Non ce l’ho proprio fatta a trattenere le mani dalla tastiera. Non si tratta di un’ ulteriore analisi politica sulle cause o le conseguenze del voto britannico.
Affronto un tema tipico del punto di vista del sociologo della comunicazione: la metanarrazione sul dopo Brexit. Cosa intendo innanzitutto per metanarrazione? Un discorso sul discorso mediatico. E come è stato questo discorso? Una sovrabbondanza colossale di informazioni impossibile da gestire. Gli articoli si susseguono uno all’altro ad un ritmo incessante, arrivano da qualunque luogo, nelle svariate lingue, da ogni ambito del sapere. Ognuno ha qualcosa da dire. Le opinioni dei lettori si sovrappongono l’una sull’altra, fanno fatica a tenere il passo. Le letture degli articoli sono necessariamente superficiali, spesso si fermano ai soli titoli e sommari.
Alcune ricerche, in particolare di Chartbeat, mostrano che la maggioranza delle persone che legge on line, circa il 75 per cento, non arriva a leggere l’ultima parola scritta. Gran parte di queste si preoccupano più di condividere il pezzo con i propri contatti che di approfondire la lettura. Faccia outing chi si legge l’articolo fino in fondo prima di mettere like. Vengono letti quelli più virali, quelli suggeriti da “amici” fidati sui social o l’ultimo pezzo del personaggio famoso seguito e che piace tanto.
E poi la comprensione del senso del testo è sempre confusa e mal interpretata. A questo agenda setting, cioè la costruzione delle priorità delle notizie (ciò di cui si parla), che avviene attraverso un’interpretazione “artigianale” e rapida dell’utente dei social di tutte le informazioni che scorrono davanti agli occhi, si aggiunge quella dei media tradizionali (stampa, radio e televisione) che segue criteri definiti e controllati dai professionisti del settore, “l’ordine del giorno”.
In questo contesto così ampio e sfaccettato la partecipazione prende il sopravvento sulla conoscenza, la consapevolezza e l’informazione, attraverso atteggiamenti intrisi di emotività che sfociano in risentimento e conflitti. Basta guardare le reazioni degli utenti ad un qualsiasi articolo postato su Facebook sulla Brexit. È una bolgia dove si susseguono centinaia di commenti di tutti i tipi. È la nuova folla postmoderna che Emilio Gentile descrive così: “I caratteri specifici della folla sono la suggestionabilità, l’incapacità di ragionare, l’esagerazione dei sentimenti, il semplicismo delle opinioni e altre caratteristiche che apparentano la folla al bambino o agli esseri primitivi […] Nella folla, le attitudini coscienti, razionali e intellettuali dei singoli individui si annullano, e predominano i caratteri inconsci. I fenomeni inconsci svolgono una parte preponderante nel funzionamento dell’intelligenza”.
È la nuova ignoranza con cui ci dobbiamo cimentare, conseguenza dell’eccesso di informazione e non della sua mancanza. Un eccesso che non permette di comprendere appieno ciò di cui stiamo parlando: come distinguere fonti più o meno autorevoli? Chi è che firma l’articolo? Si tratta di un buon giornalista, di un politico che fa propaganda o piuttosto di un esperto, uno studioso più distaccato? Che tipo di giornale stiamo leggendo: schierato o meno, attento al sensazionalismo o meno? Quale peso dare alle opinioni dell’amico sui social o a quelle dell’amico dell’amico?
Le opinioni sono sempre più determinate, se cerchiamo di comprendere gli usi che facciamo dell’informazione attraverso il mezzo di fruizione, in particolare on line e sui social, dalle emozioni piuttosto che dalla ragione. Le emozioni vanno bene, si pensa, se si deve decidere velocemente. Nei forum prevalgono conflitti neo-marxisti, tra elitisti e populisti, tra istruiti e meno, tra vecchi e giovani, tra chi vota con la pancia e chi con la testa. Bisogno di riconoscimento, rivendicazione e semplificazione emergono chiaramente nella comunicazione mediata del dopo Brexit.
Consapevole che anche le mia è un’opinione che si è formata dalla lettura di una piccola parte di tutto quello che sta uscendo sul tema, con la difficoltà di provare a mettere un po’ di ordine, mi pare che tutto questo sia la cartina di tornasole di sentimenti che sono prevalsi anche nelle scelte di voto. Lo ripeto: rivendicazione, riconoscimento e semplificazione. Lo colgo nelle parole, di un’ insegnante inglese, Linda Moragh, che ha votato Leave e racconta che alla base di tutto c’è la nostalgia di un mondo più semplice. “Sappiamo che è una battaglia persa, perché non abbiamo i mezzi per sopravvivere come comunità. È tutto troppo grande e globalizzato, e sappiamo che verremo travolti. Ma almeno ci siamo ribellati”.
La globalizzazione ci sta cambiando e facciamo fatica a capirne i cambiamenti. Molti rimarranno indietro e pochi saranno davanti, probabilmente ingiustamente, ma non facciamo che questo accada nel peggiore dei modi. Va bene la ribellione ma dimentichiamoci ora e per sempre un mondo semplice, e ancor più un ideale paradiso terrestre, perché questo ha già portato distruzione e morte poco più di settant’anni fa. Qui, in Europa.