A Ginevra, Cina e Stati Uniti hanno raggiunto un accordo per la riduzione del 115% delle proprie tariffe, una tregua che ha portato a un abbassamento dal 145% al 30% per le merci Made in China destinate al mercato americano e dal 125% al 10% per l’export statunitense verso la Repubblica Popolare. Il risultato ottenuto da Pechino nella guerra commerciale contro Washington potrebbe dar luogo a un diffuso cambio di approccio nelle risposte alle minacce dell’amministrazione Trump. L’aver trovato un’intesa ha mostrato come l’atteggiamento di sfida adottato dalla Cina, che aveva risposto applicando significativi contro-dazi alle merci americane, ha portato i suoi frutti. Come segnalato da un articolo su Bloomberg, diversi Paesi hanno cambiato tono, tra questi l’India, la Corea del Sud e il Giappone.
Un rilancio diplomatico significativo è avvenuto anche da parte di Brasile e Colombia, che prima dell’attuale stop di 90 giorni avevano ricevuto un’imposizione al 10%. Martedì 13 maggio la Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (CELAC) si è riunita a Pechino dove i presidenti brasiliano e colombiano, Lula e Gustavo Petro, si sono incontrati con l’omologo cinese Xi Jinping. I due Paesi latinoamericani agiscono in un modo molto comune a quelli dell’area, intrattenendo rapporti economico-commerciali e diplomatici sia con la Cina che con gli Stati Uniti.
Durante l’incontro Xi ha annunciato 9 miliardi di dollari (in valuta cinese) di credito ai Paesi latinoamericani, rafforzando la presenza cinese nell’area.
La Colombia è storicamente un alleato degli USA sul piano militare nonché un importante percettore di aiuti economici, che dall’arrivo di Trump sono stati fortemente ridotti. Bogotà è stata anche colpita dal taglio di una linea di credito di 8,1 miliardi di dollari da parte del Fondo Monetario. In questo scenario problematico per le relazioni con Washington, Petro ha aderito alla Belt and Road Initiative di Pechino, il progetto infrastrutturale del gigante asiatico. I questo modo ha rafforzato in modo notevole, e plateale, i propri legami con la Cina, a costo di infastidire gli Stati Uniti prima del termine della tregua commerciale.
In occasione dello stesso incontro, anche il Brasile di Lula ha aumentato i propri legami con la Cina. Brasilia ha firmato la scorsa settimana 30 accordi con Pechino per un totale di 5 miliardi di dollari in investimenti diretti al Paese sudamericano. Tra questi, un progetto per lo sviluppo di un carburante sostenibile destinato all’aviazione e varie collaborazioni nel settore farmaceutico. Si aggiunge poi l’idea per la costruzione di un’ambiziosa ferrovia che connetta le coste dell’Atlantico a quelle del Pacifico, dal Brasile al Perù. Nella conferenza stampa successiva all’incontro con Xi Jinping, il presidente Lula ha detto che “non teme una ritorsione statunitense […]. Trump prenda le decisioni che ritiene corrette per gli Stati Uniti e noi prenderemo quelle corrette per il Brasile”.
La guerra commerciale è tutt’altro che finita. L’ultimo scontro in atto riguarda i semiconduttori prodotti dall’azienda cinese Huawei, sui quali Washington ha raccomandato le proprie aziende di non farne uso, nonostante gli accordi raggiunti a Ginevra con Pechino. In risposta, il Ministero del Commercio cinese ha promesso «misure risolute». A essere cambiato, sulla scia delle mosse cinesi, è semmai l’atteggiamento di diversi Paesi nei confronti di Washington, alle prese con le risposte di circa 180 Stati destinatari dei propri dazi. Tuttavia, non tutti possono permettersi di fare la voce grossa. Un caso su tutti è quello del Vietnam – gravato da tariffe fra le più alte –, la cui economia dipende per un terzo da quella statunitense.