Tim Cook, CEO di Apple, ricavi nel 2015 per 234 miliardi di dollari, e tutto il resto che tutti conosciamo, ha scritto una lettera. Nella quale ha spiegato che si è opposto ad una richiesta del FBI (vedremo meglio fra poco che tipo di richiesta è). Questa lettera ha molti meriti. Due, su tutti. Ha riproposto una questione fondamentale, quella del conflitto fra libertà e autorità, e gli ha conferito risonanza mondiale.
Come per la vicenda di Giulio Regeni e dell’Egitto, anche in questo caso l’Italia può capire quasi meglio dei diretti interessati, USA e our customers: come Cook ha definito i destinatari della sua lettera. Definizione ineccepibile, lo dico subito, perché non aveva altro titolo per rivolgersi a loro. La precisazione non è di mero gusto terminologico, ma mette subito capo al cuore del problema.
Si è infatti osservato, per es. Beppe Severgnini sul Corriere, che, quelli di Apple, non sono solo “clienti” ma, soprattutto “cittadini”; e che i termini della disputa fra l’azienda e l’FBI devono essere considerati nel più ampio contesto politico in cui la disputa stessa sta maturando: l’attentato del 2 Dicembre scorso a San Bernardino, California, 14 morti e 17 feriti, terrorismo, sicurezza dello Stato. Giusta precisazione, a patto però di non prenderla a pretesto per confondere ruoli e princìpi.
Per non confonderci, scortati dalla nostra amata Italia, cui dobbiamo rispetto nella verità e non gargarismi nella menzogna, cominciamo con un confronto, alla luce del quale si dovrebbe poi meglio cogliere l’esempio. L’esempio di Tim Cook.
Il confronto. Qualche anno fa, alcuni alti dirigenti tecnici e operativi di Telecom Italia (giustappunto) vennero sorpresi a ficcanasare fra dati sensibili di centinaia di migliaia di persone, compresi suoi dipendenti e suoi customers. La vicenda giudiziaria qui non interessa: se non per rilevare che il CEO, Tronchetti Provera Ing. Marco, non solo non espresse alcunché di simile alla posizione presa da Cook, ma trascorse l’intero processo accoccolato nella veste di testimone ignaro. La Procura di Milano ci credette, e noi pure, in mancanza di meglio. Fu poi comunque condannato per avere ricettato un dossier dall’Agenzia di investigazioni americana Kroll, ma era una storia laterale. Per chiudere il confronto, e trarne una massima di ordine culturale, si può dire che due Capi, di due aziende operanti nel delicatissimo terreno della comunicazione, hanno incarnato, diciamo, visioni opposte.
Siamo certi che Severgnini coglierà. Come coglierà che contestare ad Apple il suo fatturato, per svalutare la sua scelta, non aiuta a comprendere e dischiude solo l’uscio della portineria. Se in questa materia fossero ammesse la battute, si potrebbe dire che in un caso si fatturava comprimendo le libertà, e in un altro, si fattura proteggendole. Né aiuta la comprensione, ricordare precedenti collaborazioni, anche segrete (per es. l’operazione Prism della NSA) fa apparati di intelligence e uno o più dei giganti della Silicon Valley. Perché, anche ammesso tutto quello che allora si è detto o a cui si è alluso, il caso di oggi è radicalmente diverso. Ad ogni modo, chi ritiene che si sia agito male allora, dovrebbe ritenere si agisca bene oggi, visto che il comportamento tenuto da Apple è di segno opposto: del tutto “non collaborativo”.
E torniamo al FBI e a Cook. E siamo all’esempio.
Non è la prima volta che Apple viene richiesta di collaborare ad un’indagine del FBI. Gli era già successo nell’Ottobre 2014. Ci sono gli Apple Toys, ci sono i dati personali, e ci sono quelli che uccidono avendo un affarino del genere in tasca, com’è successo a San Bernardino. Così la Polizia vuole aprire queste scatole e studiarne il contenuto. Si capisce. E si capisce che non è un’esigenza bislacca. Ma si capisce anche che alle Autorità può scappare la mano. Ed è quello che sostiene Cook.
Nell’affaire in corso, due sono le particolarità. La prima è il ricorso ad un’antichissima legge degli USA, il noto All Writs Act. Risalente al 1651, la legge venne poi fatta confluire, nel 1789, nella più ampia legge istitutiva di quello che potremmo definire l’Ordine Giudiziario statunitense: The Judiciary Act.
La legge dà facoltà agli enti federali, e le Corti fra queste, di ordinare l’esibizione di alcunché (un documento, un oggetto, ecc. ) ritenuto probatorio. Questo “diritto ad ordinare” riconosciuto ai giudici, deve però essere “in armonia con gli usi e le leggi vigenti”. E, soprattutto, non deve risultare “irragionevolmente gravoso”. Sembra facile. Ma passando alla seconda particolarità affiora, e si vede, il rischio.
Quello che viene richiesto ad Apple non è di offrire una o più data base disponibili; o di mettere a disposizione i suoi tecnici per istruire gli investigatori; o di consigliare i federali quando varie opzioni informatico-investigative inchiodano ad un dubbio. Cioè, di collaborare in relazione ad un caso specifico e, mentre il caso è in corso. Come ha già fatto in passato No. Si chiede di progettare un nuovo sistema operativo, che, una volta per tutte e in linea generale, consenta, a discrezione degli investigatori, di accedere ai dati contenuti in ciascun dispositivo Apple. E’ la backdoor, come è efficacemente definita anche da Cook: la porta di servizio, ovvero una chiave universale per entrare dovunque e quando si voglia. Il nuovo sistema operativo risulterebbe “irragionevolmente gravoso”, perché equivarrebbe alla distruzione del principale asset di Apple: la Customer Privacy.
Ma questo, che sarebbe il decisivo interesse aziendale di Apple, però, ed è qui il vero cuore dell’affaire, il suo autentico valore esemplare, coincide con un interesse politico e civile altrettanto decisivo: come solo può esserlo quello alla tutela della libertà personale. Cook infatti aggiunge che, per legittimare il potere invocato dal FBI, con simili caratteri di definitività e generalità, la via giusta sarebbe quella del Congresso: cioè quella di promuovere una nuova legge. Ma è ovvio che, in questi termini, sarebbe una legge di difficilissima configurabilità. Ecco, allora, che si tenta la scorciatoia del potere generale, mascherato da potere particolare.
Naturalmente, l’FBI, come ogni pubblico investigatore e accusatore, afferma che la back door verrebbe aperta solo da pubblici funzionari, e non dal primo mascalzone che passa. La replica di Cook è tranchant: si tratta di dispositivi immateriali e, una volta vulnerati anche per una sola volta, diventano riproducibili all’istante e all’infinito. E’ Orwell. Sempre Orwell.
La libertà individuale è fragile, perché il suo nemico giurato è la paura. E la paura è come una giostra: oggi a te, domani a me. Molti di quelli che furono Law&Order contro il terrorismo, divennero poi garantisti al tempo di Tangentopoli. E molti dei garantisti negli anni ’70, sostennero poi la “Rivoluzione giudiziaria”. Solo pochi sono sempre rimasti attenti alle regole costituzionali, senza mai cedere, né sull’uno né sull’altro “fronte”, passando per Tortora e per i “grandi processi di mafia”. Da Piazza Fontana, 1969, fino a Via Palestro, 1993, da Milano a Milano, solcando tutta la Penisola, abbiamo scritto un “romanzo giudiziario e legislativo” all’insegna della paura, dei cedimenti sui principi.
Forse, se anziché avere certi CEO, ne avessimo avuti altri, avremmo scritto un’altra storia. Ad averceli, Egregio Servegnini, gli interessi “difensivi” di Tim Cook!