Scricchiola l’economia statunitense, che per il secondo trimestre consecutivo ha registrato una contrazione annua dello 0,9% nel trimestre aprile-giugno, alimentando il timore che Washington sia già entrata in una fase di recessione sostanziale oltreché formale.
Malgrado la perdita sia più contenuta rispetto a quella verificatasi nel trimestre gennaio-marzo di quest’anno (-1,6%), i dati comunicati giovedì mattina dal dipartimento del Commercio mostrano un inequivocabile indebolimento della crescita economica, dovuto alla peggiore impennata dell’inflazione degli ultimi 40 anni e alle rigide contromisure da parte della Fed, che mercoledì ha portato il tasso di riferimento al 2,5% (a maggio era all’1%). Ciò ha raffreddato i consumi e reso più difficile l’accesso al credito, provocando il rallentamento macroeconomico.
Il calo dell’ultimo trimestre costituisce un’inversione di tendenza rispetto alla crescita impetuosa del PIL (+5,7%) avvenuta nello stesso periodo dell’anno scorso.
La recessione che si verifica formalmente quando il PIL diminuisce per due trimestri consecutivi, come nel caso americano. Ciononostante, non tutti i dati sull’economia statunitense sono negativi: da gennaio a giugno l’aumento mensile dei posti di lavoro è stata infatti in media di 456.700 unità, che ha portato a una parallela crescita dei salari.