Donald Trump ha alzato nuovamente i toni sul commercio internazionale, questa volta puntando dritto contro l’Europa. “Gli Stati Uniti d’America sono stati truffati sul COMMERCIO (e sulla DIFESA!) da amici e nemici, per DECENNI”, ha scritto il presidente su Truth Social. “Ci è costato migliaia di miliardi di dollari, e non è più sostenibile. Non lo è mai stato”.
Con il primo agosto come scadenza chiave, Trump ha minacciato di imporre dazi fino al 30% su numerose importazioni europee. Il messaggio è chiaro: basta concessioni, è il momento di “fare ciò che è giusto per l’America”. “I Paesi dovrebbero dirci ‘grazie per tutti questi anni di passaggi gratuiti’. Noi risponderemmo: ‘Grazie per aver compreso la situazione, molto apprezzato’”.
Ma nonostante il tono aggressivo, il presidente ha lasciato aperto uno spiraglio per la trattativa. “Siamo sempre disponibili a parlare, anche con l’Europa. Infatti stanno arrivando. Vogliono parlare”, ha dichiarato Trump, accogliendo nello Studio Ovale il nuovo Segretario generale della NATO, Mark Rutte. L’ex premier olandese ha avviato il suo mandato nel pieno delle tensioni commerciali transatlantiche e nel bel mezzo del nuovo riarmo occidentale.
“Gli accordi sono già conclusi, le lettere valgono come accordi”, ha insistito Trump, “ma se vogliono rinegoziare, noi siamo pronti al dialogo. Sempre”.
Dietro il tono apparentemente conciliante, però, si cela la volontà di ricalibrare radicalmente le relazioni transatlantiche.
In risposta all’avanzata trumpiana, l’ex presidente Barack Obama ha lanciato un appello accorato ai democratici durante un evento per la raccolta fondi nel New Jersey: “Penso che servirà un po’ meno autocompiacimento, un po’ meno lamentele e meno posizioni fetali. È il momento di intervenire e fare qualcosa”.
Obama ha esortato il partito a smettere di cercare soluzioni rapide o un leader messianico: “Avete ottimi candidati in corsa. Sosteneteli”. Il riferimento era anche alle elezioni anticipate in New Jersey e Virginia, viste come test fondamentali per resistere alla pressione repubblicana. E ha rincarato: “Non venitemi a dire che siete democratici ma siete delusi e quindi non fate nulla. Questo è proprio il momento in cui dovete fare qualcosa”.
Il tono si è fatto ancora più duro quando l’ex presidente ha avvertito che gli Stati Uniti sono “pericolosamente vicini” a un governo autoritario. “Non sono sorpreso da Trump, ma dai limiti che non esistono più nel partito repubblicano”.
Parallelamente allo scontro sui dazi, il presidente ha messo sotto pressione anche il Congresso per approvare un pacchetto di tagli da 9,4 miliardi di dollari, colpendo in particolare la Corporation for Public Broadcasting e diversi programmi di aiuti internazionali. Il meccanismo utilizzato è quello delle “rescissioni”, uno strumento raro ma potente che consente alla Casa Bianca di congelare i fondi già autorizzati se il Congresso non agisce entro 45 giorni. Il termine scade questo venerdì.
La Camera ha già approvato la proposta con un margine risicato (214-212), ma il Senato si trova ora a un bivio. Alcuni senatori repubblicani, come Lisa Murkowski (Alaska) e Mike Rounds (South Dakota), hanno espresso preoccupazioni per le ricadute dei tagli su radio pubbliche e comunità tribali. “Quasi tutte falliranno senza quei fondi”, ha avvertito Murkowski.
Ma il cuore del pacchetto è ancora più controverso: 8,3 miliardi verrebbero sottratti a programmi umanitari e sanitari, incluso il PEPFAR, l’iniziativa bipartisan lanciata da George W. Bush per combattere l’HIV/AIDS nei Paesi in via di sviluppo. Secondo l’OMB, si tratterebbe di tagli “chirurgici”. Per molti legislatori, però, sono colpi profondi a settori vitali della diplomazia americana.
Russ Vought, direttore dell’Office of Management and Budget, e artefice del Project 2025, ha cercato di giustificare la scelta citando “sprechi ideologici” nei media pubblici. Ma la strategia ha suscitato reazioni trasversali. Mitch McConnell ha definito l’intervento “caotico” e ha ammonito che lasciare vuoti nei programmi internazionali “apre la strada alla Cina”. A rendere ancora più tesa l’atmosfera, il presidente ha lanciato un avvertimento via social ai senatori repubblicani che valutano di opporsi al pacchetto: “Qualsiasi repubblicano che voti per consentire ai media pubblici di continuare a trasmettere non avrà il mio sostegno o la mia approvazione”.
La strategia di Trump rappresenta una sfida diretta al sistema di pesi e contrappesi. Come ha sottolineato Chuck Schumer in una lettera ai colleghi, “il modo in cui i repubblicani risponderanno a questa richiesta di rescissioni avrà gravi implicazioni per il Congresso e per il ruolo stesso del ramo legislativo”.
Mentre Trump agita lo spettro dei dazi contro l’Europa, castiga i media pubblici e ritira fondi a programmi umanitari, i democratici cercano di ritrovare compattezza. Obama li esorta a rialzarsi. Il Congresso è chiamato a decidere non solo su bilancio e commercio, ma su quale idea di America intende sostenere: una fondata sull’autorità del potere esecutivo o su un equilibrio istituzionale che, almeno finora, ha tenuto insieme la più antica democrazia del mondo.