L’economia statunitense in recessione e una brusca impennata dell’inflazione. È questo il quadro delineato dal Peterson Institute for International Economics in uno studio che mette in guardia contro le proposte economiche di Donald Trump, candidato repubblicano alle prossime presidenziali.
La piattaforma dell’ex presidente ruota infatti intorno a una serie di proposte – dalle deportazioni di massa, ai dazi globali sulle importazioni, fino a un’ingerenza nella politica monetaria della Federal Reserve – che secondo gli esperti potrebbero finire per penalizzare fortemente la crescita economica e l’occupazione negli Stati Uniti.
Il rapporto, pubblicato giovedì, arriva pochi giorni dopo che Trump ha rilanciato il suo piano di “rinascita” industriale americana. Il 78enne newyorkese ha auspicato il ritorno alla produzione manifatturiera di un tempo promettendo di ridurre le imposte sulle società e incrementare i dazi fino al 200%, Ma, secondo l’analisi, se tutte le proposte venissero attuate, l’impatto sull’economia americana sarebbe a dir poco devastante.
Lo studio esamina tre pilastri fondamentali del programma di Trump: la deportazione di oltre 8 milioni di immigrati clandestini, l’imposizione di dazi del 10% su tutte le importazioni (e del 60% su quelle della Cina), e un tentativo di ridurre l’indipendenza della Federal Reserve, permettendo al presidente di influenzare la politica sui tassi d’interesse. Il risultato? Una crisi del mercato del lavoro e un aumento vertiginoso dei prezzi, con la perdita di manodopera che costringerebbe le imprese ad alzare salari e prezzi, mentre i consumatori vedrebbero i prezzi lievitare a causa delle tariffe e delle eventuali ritorsioni da parte dei partner commerciali.
“La promessa di far pagare gli stranieri finirà per costare di più agli americani”, avvertono gli economisti Warwick J. McKibbin, Megan Hogan e Marcus Noland, autori del rapporto. E a pagarne di più le conseguenze potrebbero essere proprio i settori che Trump intende rilanciare, ossia la manifattura e l’agricoltura.
L’analisi sottolinea anche un altro aspetto: il tentativo di Trump di minare l’indipendenza della banca centrale. Il tycoon ha più volte espresso la volontà che i presidenti possano avere voce in capitolo nelle decisioni dell’istituto – e in passato ha spinto pubblicamente per una riduzione dei tassi d’interesse. Se la Fed venisse costretta a non intervenire per frenare l’inflazione, gli investitori potrebbero considerare gli Stati Uniti un mercato meno sicuro, cercando rifugio in economie estere – aggravando ulteriormente la situazione.
Lo studio prevede che, se le politiche di Trump fossero attuate, l’inflazione potrebbe toccare il 9,3% entro il 2028, con un aumento dei prezzi al consumo fino al 28% rispetto alle previsioni attuali. Anche il PIL ne risentirebbe pesantemente, con una riduzione del 9,7%, mentre l’occupazione, misurata in ore lavorate, crollerebbe del 9% a causa della riduzione della forza lavoro. Tutto ciò si tradurrebbe in un netto calo della domanda interna. In sostanza Trump vorrebbe rilanciare l’economia con politiche che, paradossalmente, rischiano di soffocarla.
Nonostante le promesse di riportare lavoro e imprese negli Stati Uniti, l’analisi conclude che le misure protezionistiche di Trump potrebbero invece favorire i concorrenti internazionali. Le esportazioni americane, infatti, sarebbero pesantemente colpite dalle ritorsioni commerciali dei partner, causando danni ai settori chiave dell’economia statunitense.