Gli indici di Dow Jones, Nasdaq e S&P 500 hanno accolto in maniera positiva la notizia del ritiro del presidente americano Joe Biden dalla corsa alla Casa Bianca. L’impatto, che avrebbe potuto atterrare le Borse, è stato mitigato dal suo endorsement, quasi immediato, a Kamala Harris, la sua vicepresidente.
La Harris, che se dovesse vincere diventerebbe la prima presidente degli Stati Uniti, sta riportando in carreggiata i donatori che avevano sospeso i loro contributi dopo l’ostinata decisione di Biden di restare, nonostante sondaggi negativi e una pessima performance contro lo sfidante repubblicano Donald Trump. Abigail Disney è tornata a sostenere il partito democratico e con lei altri 300 mega donatori, che insieme alle piccole donazioni private, hanno portato la raccolta fondi per la Harris a superare i 100 milioni di dollari in appena un giorno. Wall Street saluta con favore la notizia della Harris come sfidante democratica anche se continua a scommettere che il vincitore di novembre sarà Donald Trump.
Tutti i settori dello S&P 500 continuano la corsa al rialzo, tranne il settore energetico che si sente minacciato da una possibile vittoria della vicepresidente, sponsor convinta delle politiche green di Biden. I titoli delle compagnie petrolifere si sentono particolarmente sotto pressione, ricordando le notevoli azioni legali che la Harris aveva avviato quando era procuratore per San Francisco prima e per la California poi, contro la tecnica di perforazione nota come fracking.
La sua agenda poi potrebbe rivelarsi più progressista di quella del presidente spingendo benefici fiscali più generosi per la classe operaia americana da pagare con maggiori aumenti delle tasse sulle società. Eppure i titoli tech non sembrano allarmati dal passato della vicepresidente e confidano invece nella sua familiarità con la Silicon Valley per arrivare ad accordi soddisfacenti da ambo le parti. Nominata da Biden, zar per l’Intelligenza Artificiale, la Harris sa bene che su questo tema e sull’uso sicuro di questa tecnologia si giova sia la sua partita che quella di qualunque altro presidente, anche repubblicano. In un discorso tenuto a Londra lo scorso novembre, si è concentrata su “l’intero spettro dei rischi legati all’intelligenza artificiale” e ha sostenuto che “in assenza di regolamentazione e di una forte supervisione da parte del governo, alcune aziende tecnologiche scelgono di dare priorità al profitto rispetto al benessere dei propri clienti, alla sicurezza delle nostre comunità e alla stabilità delle nostre democrazie”.
Continua oggi anche il rally del settore bancario e di quello manifatturiero, che la scorsa settimana puntavano alle promesse di Trump su tagli della burocrazia e aumento dei dazi. Su quest’ultimo fronte la Harris è stata chiara: pur concentrata su un rafforzamento delle esportazioni Usa, non si definisce “una democratica protezionista” e mette in guardia dall’aumento indifferenziato dei dazi al 10% proposto da Trump. Una tale politica, per la futura candidata democratica, aumenterebbe solo il costo del gas, dei generi alimentari e dell’abbigliamento. Sul manifatturiero è inevitabile guardare alla Cina come responsabile della crisi, ma invece che puntare il dito all’estero Kamala preferisce sottolineare che gli aumenti salariali e dei posti di lavoro nel settore sono il frutto delle politiche lungimiranti di Biden, il presidente della classe operaia.
Intanto un’inchiesta di Barron’s rivela che la Harris e il marito contano partecipazioni in decine di fondi indicizzati, anche se gran parte del loro portafoglio è celato dietro un trust. Secondo un documento federale, depositato in maggio, la vice presidente Harris e il second gentlemen Emhoff avevano tra i 2,9 e i 6,6 milioni di dollari in conti pensionistici, altri investimenti e liquidità, con i conti pensionistici di Emhoff, pieni zeppi di fondi negoziati in borsa offerti da Vanguard, BlackRock e Charles Schwab. Wall Street non è quindi un oscuro territorio alla futura coppia presidenziale.