L’improvvisa decisione di Donald Trump di imporre un dazio del 100 per cento su tutti i film proiettati negli Stati Uniti ma prodotti all’estero non è una semplice bizzarria elettorale. L’obiettivo dichiarato è “riportare la produzione in America”. Ma nessuno — nemmeno tra i più ingenui — può credere davvero che basti un dazio per cambiare la traiettoria di un’industria che si è globalizzata non per tradimento, ma per necessità. Oggi, produrre in Canada, Nuova Zelanda, Ungheria o Sudafrica è più economico, più semplice. Non è Hollywood a fuggire: è l’America che non riesce più a trattenerla.
Gli Stati Uniti dominano ancora l’intrattenimento globale, esportando molti più contenuti di quanti ne importino. Nel 2024, i dieci film con maggior incasso erano tutti americani e le grandi piattaforme puntano sulla produzione locale per mercati internazionali. Imporre dazi ai film stranieri è un gesto autolesionista che rischia di compromettere un equilibrio commerciale favorevole e un modello industriale che funziona.
La Cina ha già reagito, riducendo ulteriormente le quote di film americani nel proprio mercato. Molti Paesi, dall’Europa al Medio Oriente, potrebbero seguire lo stesso esempio. E mentre Trump parla di “fare film in America”, nessuna misura concreta per ridurre i costi interni di produzione è stata annunciata. Gli stessi attori nominati da Trump come “ambasciatori culturali” – Mel Gibson, Sylvester Stallone, Jon Voight – rimandano a un cinema americano ormai distante dall’industria attuale. Nel frattempo, le maestranze californiane si spostano in Georgia, in Messico, in Marocco. O si reinventano su set virtuali.
Oggi un film coreano può vincere l’Oscar, uno spagnolo può dominare le classifiche globali delle piattaforme, e una produzione americana può essere girata a Budapest o Roma senza perdere rilevanza culturale o commerciale. L’Italia è uno degli esempi più evidenti di questa trasformazione. Cinecittà, rilanciata grazie a investimenti pubblici e incentivi europei, è diventata un hub di riferimento per le produzioni internazionali. Tra gli ultimi titoli girati a Roma ci sono la serie Those About to Die con Anthony Hopkins, il sequel d’azione The Old Guard 2 con Charlize Theron e Conclave, thriller ambientato in Vaticano con Ralph Fiennes.
Pensare di riportare tutto “in casa” a colpi di dazi è il segno di un sistema che rifiuta la competizione globale, non investe su sé stesso e cerca soluzioni nel passato a problemi che non sa più gestire. È una scelta che limita la libertà creativa: non difende Hollywood, la riduce—la rende più piccola, più chiusa, più provinciale.