Una perdita di oltre 7 miliardi di dollari in appena 10 giorni. Sarebbero questi gli effetti devastanti dello sciopero minacciato dai corrieri della United Parcel Service (UPS) – la più grande società di spedizioni d’America e del mondo – se non verrà trovato un accordo tra dipendenti e società entro la mezzanotte del 31 luglio.
La stima è stata effettuata dall’Anderson Economic Group (AEG), un think tank con sede nel Michigan, tenendo conto di circa 4 miliardi di dollari di danni che il gigante delle consegne subirebbe dalla perdita di clienti in favore di concorrenti come FedEx. Si tratterebbe in ogni caso di “uno degli scioperi più costosi degli ultimi 100 anni”. Persino peggiore di quanto accaduto nel 1997 – quando UPS perse oltre 850 milioni di dollari in 15 giorni di sollevazione da parte dei suoi dipendenti.
Le trattative tra il sindacato International Brotherhood of Teamsters e UPS sono attualmente in fase di stallo. La richiesta principale riguarda un sostanzioso aumento di stipendio per i lavoratori part-time con contratto a tempo indeterminato, il cui salario è solo leggermente superiore a quello dei nuovi assunti – a cui la società ha dovuto offrire compensi più corposi a causa della penuria di domanda nell’attuale mercato del lavoro.
Sul tavolo c’è anche il presunto cinismo di UPS, che pur registrando utili da capogiro durante la pandemia, ha fatto pochissimo per premiare i propri corrieri che, mettendo a rischio la propria salute, hanno continuato a consegnare anche nelle fasi più dure del lockdown.
Ci sono ancora due settimane per trovare una quadra. Ma nel caso i colloqui dovessero naufragare, sarebbe un intero Paese a rischiare la paralisi postale: un quarto di tutte le consegne di pacchi negli USA sono infatti gestite dai circa 340.000 dipendenti sindacalizzati dell’UPS, che consegnano praticamente in ogni città e Stato, da Washington alla Florida. A rischio sono perciò milioni di consegne giornaliere, tra cui quelle degli ordini di Amazon e altri servizi di e-commerce, dispositivi elettronici, ma anche farmaci e denaro contante.
Secondo gli esperti, ciò potrebbe riaccendere le strozzature della catena di approvvigionamento che alimentano l’inflazione, pesando doppiamente sulle tasche dei cittadini americani.
Ma non è solo la UPS a minacciare lo sciopero. Mentre i lavoratori di Hollywood hanno deciso di incrociare le braccia a causa delle paghe inadeguate, aria di sciopero si inizia a respirare anche a Detroit – dove le tre principali case automobilistiche (General Motors, Ford e Stellantis) hanno iniziato difficili trattative contrattuali con il sindacato degli operai (United Auto Workers) prima della scadenza degli attuali accordi sindacali quadriennali, prevista per metà settembre. Anche qui, in mancanza di un accordo, si intravede la via della serrata.
Anche qui c’è un precedente abbastanza recente. Nel 2019, l’UAW proclamò uno sciopero di 40 giorni, che costrinse la General Motors a interrompere le sue attività – per una perdita complessiva di 3,6 miliardi di dollari.