Tra l’India e l’Italia negli ultimi anni non è corso “buon sangue”. Dalle forti tensioni per la vicenda dei marò arrestati “illegalmente” (qui la ricostruzione dell’allora ministro degli Esteri Giulio Terzi) per l’incidente in cui morirono dei pescatori indiani, ai continui screzi al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite in cui la diplomazia italiana, oggi guidata dall’Ambasciatore Maurizio Massari, è tra le più efficaci nell’organizzare l’opposizione al progetto tanto agognato dall’India – insieme a Germania, Giappone e Brasile – di allargamento del Consiglio di Sicurezza con una riforma che preveda più membri permanenti (l’Italia con il gruppo di paesi “Uniting for Consensus” invece vuole l’allargamento ma senza nuovi seggi permanenti).
Per questo, la visita di Stato in corso a New Delhi del primo ministro italiano Giorgia Meloni serve anche a capire quanto gli interessi economico-commerciali-strategici e quelli potenziali tra i due paesi possano contribuire al rilancio definitivo delle relazioni bilaterali. Sembra, almeno dalle dichiarazioni scambiate pubblicamente, che Meloni sia decisa a centrare l’obiettivo.
Da oltre cinque anni un capo del governo italiano non veniva ricevuto dal suo omonimo indiano, e Meloni è riuscita a far coincidere questa importante visita col G20 a Dehli dei ministri degli Esteri, con Antonio Tajani impegnato nel tesissimo vertice che ha visto anche un breve incontro tra l’americano Blinken e il russo Lavrov. Eppure Meloni ha rilanciato, chiedendo al primo ministro indiano di mediare una “pace giusta” in Ucraina, mentre al vertice dei ministri degli esteri non si riusciva a produrre un documento comune a causa delle colossali divisioni rispetto al conflitto russo-ucraino.

L’appello che la Meloni ha fatto a Modi potrebbe sembrare un’ammissione di sfiducia sulla strategia perseguita finora dalla NATO. Questo perché l’Italia, proprio la scorsa settimana, è stata con gli Stati Uniti e altri paesi co-sponsor di una risoluzione “per la pace” approvata dall’Assemblea Generale con 141 voti su 193, ma che ha visto proprio l’India, con la Cina, il Sud Africa e altri 30 paesi soprattutto del “Global Sud” astenersi.
L’India infatti, fin dall’inizio del conflitto, pur condividendo nelle sue dichiarazioni il rispetto della Carta ONU, ha rifiutato di dare le colpe “solo” alla Russia per la guerra, spingendo per una soluzione diplomatica che tenga presenti le “istanze” russe. Che l’India dopo il 24 febbraio 2022 sia rimasta vicina a Putin lo si capisce dai suoi voti alle Nazioni Unite, sia al Consiglio di Sicurezza che all’Assemblea Generale, ma anche dall’aumento degli acquisti indiani di petrolio russo.
Con il suo appello, Meloni sembra ora dar credito alla “linea” di Modi nei confronti della guerra: ”Entrambi condividiamo la speranza che l’India come presidente del G20 possa svolgere un ruolo centrale nel facilitare i negoziati verso un cessate il fuoco e una pace giusta”, ha detto ai giornalisti durante un briefing congiunto con Modi, elogiandolo il capo di governo indiano per “avere il più alto indice di gradimento al mondo”.
Modi non si è tirato indietro, sostenendo che l’India sia pronta a contribuire agli sforzi per ripristinare la pace: ”Dall’inizio del conflitto ucraino stesso, l’India ha chiarito che questa controversia può essere risolta solo attraverso il dialogo e la diplomazia. Siamo pronti a contribuire a qualsiasi risposta pacifica”.
Modi ha poi parlato di affari, affermando di aver discusso con Meloni di una maggiore cooperazione nei semiconduttori, nelle energie rinnovabili e nell’idrogeno verde. India e Italia, che festeggiano quest’anno 75 anni di relazioni diplomatiche, sembra quindi vogliano mettere una pietra sopra agli “incidenti” del passato.

Nelle stesse ore in cui Meloni era in India, all’autorevole “Think Tank” newyorkese del Council on Foreign Relations, si teneva un simposio dedicato a “The Future of India”: alla sua economia, alla sua democrazia e alla sua politica estera.
Ne è emerso come l’India economicamente sia sì una potenza, ma che nonostante l’evidente crescita continui a non essere all’altezza delle aspettative. Così come la sua forma di governo: è vero che Modi è il leader più popolare tra le democrazie del mondo, ma – sempre secondo gli esperti chiamati a discutere dal Council on Foreign Relations – anche quella indiana è una democrazia malata, dove si restringe sempre più la libertà di espressione e gli attacchi ai media, e dove persino i leader d’opposizione vengono arrestati con la scusa della corruzione. Gli esperti prevedono che la democrazia indiana avrà il suo test “capitale” alle prossime elezioni: cosa succederebbe se il partito al potere di Modi non dovesse vincere? A quanto pare ci sono parecchi dubbi su una pacifica alternanza al potere come finora è sempre successo.

Nell’ultimo panel, quello dedicato alla politica estera, Alyssa Ayres (George Washington University), Robert D. Blackwill (già ambasciatore USA in India) e Ashley J. Tellis (Carnegie Endowment for International Peace) moderati da Ravi Agrawal (Editor-in-Chief Foreign Policy) hanno cercato di spiegare l’atteggiamento tenuto dall’India sulla guerra, domandandosi se possa essere “mediatrice” tra Russia e Ucraina.
Al momento, sembra che il governo di Modi sia troppo “dipendente” dalle relazioni economiche con la Russia di Putin, e non ci si spiega come, nel rapporto tra India e USA, siano gli americani a “inseguire” l’India, quando dovrebbe essere il contrario. Questo perché, l’India percepisce come vera “sfida” economica e militare la Cina.

Ma quanto sarebbero concrete e realizzabili le ambizioni dell’India sul Consiglio di Sicurezza ONU, ora che con Francia e UK, anche gli USA (e la Russia) sembrano disposte ad appoggiare la riforma con nuovi membri permanenti? Come potrebbe aggirare l’ostacolo della Cina? Per Ashley J. Tellis le dichiarazioni degli altri membri permanenti “sono una grande bugia” diplomatica. “Le possibilità che l’India diventi membro permanente del Consiglio di Sicurezza equivalgono a zero, anzi meno”, ha invece concluso l’ex ambasciatore americano a New Dehli Robert Blackwill.
Sembra che per gli esperti del “Council on Foreign Relations”, (ma la sanno lunga come George Kennan?) l’India debba restare ancora a lungo “un gigante d’argilla”.