I corridoi del quartier generale di Twitter, a San Francisco, non sono mai stati così affollati. Sono settimane decisive per il futuro del social network fondato nel 2006 da Jack Dorsey, dopo che lo scorso 25 aprile al CdA è arrivata una maxi-offerta di acquisto da parte di Elon Musk.
Il miliardario di origini sudafricane, nonché uomo più ricco del mondo, ha messo sul tavolo una cifra monstre: 44 miliardi di dollari, equivalenti a $54,20 per azione. Una mossa che era stata anticipata a inizio aprile dall’acquisto, sempre da parte di Musk, di una partecipazione del 9% nella società californiana.
Le intenzioni del proprietario di Tesla e SpaceX sono chiare: acquistare il 100% di Twitter e ritirarla da Wall Street per avere mano libera sulle strategie future. Una prova di forza che ha fatto entrare in rotta di collisione il potenziale acquirente con il consiglio d’amministrazione attualmente in carica. Il management di Twitter ha provato a impedire la scalata ostile di Musk ricorrendo a quella che in gergo viene chiamata “poison pill“. Poi, però, il passo indietro e l’agognata luce verde all’offerta di Musk.
Proprio quando sembrava tutto fatto, ecco però un altro colpo di scena. Stavolta a sospendere tutto è stato Musk, che il 13 maggio ha comunicato (ironicamente proprio con un tweet) di aver congelato la sua proposta di acquisto, per vederci chiaro sul numero effettivo di account spam o bot. Twitter sostiene che i fake siano meno del 5% dell’utenza complessiva (monetizzabile), Musk non ne è così sicuro. L’unica cosa certa è che la mossa di Musk ha provocato un crollo verticale delle azioni di Twitter in Borsa, che ad oggi non si sono ancora riprese.
Il valore nominale delle azioni del gigante social oggi si aggira sui 40 dollari ciascuna. Un prezzo significativamente inferiore rispetto a quanto promesso da Musk, ossia 54,20 dollari. Indi il sospetto: quella di Musk è una strategia, nemmeno poi così subdola, per prendersi Twitter a un prezzo di favore, manipolando il mercato con i suoi tweet tira-e-molla.
Twitter deal temporarily on hold pending details supporting calculation that spam/fake accounts do indeed represent less than 5% of usershttps://t.co/Y2t0QMuuyn
— Elon Musk (@elonmusk) May 13, 2022
Il dubbio è stato messo nero su bianco dagli azionisti di Twitter, che lo scorso mercoledì hanno fatto causa al magnate accusandolo di aver deliberatamente provocato il crollo delle azioni societarie per ottenerne un indebito vantaggio, violando inoltre l’accordo di riservatezza stipulato con la società.
Ad aver messo il naso sul dossier Twitter è però anche la SEC. La commissione di vigilanza di Wall Street ha chiesto chiarimenti al miliardario sui perché del ritardo nel comunicare l’acquisizione del 9% di Twitter lo scorso aprile. Documenti che sarebbero dovuti arrivare al più tardi entro 10 giorni, ma che Musk ha inviato oltre il limite massimo. Secondo gli azionisti di Twitter, però, anche le comunicazioni tardive sarebbero “false e fuorvianti”, dal momento che la modulistica utilizzata è quella riservata agli investitori passivi – categoria non applicabile a chi, come Musk, era in procinto di entrare nel CdA e aveva intenzione di lanciare un’OPA totalitaria.
L’ultimo capitolo, in ordine temporale, è stato scritto alla riunione annuale del CdA dello scorso 25 maggio. In quell’occasione gli investitori hanno votato per la rimozione dal consiglio di Egon Durban, finanziere vicinissimo a Musk. Il voto ha spinto Durban a rassegnare le dimissioni, che però non sono state ancora accettate del management di Twitter, che ha invece siglato con lui un accordo che prevede la partecipazione di Durban a non più di cinque consigli di amministrazione di società quotate entro il 25 maggio del 2023.
Al netto delle grane societarie, sembra comunque questione di giorni prima che l’affare Musk-Twitter vada definitivamente in porto. A dimostrarlo sono i 6,25 miliardi di dollari di prestiti azionari che Musk ha contratto a inizio mese per finanziare l’acquisto Twitter, a cui vanno poi sommati i 46,5 miliardi (di cui 33,5 dal suo patrimonio personale) già messi da parte ad aprile.
Sintomo che, escamotages a parte, Musk desidera mettere le mani sul gigante social. Così da renderlo, parole sue, una roccaforte della “libertà di parola”.