Se ne parla già da tanto e dopo due anni di Covid 19, la parola d’ordine è sempre più “innovazione”. Il concetto oggi richiede un vero e proprio cambio di mentalità e necessita di un concreto punto di rottura, quella disruption che va tanto di moda, ovvero, una diversa impostazione delle organizzazioni aziendali. Nelle quali non basta più strizzare l’occhio a strategie di marketing e certificazioni, bilanci da Corporate Social Responsability ed etichette Certified B-Corp,[1]. Politiche che già da qualche anno stanno cedendo il posto alle Società Benefit (in Italia regolate dalla Legge di Bilancio del 2016, introdotta dalla Legge 28 dicembre 2015, n. 208, commi 376-383 e allegati 4 – 5).
E’ il cambio di statuto previsto in questi nuovi assetti societari a rappresentare un ulteriore strumento per garantire nel lungo termine – anche a fronte di eventuali trasformazioni organizzative o improvvisi cambi del Top Management – l’attenzione concreata a principi di sostenibilità ambientale, rispetto delle persone e parità di genere, innovazione ubiqua, agendo su una mission e una politica finalizzate al concetto di restituzione, declinato secondo le tre attuali tematiche “EGS”: Environmental, Governance, Social.
CEO che cambiano lo statuto, altri che insegnano i nuovi modelli di gestione in ambito accademico, altri ne parlano, altri ancora ne scrivono. Come Mauro Porcini, Chief Design Officer in PepsiCo a New York, intervistato qui di recente, che nel suo team si aspetta lavorino persone leali, gentili, creative, corrette e affidabili. E nel libro di cui è autore, L’Età dell’eccellenza, pubblicato solo da qualche mese, parla di un nuovo Umanesimo.
Dello stesso parere è William Griffini, CEO di Carter & Benson, società di consulenza strategica ed head hunting, dal 2011 partner di IMD International Search Group, l’organizzazione di selezione globale tra le top 20 nel mondo, con consulenti e uffici in America, Africa, Asia-Pacifico, Europa e Medio Oriente. La scorsa settimana mi ha ricevuto presso la sede dell’azienda in Foro Bonaparte a Milano. Griffini la disruptive innovation la fa, non si limita a commentarla. Ne ero stata incuriosita per la sua iniziativa che prevedeva la riduzione delle ore di lavoro nei confronti dei propri collaboratori a fronte di una retribuzione immutata. Un progetto originale, seguito da pochissimi imprenditori, che in Carter & Benson è stata implementato con una riduzione graduale delle ore di lavoro: prima da 40 a 36 ore settimanali; poi, da gennaio 2021, portate definitivamente a 32. Sempre a parità di retribuzione e con la possibilità di gestirle liberamente nell’arco della settimana. La ricetta è semplice: minore stress, maggiore felicità e benessere, dunque maggior responsabilità, creatività e migliore produttività!

Certamente un progetto innovativo, di rottura, rischioso. E coraggioso. Dovevo approfondire (ci deve pur essere la magagna!). Così l’ho intervistato. E alla fine, come si dice dalle mie parti, “tutto torna”.
Griffini come è nata questa idea: la riduzione dell’orario di lavoro? Quali sono i vantaggi?
“E’ un’idea che si è formata in modo naturale. Direi consequenziale alla nostra filosofia d’azienda. Siamo una Società Benefit. Pertanto, quella della riduzione dell’orario di lavoro è seguita a tante altre iniziative che abbiamo realizzato per i dipendenti, oltre a quelle dedicate all’ambiente, al sociale. Diverse. Va sottolineato che il senso di appartenenza (e responsabilità) dei miei dipendenti è comunque molto alto e anche avendo dato loro questa possibilità, continuano a frequentare assiduamente l’ufficio. Da una parte ne sono contento, dall’altra potrebbe sembrare un insuccesso dell’iniziativa, ma non è così! Perché è proprio un segno positivo del fatto che le persone sono così responsabili da tenere in considerazione le necessità aziendali matchandole con la loro vita privata”.
Quanti siete in Carter & Benson?
“Siamo 32. Ma è la dimostrazione che se le persone vivono in un ambiente gradevole, confortevole, basato sul rispetto reciproco, fiducia nelle persone e nelle loro capacità, ognuno diventa autonomo e responsabile. Non c’è bisogno di controllo, di imposizioni. Le persone portano avanti il loro lavoro e perseguono i loro obiettivi nel rispetto dei tempi definiti. Non è necessario né il “controllo” né l’“esercizio del potere”. Quando i manager sono all’altezza del loro ruolo, definiscono obiettivi chiari e supportano i propri collaboratori al momento del bisogno. Decidono processi e strategie insieme. Non c’è alcun bisogno di imposizioni. E davanti a un buon lavoro, sono valorizzati ed esortati a continuare su quella strada. In un clima del genere si sta bene. Le persone lavorano volentieri. Non hanno bisogno di evitare il lavoro o fuggire dalle tensioni e dall’ansia di prestazione”.
Carter & Benson sembra davvero un posto atipico in cui lavorare…!
“Da noi, ciò che conta è la collaborazione, la condivisione degli obiettivi, il rispetto dei colleghi. Fondamentale è anche l’accompagnamento dei Junior da parte dei manager nel loro percorso di formazione che avviene in un ambiente disteso e collaborativo. Nessuno colpevolizza gli altri in caso di errore. Sarebbe demotivante, farebbe perdere energia, entusiasmo e sicurezza in ciò che si fa e il lavoro non sarebbe performante”.
E come valutate le prestazioni?
“Non effettuiamo alcuna valutazione delle prestazioni. Non ne abbiamo bisogno. Basta raggiungere gli obiettivi definiti. Se fai goal vai bene. Se manchi il goal, “vai riassestato”.
Ascolto abbastanza meravigliata. E ancora un po’ diffidente. Ma entusiasta che certe aziende inizino a considerare e valorizzare “nuovi” modelli di gestione del personale; altri stili di leadership; altri parametri di valutazione”.
Quali altre iniziative avete implementato in Carter & Benson?
“A parte i comuni benefit aziendali, ad esempio, piantiamo un albero per ogni candidato che trova lavoro tramite la nostra attività di head hunting. In particolare si tratta della Paulownia, che cresce velocemente e arriva ad assorbire fino a 10 volte di più di CO2 rispetto a qualsiasi altra specie; acquistiamo un’arnia e una famiglia di api per ogni dipendente, così che a Natale ognuno avrà il suo miele. Questi ultimi due, sono progetti nuovi, che iniziano a marzo. Abbiamo anche inserito un check-up sanitario specifico annuale esteso a tutti i dipendenti poiché riteniamo che la salute sia un valore imprescindibile, non abbiamo il badge dal 2010… potrei continuare a citare altre iniziative, ma non c’è lo spazio!”
Mentre parla, prendo le mie note. Mi accorgo che si tocca i capelli ripetutamente cercando di aggiustarli dietro le orecchie.
“Scusi, ma il parrucchiere in azienda c’è il lunedì!”
Continuo a scrivere. Poi mi fermo. Lo guardo convinta che stia scherzando.
In che senso “Il parrucchiere c’è il lunedì”?
“I miei dipendenti possono farsi i capelli in azienda. Eh… si… in questo modo diamo loro un servizio e dall’altra aiutiamo una parrucchiera che a causa del Covid era in forte difficoltà. Abbiamo inserito quest’altra cosina… utile no?”
Allora, se ho capito bene, un parrucchiere viene qui in ufficio durante l’orario di lavoro. E l’ora è compresa nel lavoro e… paga tutto l’azienda.
“Sì, esattamente. E sono tutti contenti. Anche per la palestra i dipendenti hanno a disposizione due ore retribuite a settimana. Una persona felice è una persona che lavora bene e serenamente; è in salute; si controlla periodicamente; fa attività fisica, mangia sano; dunque, si sente in forma. Anche gli alimenti che consumiamo in azienda sono tutti selezionati e sani e offerti dall’azienda. Le pareti degli uffici sono tutte imbiancate di una pittura che assorbe la tossicità derivante dall’inquinamento, eliminando il 99,9% tra batteri e virus (compreso il Covid 19) e depurando l’aria per un 88,8%. Siamo paperless e plasticfree; siamo molto attenti e nessuno di noi utilizza la plastica.
Io mi preoccupo della mia azienda come mi preoccupo della mia famiglia. Proteggo i miei dipendenti. E loro proteggono il loro lavoro. E’ un’equazione semplice! Nessuno è mai andato via da questa azienda per un’altra occupazione. Se non in un paio di casi eccezionali, ma relativi al cambiamento della tipologia del lavoro, peraltro presso nostri clienti. Persone con le quali siamo sempre in ottimi rapporti”.
Griffini, non le nascondo che sono un po’ confusa. Ero qui per parlare di riduzione di orario di lavoro e aumento della produttività, come ho letto su diversi giornali. Ma come è possibile?
“Il concetto è diverso. Come si può misurare la qualità del lavoro correlato alla vita utilizzando parametri legati alla produttività? E’ sbagliato misurare un’azione di benessere con una scala che misura la produzione: questi obiettivi sono di carattere qualitativo, legati alle persone. Se un dipendente lavora bene e riduce l’orario di lavoro per produrre come prima o di più, può solo aver lavorato male precedentemente. Dunque, di fatto, non ha ridotto nulla. E’ la responsabilità delle proprie attività e dei tempi che fanno la differenza. Senza dimenticare la possibilità che questo meccanismo possa liberare posizioni per permettere l’aumento dell’occupazione”.
Quindi come vi misurate?
“Per noi non esiste solo il profitto, bensì anche il risultato reputazionale delle nostre azioni. Dall’utile della mia azienda scelgo di restituire una parte dei profitti che andranno a beneficio sociale (ambiente, charity, progetti sostenibili…). Questo mix conta. E’ il nostro miglior risultato. La nostra è un’impresa integrata con il tessuto sociale milanese in cui si colloca. Responsabile del proprio business”.
Ma è sempre stata così spiccata questa attenzione verso forme di gestione aziendale, potrei dire, filantropiche, oppure si è formata nel tempo?
“Mi sono evoluto. Ero un ingranaggio del sistema. Lavoravo tantissimo e fino a tardi. Anche nel weekend. Poi mi sono reso conto che qualcosa non andava. Che non poteva essere tutta una questione di quantità, né il lavoro, né la vita. Dunque, ho iniziato a mettere in discussione certe dinamiche e a studiarne altre tenendo conto anche degli aspetti sociali, delle necessità personali dei dipendenti in un sano rapporto di confronto con loro. Ed è così che sono arrivato a trasformare il modello organizzativo e gestionale della mia azienda”.
Griffini, vedo che partecipa a molte iniziative di carattere sociale. Ad esempio, è membro della Fondazione Nazionale per la Tutela della Fanciullezza e dell’Adolescenza; è consigliere del Comitato Direttivo del Telefono Azzurro; è vicepresidente del Centro Studi Grande Milano; è membro del comitato scientifico di Winning Women Institute. Peraltro, Carter & Benson, è certificata Gender Equality. Come si pone di fronte al fenomeno della discriminazione?
“Mi dispiace già l’idea che sussista la necessità di regolamentare aspetti che dovrebbero prescindere completamente dalle dinamiche lavorative. L’assenza di discriminazione in tutte le sue declinazioni è fondamentale. L’unico parametro di valutazione dovrebbe sempre essere la meritocrazia che deve prescindere da ogni aspetto, religioso, politico, sessuale, ecc. In Carter & Benson non abbiamo mai avuto problemi di quote rosa. Purtroppo, mi rendo conto che alcune realtà aziendali necessitano di sistemi di supporto. Anche il percorso di certificazione è un passo importante verso uno schema di business più costruttivo”.
Ho visto che Carter & Benson ha organizzato anche delle gite culturali, come la visita alla mostra “Il Corpo e L’anima, da Donatello a Michelangelo” al Castello Sforzesco. Da curatrice le chiedo come si pone nei confronti dell’arte?
“Mi piace molto. Quando posso mi dedico a visitare musei, mostre. Qui a Milano le occasioni non mancano e coinvolgo spesso anche i miei dipendenti per vivere insieme l’esperienza dell’arte”.
Un’ultima domanda. E’ nota la sua passione per la montagna. Cosa è per lei quel contesto, quel paesaggio? Cosa rappresenta?
“La montagna è una passione che ho da sempre. Mi fa stare bene e mi dà grandi soddisfazioni. Mi gratificano gli scenari emozionanti e pieni di incanto. I tramonti meravigliosi che regala non solo mi affascinano ma mi arricchiscono e mi danno energia. Mi piacciono gli sport faticosi e la montagna è uno dei luoghi ideali per poterne praticare diversi”.
Il tempo a disposizione è terminato. Ci salutiamo. Lo ringrazio per la chiacchierata, entusiasta e fiduciosa che sempre più aziende possano ispirarsi a modelli di business e di gestione del personale simili a quelli adottati dalle Società Benefit.
[1] 1 Certified B-CorpTM è la certificazione volontaria di una Corporation e si distingue dalla forma giuridica prevista dalle varie legislazioni.