È ufficiale: il fine settimana di colloqui fra Stati Uniti e Cina a Ginevra incentrati sulla guerra commerciale fra i due Paesi è stato proficuo: è stato trovato un accordo per una parziale sospensione dei dazi. In una dichiarazione congiunta, i due Paesi hanno affermato che sospenderanno i rispettivi dazi per 90 giorni e continueranno i negoziati iniziati durante il fine settimana. Secondo l’accordo, gli Stati Uniti ridurranno il dazio sulle importazioni cinesi dal 145% al 30%, mentre la Cina abbasserà il dazio sulle merci statunitensi dal 125% al 10%.

“Abbiamo concluso che condividiamo un interesse comune”, ha dichiarato il Segretario al Tesoro Scott Bessent in una conferenza stampa a Ginevra, dove nel fine settimana si sono incontrati funzionari statunitensi e cinesi. “Abbiamo raggiunto un accordo su una pausa di 90 giorni e abbiamo sostanzialmente abbassato i livelli tariffari. Entrambe le parti abbasseranno i dazi del 115%”, ha spiegato Bessent. Una decisione che mette fine, per il momento, al rialzo incontrollato dei dazi fra Washington e Pechino, scatenato dalla politica commerciale intrapresa dall’amministrazione Trump e di cui la Cina è stata la vittima principale, seppur non l’unica, subendo le percentuali più pesanti. I maxi-dazi voluti da Donald Trump ad aprile – imponevano una minima del 145% su gran parte delle merci cinesi, cui Pechino aveva risposto con un’imposizione del 125% sui prodotti statunitensi.
L’accordo è più ampio del previsto: si era parlato di un taglio dei dazi fino al 50-60%, mentre ora si arriva al 30%. Donald Trump, intervenuto venerdì scorso, aveva detto “L’80% mi sembra giusto”, lasciando però intendere che la decisione finale sarà rimessa a Bessent.
I due Paesi hanno deciso anche di istituire un meccanismo per proseguire i colloqui su questioni economiche, facendo trasparire l’intenzione di lavorare per distendere i rapporti, almeno dal punto di vista commerciale.
Bessent ha precisato che il presidente è stato aggiornato in tempo reale sull’andamento dei lavori.
Jamieson Greer, rappresentante Usa per il commercio, parlando ai cronisti aveva detto domenica che l’intesa dovrebbe contribuire a ridurre l’attuale deficit commerciale statunitense, stimato in oltre 1.200 miliardi di dollari. “È stato un confronto molto costruttivo. Raggiungere un’intesa in tempi così rapidi dimostra che le distanze erano forse meno profonde di quanto si pensasse”, ha aggiunto. Il rappresentante ha poi sottolineato la durezza della controparte cinese: “Sono negoziatori tosti”.
Sabato Trump aveva commentato la prima giornata di negoziati come “molto positiva”. Su Truth Social, il presidente statunitense aveva parlato di “una piena ripartenza dei rapporti, negoziata in modo amichevole ma costruttivo”, aggiungendo che si stava lavorando “per aprire la Cina al business americano”.
Anche la stampa cinese aveva riconosciuto l’importanza del confronto. Pechino aveva definito i colloqui come “un passo importante per promuovere la risoluzione della controversia”, si legge in un commento pubblicato dall’agenzia di stampa ufficiale cinese Xinhua.
Secondo alcune indiscrezioni, tra le concessioni sul tavolo da parte cinese ci sarebbe un impegno concreto a limitare l’export di precursori chimici utilizzati nella produzione di fentanyl, oltre a una possibile apertura sull’acquisto di beni americani e una ripresa degli investimenti diretti negli Stati Uniti. Dopo aver spostato gran parte delle sue importazioni agricole verso il Brasile e altri Paesi del Sud globale, Pechino sarebbe disposta anche a rivedere alcune rotte commerciali.
I dati pubblicati venerdì dalle dogane cinesi mostrano intanto che le esportazioni verso gli Stati Uniti sono crollate del 21% rispetto ad aprile dello scorso anno. Ciononostante, l’export complessivo della Cina è salito dell’8,1%, grazie a un riorientamento verso i mercati del Sud-est asiatico, dell’America Latina, dell’Europa e dell’Africa. Parte di questi flussi potrebbe comunque essere dirottata nuovamente verso gli Stati Uniti attraverso triangolazioni.
Negli Stati Uniti, l’impatto sulle infrastrutture logistiche si è già fatto sentire. Il traffico nei porti è in netto calo, con ricadute immediate per trasportatori, compagnie ferroviarie e centri di stoccaggio. Nelle prossime settimane anche la distribuzione al dettaglio e l’industria manifatturiera potrebbero risentirne, man mano che si esauriranno le scorte. Parallelamente, anche le fabbriche cinesi cominciano ad accusare il colpo.
Secondo Goldman Sachs, l’inflazione potrebbe raddoppiare entro fine anno, toccando quota 4%, proprio a causa delle tariffe. Anche con l’intesa, i prezzi non scenderebbero subito: le navi cariche di merci tassate al 145% stanno attraccando in questi giorni nei porti americani.
L’elenco dei beni cinesi presenti nel quotidiano degli statunitensi è lungo e trasversale: scarpe, abbigliamento, microchip, elettrodomestici, giocattoli, articoli sportivi, pezzi di ricambio per uffici, prodotti per l’infanzia. Secondo la National Retail Federation, nella seconda metà del 2025 le importazioni verso gli USA sarebbero calate di almeno il 20% su base annua. Ma dal lato cinese il crollo sarebbe stato più netto: JPMorgan prevedeva un tracollo tra il 75 e l’80%.