Il dollaro inciampa e raggiunge i livelli più bassi degli ultimi tre anni. Il calo, pari a circa il 10% dall’inizio del 2025, è il riflesso combinato di aspettative crescenti su tagli dei tassi da parte della Federal Reserve, la banca centrale americana, e timori legati alla politica commerciale degli Stati Uniti, che stanno spingendo i capitali verso lidi più sicuri.
Giovedì, il Bloomberg Dollar Spot Index, l’indice finanziario che misura la forza del dollaro statunitense, ha registrato un calo dello 0,8%, toccando il punto più basso da aprile 2022. A trarne beneficio sono state tutte le principali valute del Gruppo dei 10: l’euro ha raggiunto i valori più alti dal 2021, mentre la sterlina ha toccato un picco che non si vedeva da un triennio.
Il nuovo scivolone è arrivato dopo la pubblicazione dei dati sull’inflazione dei prezzi alla produzione di maggio, che hanno mostrato un rallentamento superiore alle attese. Questo, unito ad altri segnali di debolezza economica, ha alimentato le previsioni di un prossimo allentamento monetario da parte della Fed, che tornerà a riunirsi il 18 giugno.
A peggiorare la situazione ha contribuito l’annuncio del presidente Donald Trump, intenzionato a notificare unilateralmente nuovi dazi ai partner commerciali. Helen Given, analista di Monex Inc, una società giapponese di servizi finanziari, ritiene, come affermato alla rivista Bloomberg, che queste minacce tariffarie stiano alimentando un clima di incertezza tale da rafforzare le scommesse su un intervento espansivo della Fed. Gli operatori, ha voluto aggiungere, prevedono un ulteriore calo del dollaro tra il 5% e il 6% nel corso dell’anno.
Anche Paul Tudor Jones, promotore del fondo Tudor Investment Corp., una società di hedge fund e gestione patrimoniale, si è espresso con toni cauti, ipotizzando un indebolimento del 10% entro dodici mesi, spinto da un taglio “drastico” dei tassi a breve termine.
Nei primi mesi del 2025, il biglietto verde ha già ceduto oltre l’8%. A pesare sono le crescenti preoccupazioni per l’impatto delle politiche fiscali e commerciali dell’amministrazione repubblicana, che secondo diversi strateghi di Wall Street continueranno a gravare sulla valuta. I dati della Commodity Futures Trading Commission, l’ente federale statunitense che regola i mercati dei derivati, mostrano infatti una crescente posizione speculativa al ribasso per un valore di circa 12,2 miliardi di dollari.
A preoccupare gli investitori è anche il rischio di un ritorno dell’inflazione accompagnato da una recessione. Le richieste di sussidi di disoccupazione ricorrenti, sono salite a numeri record dalla fine del 2021, segnalando un mercato del lavoro in difficoltà. L’attività del settore servizi, secondo l’ISM, è tornata in contrazione per la prima volta da quasi un anno.
Nonostante queste ombre, un segnale positivo è arrivato dall’asta di titoli del Tesoro a 30 anni, che ha raccolto una domanda robusta, segno che alcuni investitori vedono ancora valore nei bond statunitensi di lungo periodo.
Alle 16:00 di giovedì a New York, l’indice del dollaro risultava in calo dello 0,6%. L’euro veniva scambiato a 1,1579 dollari, dopo aver toccato in precedenza quota 1,1631. Anche la sterlina britannica ha guadagnato, salendo dello 0,4%.
Gli analisti di Pictet, una delle principali banche private e società di gestione patrimoniale indipendenti, hanno previsto un’ulteriore flessione della moneta, sottolineando come l’instabilità delle posizioni della Casa Bianca possa ampliare il deficit commerciale e ridurre la domanda di asset denominati in dollari.
Il franco svizzero e l’euro si sono distinti come le valute più performanti dall’inizio dell’anno, con l’Europa favorita dalla nuova spinta alla spesa pubblica tedesca che potrebbe rafforzare la crescita continentale.
Nel frattempo, le divise dei mercati emergenti hanno guadagnato oltre il 6%, sostenute dal generale indebolimento del dollaro. Secondo gli analisti di MUFG, guidati da Derek Halpenny, la seconda metà del 2025 potrebbe vedere un’accelerazione del trend ribassista del dollaro, a fronte di un contesto sempre più fragile.