Il fragile equilibrio raggiunto a maggio tra Cina e Stati Uniti sembra già sul punto di crollare. Pechino ha accusato Washington di aver infranto gravemente gli accordi presi durante l’incontro di Ginevra e minaccia una risposta “risoluta e decisa” per proteggere i propri interessi economici e strategici.
La crisi fa vacillare anche la possibilità di un imminente colloquio telefonico tra il presidente Donald Trump e il leader cinese Xi Jinping, contatto auspicato dalla Casa Bianca per sbloccare lo stallo nei negoziati commerciali.
In una nota diffusa dal Ministero del Commercio cinese, Pechino ha rigettato le affermazioni del politico repubblicano secondo cui sarebbe stato il “Paese di Mezzo” a violare il consenso raggiunto. Per le autorità cinesi, sarebbero stati invece gli USA ad agire unilateralmente, introducendo nuove restrizioni discriminatorie che includono il blocco dell’export di software per la progettazione di chip, nuove regole sull’export di tecnologie legate all’intelligenza artificiale, e la revoca di visti per studenti cinesi.
Il tono della dichiarazione è stato netto: qualora Washington insista nel proseguire su questa linea, saranno adottate ulteriori misure per difendere diritti legittimi. Il governo cinese ha anche fatto riferimento a un’intesa risalente al 17 gennaio, data dell’ultima conversazione diretta tra Trump e Xi, accusando lo stato a stelle e strisce di averla disattesa, senza tuttavia fornire ulteriori dettagli.
Le ripercussioni sui mercati non si sono fatte attendere: le borse asiatiche hanno registrato cali significativi, con l’indice dei titoli cinesi quotati a Hong Kong in flessione fino al 2,9%, il peggior dato degli ultimi due mesi.
La tensione commerciale si inserisce in un contesto già complicato anche sul piano geopolitico. Oltre alle restrizioni economiche, il governo americano ha annunciato il blocco delle esportazioni di componenti chiave per motori a reazione. Inoltre, il Dipartimento di Stato ha criticato il comportamento della Cina nei confronti di Taiwan, definendolo una minaccia imminente alla stabilità dell’area. La Repubblica asiatica ha risposto con fermezza, protestando contro le parole del segretario alla Difesa americano, Pete Hegseth.
Fonti statunitensi, ritengono che uno dei punti critici possa essere anche l’esportazione di terre rare, fondamentali per la produzione di tecnologie avanzate. Washington accusa Pechino, di non aver aumentato in modo sufficiente le forniture, nonostante gli impegni presi. Mentre i cinesi sostengono di aver rispettato gli accordi con trasparenza e buona fede.
Nel frattempo, il leader del GOP ha ribadito la volontà di parlare con Xi Jinping, con la speranza che un confronto diretto possa sbloccare l’impasse. Tuttavia non sono previste al momento visite ufficiali. Il consigliere economico della Casa Bianca, Kevin Hassett, ha dichiarato di aspettarsi una telefonata nel corso della settimana, mentre il segretario al Tesoro, Scott Bessent, ha ammesso che i colloqui bilaterali sono attualmente in stallo.
Il clima di sospetto e le accuse reciproche rischiano di vanificare mesi di sforzi diplomatici. La tregua commerciale, annunciata, potrebbe essere già al capolinea.