Si chiama “GENIUS Act” ed è la prima norma-quadro sulla regolamentazione delle criptovalute nell’ordinamento statunitense. È entrata in vigore venerdì dopo la firma di Donald Trump a margine di una cerimonia nell’East Room della Casa Bianca a cui ha preso parte un parterre di parlamentari e dirigenti delle principali piattaforme finanziarie e crypto, tra cui Robinhood, Tether (incluso il CEO Paolo Ardoino, di origini italiane) e Gemini.
“Abbiamo lavorato duramente. È una legge molto importante, il GENIUS Act. Hanno deciso di chiamarla come me“, ha ironizzato Trump, che l’ha definita “una legge coi fiocchi“.
In realtà, quel “GENIUS” altro non è che l’acronimo di Guiding and Establishing National Innovation for U.S. Stablecoins. Il ddl era stato approvato dalla Camera il giorno precedente con 206 voti repubblicani e 102 democratici. Un passaggio niente affatto scontato, dato che solo pochi giorni prima una decina di conservatori avevano ostacolato l’iter legislativo e costretto il GOP a un compromesso.
Secondo quanto dichiarato dallo stesso presidente, è stato lui, assieme al vice JD Vance, ad alzare la cornetta per convincere i recalcitranti. “La buona notizia è che li ho chiamati: ‘Ciao, Jim, come va?’, ‘Signor Presidente, ha il mio voto’. Boom. Uno dopo l’altro. Hanno solo bisogno di un po’ d’affetto”, ha raccontato Trump, commentando ironicamente: “Purtroppo, sono sempre gli stessi”.
Ad essere regolamentate a livello federale, a onor del vero, non sono tutte le criptovalute ma specificamente le stablecoin, il cui valore è legato in modo fisso a un asset esterno, soprattutto il dollaro. Rispetto all’andamento altalenante di Bitcoin ed Ethereum, le stablecoin rappresentano nel mondo crypto un punto di riferimento teoricamente più stabile, e perciò spesso utilizzato per scambiare altre valute digitali (e che da sole valgono una market cap di 250 miliardi di dollari).
La legge stabilisce che le stablecoin potranno essere emesse solo da soggetti autorizzati dalle autorità federali, previa verifica di requisiti patrimoniali come la segregazione dei fondi di riserva, certificazioni mensili e standard minimi di capitale. Vengono poi introdotti una serie di obblighi antiriciclaggio e procedure per evitare il finanziamento al terrorismo, con supervisione diretta da parte della Federal Reserve, dell’Ufficio del Revisore dei conti della valuta (OCC) e dell’Agenzia federale di assicurazione dei depositi (FDIC).
Altro snodo cruciale riguarda la posizione dei possessori di stablecoin in caso di fallimento della società emittente. Questi avranno infatti un privilegio generale rispetto agli altri creditori, pur non essendo loro garantita la copertura integrale delle perdite.
Lo scopo del GENIUS Act, sostiene la Casa Bianca, è quello di iniettare fiducia e trasparenza nel settore delle criptovalute. Ma per gli osservatori è ancora troppo poco, e anzi si amplifica il rischio sistemico.
Innanzitutto per una questione pratica: se in teoria una stablecoin dovrebbe essere riscattabile in qualsiasi momento per un valore equivalente in dollari, tipicamente gli asset di copertura sono spesso una combinazione di titoli del Tesoro, valute fiat, criptovalute e persino oro. Il caso più emblematico è quello di Tether, principale stablecoin per capitalizzazione dopo Bitcoin ed Ethereum, le cui riserve sono in gran parte formate da asset liquidi e non sempre equivalenti a contante immediatamente disponibile.
C’è chi si spinge poi fino ad apostrofarla come una ricetta per il prossimo crac finanziario. Tra questi Adam Levitin, professore di diritto alla Georgetown University, secondo cui il provvedimento introduce modifiche pericolose alla normativa fallimentare USA, “spianando la strada per un potenziale salvataggio del settore a spese del contribuente”.
“La GENIUS Act promette sicurezza agli investitori in stablecoin senza costi, ma sarà il governo a doverla garantire di tasca propria. In altre parole, predispone un salvagente federale“, ha spiegato Levitin al portale Bankrate.
Il nodo, secondo il giurista, è duplice: da un lato c’è il rischio di custodia, come dimostrano i recenti scandali che hanno coinvolto exchange come FTX e, più di recente, Coinbase, e dall’altro quello dell’insolvenza dell’emittente. “Chi detiene le stablecoin diventa un creditore non garantito se il custode fallisce. E se i fondi non sono accessibili subito, l’effetto domino può essere devastante“, ha aggiunto.
Chi invece esulta è il settore delle criptovalute, che pregusta l’ennesimo boom a Wall Street. Alcuni colossi bancari come Bank of America stanno già valutando l’emissione di stablecoin ancorate al dollaro, e lo stesso potrebbero fare in futuro grandi retailer come Walmart o Amazon. Una maniera, secondo i sostenitori del provvedimento, di sdoganare finalmente l’uso di criptovalute nella prima economia del mondo. Ma che, secondo i detrattori, invece che evocare paragoni con la lampada di un altro “genio” – quello in Aladino, capace di risolvere tutti i problemi se adeguatamente evocato – rischia piuttosto di scoperchiare il vaso di Pandora.