Se per la dottrina cattolica, il pontefice è il Vicario di Cristo e risponde solo a Dio, con la nomina del cardinale Robert Prevost a Papa Leone XIV subentra un’altra autorità: l’Internal Revenue Service, lo sportello analogo all’Agenzia delle Entrate negli Stati Uniti. A meno che non rinunci alla cittadinanza statunitense, Prevost dovrà comunque presentare la dichiarazione dei redditi nel 2026.
Secondo le leggi fiscali statunitensi, tutti i cittadini vengono considerati come contribuenti, anche chi fa parte del clero, risiede all’estero e non percepisce uno stipendio fisso, come nel caso di Papa Leone XIV. Ci sono esenzioni, fino a 130.000 dollari per il 2025, per chi vive al di fuori degli Stati Uniti per la maggior parte dell’anno. Tuttavia, il pontefice potrebbe non avere la possibilità di sfruttare queste agevolazioni perché riceve diversi benefici da un governo straniero. Il Vaticano, infatti, provvede a tutte le sue necessità, inclusi alloggio, vitto, trasporti e una modesta indennità personale, che rientrano nel reddito imponibile.
Secondo il Washington Post, è la prima volta che un pontefice assumerebbe un commercialista per compilare la dichiarazione dei redditi perché gli altri Stati non la prevedono per i residenti all’estero. “Gli ultimi papi – ha dichiarato Jared Walczak del think-tank apartitico Tax Foundation – provenienti da Polonia, Germania e Argentina non sono stati tassati dai loro Paesi d’origine”.
Non è ancora confermato che Papa Leone XIV compilerà la dichiarazione dei redditi statunitense. Il Congresso potrebbe approvare una legge ad hoc per risolvere la controversia.