Nel giro di pochi giorni, 1.800 miliardi di dollari sono stati spazzati via dai listini americani, in un’ondata di panico scatenata dalla nuova politica tariffaria dell’amministrazione Trump. La tempesta ha investito anche le Borse europee, dove la tensione geopolitica, l’inflazione persistente e il rischio di recessione stanno ridisegnando l’umore degli investitori. C’è chi fugge, chi si paralizza, e chi, come Massimo Paone, il nostro interlocutore, osserva con lucidità il cambiamento, cercando di anticipare le traiettorie di lungo periodo. Economista, consulente finanziario e gestore di portafoglio per una delle cinque maggiori banche americane, Paone vive e lavora a New York da oltre vent’anni. Lo abbiamo intervistato per capire se davvero siamo sull’orlo del collasso o solo all’inizio di una nuova era.
Ci potrebbe spiegare quali sono le principali differenze fra Wall Street e le altre Borse mondiali?
“La vera differenza fra Wall Street e mercati come quello italiano è innanzitutto la dimensione. Molte aziende americane, prese singolarmente, hanno una capitalizzazione di mercato superiore all’intero listino milanese. Addirittura, Apple, Microsoft e Nvidia oggi valgono più dell’intero PIL italiano.”
Secondo l’economista, il mercato americano beneficia di un accesso ai capitali globali che nessun’altra Borsa può vantare. E questo, nonostante la crescente interconnessione delle informazioni a livello globale: “Le stesse informazioni sono disponibili nella Grande Mela come a Milano, Tokyo o Shanghai, e i mercati le prezzano quasi in tempo reale. Ma è la scala operativa che fa la differenza.”
In quale misura e perché secondo lei le recenti politiche dell’amministrazione Trump hanno contribuito al crollo del mercato statunitense e mondiale?
“Le politiche tariffarie dell’amministrazione Trump hanno avuto un impatto negativo immediato e profondo sui mercati. L’annuncio del cosiddetto ‘Liberation Day’ ha creato panico non solo sul mercato azionario, ma anche su quello obbligazionario.”
Se i dazi venissero mantenuti nel lungo periodo, il rischio è quello di una riduzione generalizzata degli utili aziendali. Paone stima un calo tra il 3% e il 4% per l’S&P 500 nel 2025, con effetti particolarmente duri su settori globalizzati come l’automotive, il tecnologico, l’hardware e la chimica.
“Le aziende con una supply chain globale subiranno un impatto più forte. Aumenti nei costi, compressione dei margini, rallentamento degli investimenti e possibile perdita di posti di lavoro sono tutti effetti a catena. Il paradosso? I dazi, nati per riportare lavoro negli USA, rischiano di fare esattamente il contrario.”

In che modo la volatilità del mercato ha influenzato gli investitori istituzionali e retail?
“Prima della momentanea marcia indietro della Casa Bianca, il 9 aprile scorso, il mercato era in caduta libera. L’S&P 500 ha perso 5,8 trilioni di dollari, per poi recuperarne 4. Il saldo netto è stato comunque una perdita da 1,8 trilioni.”
Secondo Paone, quel che più preoccupa non è tanto il numero in sé, ma il comportamento degli investitori stranieri: “Per la prima volta hanno cominciato a disinvestire dagli Stati Uniti come se si trattasse di un mercato emergente. Un segnale gravissimo.”
Quali lezioni possono essere apprese dai paesi europei, dopo questa fluttuazione?
“La lezione più importante per l’Europa? Proteggere l’indipendenza della Banca Centrale,” avverte, “Le pressioni dell’amministrazione Trump sulla Federal Reserve sono un pericolo sistemico. Minano la fiducia nella governance economica americana.”
Il rischio è che la perdita di credibilità della Fed porti a una riallocazione globale dei capitali, spingendo gli investitori a rifugiarsi in mercati più stabili. E se la Fed dovesse intervenire per motivi politici, con tagli dei tassi fuori tempo, l’inflazione esploderebbe, costringendo a interventi ancora più drammatici.
“JP Morgan ha già segnalato che un processo di de-dollarizzazione, stimolato da una governance percepita come instabile, porterebbe a una sotto-performance strutturale degli asset statunitensi.”
Che tipo di strategie possono essere consigliate agli investitori che si muovono in un mercato sempre più condizionato da incertezza politica?
“In un contesto del genere bisogna essere cauti. Non sappiamo ancora se ci sarà una vera guerra commerciale o se tutto si risolverà in un compromesso. Ma nel frattempo, alcune strategie difensive possono essere molto efficaci.”
Settori come utilities, real estate e healthcare risultano storicamente più resistenti alle turbolenze politiche e potrebbero essere premiati nel breve termine. Al contrario, comparti come automotive, hardware, semiconduttori e farmaceutica sono più esposti.
“Il mercato sembra accettare tariffe moderate, come il 10% imposto dagli USA, senza grandi scossoni. Ma un’escalation sarebbe un’altra storia. Se il futuro sarà più vicino alla via centrale, con re-shoring della produzione e rilancio del manifatturiero, allora gli investimenti fuori dal mercato pubblico, verso main street attraverso private equity, infrastrutture e debito privato potrebbero diventare molto più attraenti nel prossimo decennio.”

Quali sono le prospettive a medio e lungo termine per l’economia statunitense alla luce di quanto è accaduto?
“Se vogliamo guardare gli scenari peggiori, cito uno studio del Peterson Institute che stima una perdita del PIL americano fino a 9,7 punti percentuali entro il 2028, a causa della combinazione tra dazi, deportazioni di massa e perdita d’indipendenza della Fed.”
Secondo Paone, mentre le tariffe possono essere revocate con un semplice cambio politico, l’erosione dell’autonomia della Federal Reserve avrebbe effetti molto più duraturi e difficili da invertire. Tra gli impatti previsti: inflazione, deprezzamento del dollaro e perdita dello status di moneta di riserva globale.
Il messaggio è chiaro: navigare nell’incertezza richiede lucidità, preparazione e una visione globale. In un mondo dove le regole cambiano da un tweet all’altro, la differenza tra sopravvivere e prosperare è data dalla capacità di guardare oltre il rumore di fondo. E Massimo Paone ci ricorda che, nonostante tutto, le opportunità non spariscono: semplicemente, si spostano.