Ci sono due modi per considerare quest’ultima vicenda giudiziaria concernente l’ANAS, gli arresti, le notizie che la riguardano. Un modo è di considerarla per sè: fatto di cronaca, più o meno precisa, più o meno rilevante. Un altro modo è chiedersi se c’è un contesto, e come possa incidere sul significato della singola vicenda, ampliandolo, articolandone i contenuti. Vale a dire, restituendolo ad una verità più plausibile, meno episodica.
In sè, l’indagine sembra dirci che ci sarebbero un certo numero di dirigenti ANAS implicati nella sollecitazione, quindi nel riparto, di un certo numero di tangenti. Fra tutti, una in particolare se ne individua: Antonella Accoglianò, siciliana di Cefalù, dirigente del Coordinamento tecnico-amministrativo dell’Azienda, che, in seno ad una prima indagine della serie, nello scorso Ottobre era già stata sottoposta a custodia cautelare in carcere. Coinvolti pure alcuni uomini politici. Ad ottobre, l’ex sottosegretario alle Infrastrutture PD Luigi Meduri (nel II governo Prodi), oggi il deputato di Forza Italia, Marco Martinelli. E, naturalmente, imprese appaltatrici. Questi, in sintesi, gli elementi di una cronaca consueta, con le consuete appendici di filmati, brani di conversazioni, e via così. Va bene. Facciamo che quanto afferma la Procura di Roma sia tutto vero. Ma l’interesse pubblico pare ugualmente deboluccio: un’altra storia come tante. Paese di corrotti, male italiano, eccettera eccetera.
Ora proviamo invece ad individuare un contesto, come fosse un mosaico, supponendo esistente un interesse pubblico a più meditata comprensione.
La prima tessera da aggiungere alla cruda presentazione dei fatti riguarda la capacità del processo penale italiano di accertare una qualche persuasiva verità. Specie in vicende complesse, per numero di persone coinvolte e dei fatti o comportamenti considerati. E’ una capacità molto bassa. Esemplifico. In queste stesse ore, l’Ing. Ettore Incalza, già alto dirigente del Ministero per le Infrastrutture, ha conseguita la sua quindicesima sentenza liberatoria, tra proscioglimenti e assoluzioni. Quindici. Tutte relative a fatti di gestione. L’ultima riguardava l’Alta Velocità, sulla TAV di Firenze. Ma era stato anche coinvolto nelle inchieste G8, Mose. La sua carriera è stata compromessa, la menzogna sul “ras del ministero di Porta Pia” comunque ampiamente accreditata. Questo significa che il processo penale in Italia funziona tendenzialmente a senso unico: può nuocere, ma non può rimediare. Valgono le indagini, sempre colpevoliste, e non il processo che, se condanna, conferma l’indagine ma, se assolve, non riesce a ripristinare la situazione preesistente. Dunque il Processo Penale è un elemento disfunzionale, la cui gravità è direttamente proporzionale all’importanza socio-economica del fatto su cui la sua oggettiva capacità manipolatoria ricade.
La seconda tessera riguarda proprio la presentazione dei fatti. E’ noto che in queste settimane si è computa la fusione de La Repubblica e de La Stampa, con la rete dei giornali e settimanali annessi; più il Corriere della Sera fluttuante, dopo il suo sganciamento da parte della ex Fiat. Dunque, una concentrazione si affianca ad una non-concorrenza, occupando la gran parte dei c.d. “media indipendenti”. Consideriamo, ora, che la copertura della vicenda ANAS è copiosa, martellante. Prime pagine, e servizi colmi di atti d’indagine. E’ l’inchiesta della “Dama Nera”.
Il sistema dei media, la seconda tessera, è un secondo elemento di distorsione. Facciamo un confronto, per meglio intendere.
Nella indagine ANAS ci sono due persone che, ristrette in carcere, sembra abbiano deciso di “rendere dichiarazioni”. Sono proprio i personaggi più in vista, Accoglianò e Meduri. Ed infatti è già cominciato lo stillicidio di anticipazioni, allusioni. Inoltre, si tiene per fermo che questi sono “reati di struttura”. E’ implausibile, secondo gli investigatori, che, a questo grado di responsabilità, si potesse agire senza il coinvolgimento dei vertici, aziendali e politici. La via politica è stata aperta. Ed è stata aperta anche l’amplificazione mediatica del supposto coinvolgimento di vertice.
Bene. Ora vogliamoci al termine di confronto.
Circa sei mesi fa, si è cominciato a scoprire che l’ufficio giudiziario penale più importante d’Italia, quanto a somme e patrimoni gestiti, vale a dire, la Sezione Misure di Prevenzione Antimafia del Tribunale di Palermo, era divenuta il centro di una ricca trama di malversazioni, corruzioni, distrazioni, veri e propri saccheggiamenti di imprese, sequestrate non raramente in termini pretestuosi.
Provate, se vi riesce, a saperne qualcosa, leggendo i maggiori giornali, a cominciare da quelli del neo gruppo editoriale sopra menzionato. Per non parlare dei vari eroi del nostrano prime time, sempre pronti a straparlare di editti bulgari. Quanto all’immondezzaio palermitano, la versione che è stata fatta passare è tutto un minuetto disciplinare, tutto un ammiccare a forniture di tonno, cene non pagate: sì, scorrettezze, irregolarità, si ammette fra qualche malcelato fastidio, ma, in fondo, bazzecole. Per cui, con qualche dimissione cartolare, un paio di tavole rotonde e l’immancabile codice etico, tutto s’aggiusta.
Sommiamo ora questi fattori: processo penale, magistratura e maggiori media italiani. E provate, ancora, a immaginare, se vi riesce, quale sarebbe stato e sarebbe il quadro attuale se quella sui magistrati e il loro “cerchio magico” non fosse un’indagine a piede libero. E, invece, qualcuno dei togati indagati fosse stato sottoposto a custodia cautelare in carcere. Se i “reati di struttura”, fossero stati ricostruiti tenendo presenti l’ANM, le correnti, le votazioni e le elezioni al CSM. Tutto cioè quello che precede e segue la gestione di un ufficio giudiziario. Specialmente di quella importanza, e con gli importi implicati dalle gestioni commissariali. Circa 10 miliardi di euro, secondo una stima prudente. Considerando, pertanto, l’apparato giudiziario per quello che è: una realtà unitaria, in cui è implausibile, come in ogni struttura complessa e potente, che i vertici non sappiano. Perchè è un sistema di vasi comunicanti, e quello che accade a Palermo non può non riverberarsi a Milano, e viceversa.
Di fronte a un simile quotidiano oltraggio all’idea di uguaglianza, si può sempre fingere di avere una coscienza politica e civile offesa, dato che le indagini per corruzione sembrano costituire una figura pressocchè stabile nel panorama politico in Italia. Ma, chi lo facesse fuori di ogni contesto, sarebbe in pieno trastullo. O peggio. Mantecatti o asserviti, come quelli che ancora scrivono essere la magistratura l’unica o l’ultima istituzione a cui affidare le speranze di moralizzazione della vita pubblica.
Si possono invocare criteri esplicativi di ogni sorta, per questa “corruzione continua”: la razza (o diversità antropologica), l’incultura (il c.d. familismo amorale) e via cianciando. Ma la matrice di tutto questo “fenomeno storico” è il processo penale, e la sua capacità (incapacità) di accertamento; questa magistratura, e i suoi privilegi; questi “organi di informazione”, e il loro prevalente interesse a fomentare la valutazione pettegola, l’animosità partigiana, il postribolare scambio di silenzi e di schiamazzi. Secondo le convenienze, secondo una sfacciata discriminazione fra ambiti della vita sociale e istituzionale che meritano il clamore (elettivi e politici, pour case) e ambiti che invece godono di un costante insabbiamento, (burocratico-lobbistici).
Non intervenendo sulla causa principale, è veramente difficile che se ne venga fuori. Non ci crede più nessuno alla giustizia, ovviamente. Perciò, vale solo il contingente: prendo, e poi negozio.