importato inconsciamente nelle nostre vite. Ovvero, non condividendo praticamente nulla del magazine francese, non corro in edicola a comprarlo. Fatti loro se senza i miei soldi riescono a campare.

Ma hanno diritto a campare, su questo non ci piove. Possiamo indignarci, possiamo definirli idioti, vignettisti senza cuore, che ridono di una disgrazia che ha causato quasi trecento morti nel cuore dell’Italia. Personalmente li definisco degli stolti, persone che ridono di un qualcosa che non fornisce alcun motivo per ridere. Ma hanno diritto a campare.

Ebbene sì, hanno diritto a campare, perché anche loro sono un simbolo e un segnale delle nostre libertà che tanto amiamo. Anche loro, con un modo di lavorare che mi lascia basito, con un modo di fare satira che non fa ridere nessuno, hanno diritto di campare e lavorare come meglio credono. Perché è un principio cardine del nostro beneamato Occidente, ovvero che con la lingua, e in questo caso con la penna, posso dire quel che voglio senza nessuno possa godere del diritto di mettermi a tacere con le armi. Ed è giusto così.

Una massima troppe volte ingiustamente attribuita a Voltaire, ma che invece fu pronunciata dalla fine pensatrice britannica Evelyn Beatrice Hall, recita “Disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo”. Ed è proprio quel che faccio io nella vita.

In questo caso disapprovo, anzi aberro completamente, queste vignette fatte sul sangue della mia gente e della mia terra. Mi indigno che qualcuno possa definire delle “lasagne”, trecento persone morte sotto le macerie di Amatrice e dintorni. Ma anche in questo caso, come sempre, mi ricordo che io ogni mattina vado a lavoro per difendere una civiltà, quella occidentale, che tra milioni di difetti, ha il pregio, inestimabile, di garantire a ognuno di noi il diritto di dire quel che pensiamo. Anche se questo dire può ferire o indignare il prossimo. Anche se questo dire è sciocco o vergognoso. Anche se questo dire sono delle vignette, che scherzano su trecento morti italiani.

Mi batto contro il terrore, proprio per garantire a tutti quella libertà, d’espressione ma non solo, che ci vogliono strappare.

Quando sfilavamo per le strade d’Europa urlando “Je suis Charlie”, quando correvamo in edicola a comprare l’ultimo numero di questo giornale francese, quando dichiaravamo guerra ai tagliagole dell’Isis che hanno massacrato la redazione parigina del giornale, non lo facevamo per Charlie Hebdo, ci mancherebbe altro. Lo facevamo perché in quel momento Charlie Hebdo rappresentava la nostra libertà di poter dire o scrivere o disegnare, quel che riteniamo più opportuno.

Le vignette di Amatrice mi indignano, sia da italiano che da giornalista. Non le condivido. Non le rispetto.

Ma, al contempo, disapprovo e non rispetto coloro che sui social sfogano la propria rabbia, insinuando che i boia dello Stato Islamico tutti i torti non li avevano, nel fare quella mattanza. Non mi sta bene, che qualcuno rida dei miei morti, così come non mi sta bene qualcuno che invoca ad altri morti. I vignettisti di Charlie Hebdo si sono sentiti in diritto, giustamente torno a dire, perché è parte del loro lavoro anche se fatto male, di deridere le nostre vittime. Bene, io mi sento libero di non comprare il loro giornale, di offenderli per i prossimi due anni su tutti i social media, di scrivere tutto quel che trovo giusto di dover scrivere in merito quelle vergognose vignette. Ma stop qui. Non siamo e non saremo mai liberi di poter uccidere qualcun altro. Liberi di fare tutto, ma di uccidere no. Ed è giusto così.

Siamo i figli d’Occidente, figli dell’illuminismo. Quella civiltà che ha elevato la libertà a valore e bene supremo. Quella civiltà che ha garantito diritti a tutti, come mai era accaduto prima nel corso della storia. E tra questi diritti, che ci piaccia o meno, figura quello di indignarsi, di offendere, di scrivere, di pensare, di deridere il prossimo. Ma anche quello di fare della sciocca satira su un dramma umano. Non è contemplato il diritto di mettere a tacere chi non la pensa come noi, con una raffica di mitra o un colpo di machete. E meno male.

Speriamo che rimanga così la nostra civiltà. Con un miliardo di difetti, ma libera. E speriamo che rimarremo così anche noi. Capaci di indignarci dinanzi l’orrore di alcune vignette disegnate da un branco di stolti, capaci di inorridire al sol pensiero di deridere trecento morti, capaci di aberrare un giornale che troppe volte nel corso della sua storia, si è dimostrato sciocco e volgare. Capaci di far tutto, ma incapaci di ammazzare. Liberi di far quel che si vuole, ma non di assassinare.

Liberi, appunto. Non assassini.

 


stefano de angelisStefano De Angelis è docente di Terrorismo e Sicurezza Internazionale presso la Questura di Chieti, consulente governativo, editorialista e autore. Tra i suoi volumi di maggiore interesse: “Il terrorismo nell’era postmoderna” (Amazon Publishing, Charleston 2014), del tascabile sociologico “Pillole Liquide” (Tabula Fati, Chieti 2015) e il best seller di categoria “Isis Vs Occidente” (Amazon Publishing, Charleston 2015).

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Stefano De Angelis

Stefano De Angelis

Stefano De Angelis (Chieti, 1986), è Presidente e CEO di De Angelis & Associates, società di investimenti specializzata in aziende operanti nell’aerospazio, difesa e cyber security. Conservatore e filantropo, nel 2019 è stato inserito tra i 40 under 40 CEO più influenti di New York City. Stefano De Angelis (Chieti, 1986). Observer of the International Community in a task force created by the United Nations and Nigerian Government to fight Boko Haram in the African country, is internationally recognized among the most prominent consultants on terrorist phenomena, warfare and homeland security. His books, translated in eleven languages, are best-sellers in the United States, Europe and Israel.

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