L’agguato fallito a Milano al direttore di "Libero" Maurizio Belpietro ci conferma come l’Italia, al di là dello spin-marketing cibo, moda e bella vita, sia un Paese in cui le dispute delle idee trovano spesso sfogo nel piombo. Questa giovane Italia, un’adolescente nazione di 150 anni, che per la sua storia travagliata, passata dall’Unità tradita di milioni di disperati spinti poi nella diaspora a cavallo del secolo, al ventennio fascista e la disfatta in guerra, fino agli anni di piombo della Guerra Fredda con protagonisti, oltre al terrorismo stragista ideologico, quello di stato&mafia, purtroppo non possiede ancora un popolo ancorato a saldi valori democratici.
Lo stesso tipo di pallottole che quasi 40 anni fa ferivano il grande giornalista italiano, Indro Montanelli, sembra che tre giorni fa avrebbero potuto colpire un preparato professionista dell’informazione militante, che negli ultimi anni ha guidato le maggiori testate di area berlusconiana. La nostra solidarietà a Belpietro: chi cerca di colpire con la violenza, invece che ribattere con le idee, chi esprime opinioni contrarie dalle sue, merita di essere sbattuto in galera con una sentenza butta chiavi.
Belpietro è tra i più riconoscibili volti del giornalismo militante berlusconiano, oltre che a dirigere "Libero", conduce una trasmissione televisiva ed è spesso ospite di altre, come per esempio in quella di Michele Santoro, dove gli spetta compito di "bilanciare" Marco Travaglio, che invece "militerebbe" nella squadra degli anti Berlusconi.
Così Italia appare normale che un politico come Massimo D’Alema, già primo ministro e ministro degli Esteri, ora presidente del Copasir (la commissione parlamentare che si occupa di servizi segreti) e che resta uno dei leader del maggiore partito di opposizione, nell’esprimere la sua solidarietà si possa rivolgere pubblicamente a Belpietro chiamandolo "collega". Proprio così, "al collega Belpietro". Perché chi è stato direttore dell’Unità quando questo era ancora l’organo ufficiale del Pci-Pds, ed essendo iscritto all’ordine dei giornalisti, si sente solidale a tutti gli effetti con un "collega". E anche perché non c’è differenza oggi in Italia tra un politico in piena attività e un giornalista che ha la responsabilità di dirigere un importante giornale nazionale. D’Alema e Belpietro militano per i campi politici opposti, ma in effetti sono "colleghi".
Sarebbe più corretto dire che ad essere stato minacciato e ad essere sotto scorta, più che un giornalista è un politico? Oppure, ma non è la stessa cosa, un giornalista al servizio della politica? Il direttore editoriale de Il Giornale, Vittorio Feltri, che come Belpietro è sotto scorta da circa otto anni, nell’esprimere la sua solidarietà al collega ha dichiarato: "Ormai in Italia ci sono due tifoserie, gli ultrà di Berlusconi e gli ultrà degli anti-Berlusconi e questo dà luogo a una reciproca delegittimazione".
Questa colonna scritta da New York prende lo spunto di questo terrificante episodio di rigurgito della storia italiana, per ribadire, per l’ennesima volta, che i protagonisti dell’attualità politica italiana, nella dialettica delle loro idee e dei loro programmi non hanno come supporto gli strumenti mediatici di una democrazia matura. Cioè strumenti non partigiani, non "alleati" o "nemici", ma di controllo. Non a loro disposizione ma al servizio del cittadino-lettore-elettore che poi eventualmente dovrà votarli o licenziarli. L’Italia ha ancora un sistema dell’informazione immaturo per una democrazia, un sistema quello italiano che assomiglia a quelli "prerivoluzionari".
Durante gli anni rivoluzionari della seconda metà del 18esimo secolo che portarono alla formazione degli Stati Uniti federali d’America e alla Prima repubblica francese, i cosidetti media erano infatti giornali che assomigliavano moltissimo, se non nella grafica nei contenuti, a quelli attuali italiani. Questi erano infatti "militanti", cioè nelle loro colonne esprimevano le idee di ogni fazione, partito o leader dei protagonisti rivoluzionari destinati poi a diventare i primi statesmen. Ancora oggi negli Stati Uniti gli eredi di quel giornalismo confezionato da politici militanti, trova il suo spazio e la sua funzione nei cosidetti "advocacy papers", in genere settimanali o mensili con scarsa circolazione ma con un certo peso nell’influenzare il dibattito delle idee dei protagonisti della politica. Ma non sono certo agli "advocacy papers" che si chiede di svolgere la funzione di "quarto potere" negli Usa, quello che dovrebbe tenere informati i cittadini senza essere al servizio del politico, sia questo al governo o all’opposizione.
Anche negli Usa ci sono sconfinamenti di campo, come ai tempi dell’editore-politico William Hearst, che ispirò il film "Citizen Kane" di Orson Wells, o più recentemente con la Fox tv (e per reazione, la CNBC). Fenomeni preoccupanti.
La democrazia italiana, non avendo un adeguato quarto potere, è circa duecento anni indietro, ma non è solo colpa di Silvio Berlusconi. Lui ha approfittato di un sistema già esistente, avvantaggiandose più e meglio di altri. Lui è il sintomo, non la malattia del sistema.