L’Unione Europea si prepara a un’escalation commerciale con gli Stati Uniti mano mano che si affievoliscono le speranze di un’intesa con la Casa Bianca. Dopo la missione a Washington del commissario al Commercio Maros Sefcovic, l’atmosfera a Bruxelles si è fatta tesa e diversi governi, inclusa la Germania, spingono ora per una risposta decisa. Sul tavolo c’è anche l’ipotesi di attivare per la prima volta il discusso strumento anti-coercizione (ACI), finora concepito principalmente in chiave cinese.
Secondo quanto riferito da fonti diplomatiche, la Commissione avrebbe spiegato agli ambasciatori degli Stati membri che ciò che fino a pochi giorni fa sembrava a portata di mano – un compromesso che avrebbe comunque mantenuto in vigore un dazio statunitense del 10% su gran parte delle esportazioni europee – sembra ormai un’ipotesi tramontata. A pesare è stata la minaccia di Trump di alzare quella soglia fino al 30% entro il primo agosto.
“Un dazio del genere renderebbe di fatto impraticabile ogni scambio transatlantico”, ha avvertito Sefcovic durante il suo briefing con i diplomatici UE. Ma l’elemento che più ha destabilizzato Bruxelles è stato l’atteggiamento degli interlocutori americani. “Ognuno proponeva soluzioni diverse. Nessuno è riuscito a dire con certezza cosa sarebbe accettabile per Trump”, ha spiegato un ambasciatore europeo a Reuters.
Anche le speranze di ottenere un alleggerimento dei dazi già in vigore – il 50% su acciaio e alluminio, il 25% su auto e componenti – appaiono ormai residue. La richiesta europea di inserire una clausola di “standstill” (cioè un impegno a non imporre nuovi dazi dopo la firma di un accordo) è stata respinta dalla delegazione americana. Secondo Washington, il presidente non può essere vincolato su questioni che rientrano nella sicurezza nazionale. Una linea che si estende anche alle indagini di tipo “Sezione 232”, che includono settori strategici come farmaci, semiconduttori e legname.
“La strada del negoziato resta la prima opzione”, precisano le fonti europee, “ma cresce la consapevolezza che bisogna prepararsi a reagire”. Attualmente, l’UE ha già un pacchetto di dazi sospesi del valore di 21 miliardi di euro su beni americani, la cui entrata in vigore è stata rinviata fino al 6 agosto. Ma un secondo pacchetto, ben più ampio, da 72 miliardi di euro, è ancora in fase di discussione.
A guadagnare terreno, parallelamente, è l’ipotesi di ricorrere al meccanismo anti-coercizione, una sorta di arma legale disegnata per difendere gli Stati membri da pressioni economiche esterne. Originariamente pensato per rispondere a Pechino, il regolamento, entrato in vigore di recente, consente all’UE di adottare misure contro Paesi terzi che impongano sanzioni o barriere per forzare un cambio di politica interna.
Nel caso americano, le misure allo studio includerebbero limitazioni all’accesso delle aziende statunitensi agli appalti pubblici europei (un mercato da oltre 2.000 miliardi di euro all’anno), restrizioni agli investimenti, minori garanzie sui diritti di proprietà intellettuale, fino a impedimenti sull’export in Europa di prodotti chimici o alimentari. Particolarmente colpito potrebbe essere il comparto dei servizi finanziari, dove gli Stati Uniti godono di un enorme surplus commerciale con l’Europa.
La Francia spinge da mesi per un uso determinato dello strumento. Berlino, finora più cauta, ha segnalato nelle ultime ore di essere disposta a considerarlo. “Non siamo ancora a quel punto”, ha dichiarato una settimana fa la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, sottolineando che l’ACI “è stato pensato per circostanze eccezionali”.
Per attivare formalmente lo strumento serve una maggioranza qualificata: almeno 15 Stati membri che rappresentino il 65% della popolazione dell’UE. La Commissione non intende procedere senza la certezza di numeri solidi, ma secondo fonti interne, il consenso starebbe crescendo rapidamente. Trump, intanto, ha già avvertito che qualsiasi ritorsione contro gli Stati Uniti sarà accolta con contromisure immediate.