Si riaccende il dibattito sulle politiche commerciali di Donald Trump in vista delle elezioni del 5 novembre. Secondo analisi condotte da esperti della banca d’investimenti Piper Sandler, l’ex presidente degli Stati Uniti starebbe progettando un imponente piano di dazi da attuare fin dai primi giorni del suo eventuale secondo mandato.
Le informazioni emergono da incontri tra Robert Lighthizer, ex rappresentante commerciale della Casa Bianca e consigliere di Trump, e diversi gruppi di investitori, durante i quali sarebbero stati discussi piani di tariffe sui prodotti cinesi che potrebbero raggiungere il 60%, insieme a tariffe generali del 10% sul resto delle importazioni dagli altri Paesi
Karoline Leavitt, portavoce della campagna di Trump, non ha negato i colloqui, ma ha avvertito che nessuna proposta può considerarsi ufficiale senza l’approvazione diretta del presidente.
L’ex rappresentante commerciale ha svolto un ruolo cruciale nell’elaborazione delle politiche commerciali durante il primo mandato di Trump (2016-2020) e potrebbe ambire a posizioni di rilievo in un potenziale nuovo gabinetto, come quelle di segretario al Commercio o al Tesoro. Attualmente, Lighthizer presiede il Center for American Trade presso il think tank America First Policy Institute, vicino alle posizioni di Trump.
Le indiscrezioni sono bastate affinché economisti ed esperti fiscali andassero il allarme riguardo alle conseguenze delle politiche tariffarie proposte. Gli addetti ai lavori temono che l’introduzione di dazi così elevati possa comportare un colossale aumento dei prezzi, una contrazione del prodotto interno lordo e un impatto negativo sull’occupazione in settori chiave dell’economia. La vicepresidente democratica Kamala Harris sostiene che le politiche tariffarie di Trump potrebbero tradursi in un aumento della pressione fiscale di quasi 4.000 dollari per le famiglie statunitensi.
La campagna di Trump sottolinea invece che le sue proposte tariffarie devono essere valutate in relazione a un piano economico più ampio, che prevede la riduzione delle regolamentazioni, un incremento della produzione di petrolio e l’espulsione di milioni di immigrati clandestini dal Paese. Anna Kelly, portavoce del Comitato Nazionale Repubblicano, ha inoltre accusato Harris e Joe Biden di stare mantenendo e in alcuni casi aumentando i dazi introdotti durante il primo mandato di Trump.
A far discutere non è solo la maxi-tariffa del 60% sulle importazioni cinesi, ma anche la “tassa” del 10% per tutti gli altri partner commerciali – un’iniziativa che potrebbe essere ostacolata da lunghi contenziosi legali internazionali. Gli esperti prevedono perciò che Trump potrebbe scegliere un approccio relativamente più cauto, imponendo dazi solo a quei Paesi con cui gli Stati Uniti registrano deficit commerciali significativi o su settori specifici come quello automobilistico.
L’amore di Trump per i dazi è cosa nota. Durante un recente comizio, il tycoon ha affermato che essi sono “la cosa migliore mai inventata” e ha suggerito che i proventi generati potrebbero finanziare ingenti tagli fiscali senza compromettere i programmi governativi essenziali come la previdenza sociale.