Obama ha mentito sull’attacco a Bengasi in cui mori l'ambasciatore Christopher Stevens? Ma in caso fosse così, dove sarebbe la sorpresa?
Dunque la Cia avrebbe scritto in un documento fatto girare tra Dipartimento di Stato, Pentagono e Casa Bianca che c’era Al Qaeda o il terrorismo islamista dietro all’attacco dell’11 settembre scorso.
Il Dipartimento di Stato di Hillary Clinton però, avrebbe fatto cambiare alcune frasi per non far capire come l’ambasciatore e la sede diplomatica di Bengasi fossero stati lasciati indifesi, pur sapendo della incombente minaccia del terrorismo jihadista. Così l’ambasciatrice Usa all’Onu Susan Rice, la domenica dopo apparse nei programmi d'informazione delle maggiori tv, per dire che ancora dovevano capire cosa fosse successo, quando invece l’amministrazione Obama sapeva praticamente già tutto.
Ma dove sta lo “scandalo”?
Quello che semmai sorprende dopo questo “cover up” della Casa Bianca, è il tono con cui certi media informano il pubblico americano: ma come si sono permessi? Sembrano dire certi articoli.
Ipocrisie. Il governo di qualunque nazione investe gran parte del tempo a cercare di non “rivelare" il suo processo decisionale ai cittadini. Poi quando inevitabilmente nei paesi dove la stampa è ancora libera e indipendente, qualcosa “leaks”, trapela, ecco che il vano tentativo di “cover up”, il nascondere non quello di cui non si voleva il pubblico venisse a conoscenza, ormai scoperto, ma i tentativi fatti in precedenza per celare e deviare le informazioni. Ma questo è il “naturale” funzionamento di qualunque governo, qualunque colore esso sia, conservatore o liberal, di destra o sinistra, perchè il potere da sempre è allergico alla “trasparenza” dei suoi processi decisionali.
Ragioni di “sicurezza nazionale”, così le amministrazioni hanno tentato di giustificare la loro incapacità di rivelare ai cittadini il perchè hanno fatto A invece di B senza prendere in considerazione che C accadesse. Ma la vera ragione di questa impermeabilità alla verità, è che chi governa destesta rivelare i propri errori, soprattutto quando si avvicinano le elezioni.
Nel mio corso al Lehman College-CUNY intitolato “Media & Democracy: da Citizen Kane a Wikileaks”, il primo giorno gli studenti vengono accolti così: “Do you like Obama? Did you vote for him? Remember, he will lie to you too!”-“Vi piace Obama, lo avete votato? Ricordatevi che anche lui vi mentirà”-.
E infatti l’amministrazione Obama, che aveva iniziato nel 2009 il mandato enunciando, proprio attraverso Hillary Clinton, la sua dottrina per la libertà su internet di informare aldilà di qualunque frontiera, alla fine si comporta come tutti i governi di questo mondo: non rivelare mai, negare, negare sempre…
Ma c’è una grande differenza, per esempio, tra gli USA e altri paesi: che qui l’informazione per restare credibile e quindi sopravvivere, deve essere sempre pronta, in agguato, e al minimo errore zac! Il “cover up” è svelato.
Con internet poi, è inutile illudersi che i governi riescano più a tenere i segreti oltre la loro durata al potere. Lo ha detto, pensate un po’, lo stesso Obama parlando all’Assemblea Generale dell’ONU lo scorso settembre.
A proposito, a risentire quel discorso (lo trovate qui) il Presidente parla ai leader di 192 nazioni soprattutto della tragedia di Bengasi. E guarda un po’ lega il tutto alla libertà di espressione, facendo un evidente “linkage” dell’incidente in Libia dove perse la vita l’ambasciatore Stevens, alla questione del video anti islamico che aveva scatenato proteste in Egitto, e che Obama con quel discorso indicava che avesse provocato anche l’assalto in Libia della sede diplomatica Usa. Ma quando Obama parlava all’Onu, sapeva che la Cia invece diceva già che si trattava di terrorismo?
L’11 settembre 2012 ero allo stake-out del Consiglio di Sicurezza. E chiesi più volte agli ambasciatori che passavano se l’incidente di Bengasi, avvenuto poche ore prima, fosse opera di terroristi, data la coincidenza della data, 11 settembre. Tutti, soprattutto la Rice, ignorarono la domanda. Non lo fece l’ambasciatore cinese Lee Baodong, che si girò e mi rispose: “Stiamo cercando di capire, la cosa è molto più seria”.
Già, ironicamente certe volte accade che sia proprio un governo non democratico ad avere l’interesse a far trapelare subito la verità. Il compito della stampa in democrazia è quello di tenere sotto controllo quando il proprio governo cerca invece di nascondere i fatti per evitare imbarazzi. Mi sembra che anche questa volta il Quarto potere negli Usa, seppur un po’ lentamente, abbia funzionato.