In un libro di vent’anni fa, Salisbury; Victorian Titan, lo storico inglese Andrew Roberts spiegò che l’espressione “Splendid Isolation” identificava il rifiuto che, nel diciannovesimo secolo, la diplomazia britannica oppose ad ogni alleanza stabile. Quella politica fu praticata in modo tutto particolare dai governi di Robert Gascoyne-Cecil, 3rd Marquess of Salisbury, primo ministro tre volte tra il 1885 e il 1902 per un totale di 13 anni. Lord Salisbury fu al tempo stesso a capo del Foreign Office, il che spiega perché sia così stretto il legame fra la sua figura politica e l’isolazionismo britannico.
Interessanti le domande che un altro storico, Christopher Howard si era posto, più di trent’anni prima di quel libro, nella rivista The Historical Journal, nel tentare di dare un giudizio sul modo d’essere di Britannia nel periodo che coincise con l’ultima stagione espansionista del suo imperialismo, prima che il nuovo secolo, con le due grandi guerre, la conducesse a più miti consigli, innalzando al rango di massima potenza gli Stati Uniti, democrazia senza aristocrazia e senza colonie. Si chiedeva Howard: “Does ‘isolation’ simply mean not having allies, or does it mean having neither allies nor friends?”. E proseguiva sullo stesso tono: “In other words, is it a position of freedom or of weakness?”. Come a dire: l’isolazionismo te lo scegli e nessuno può impedirtelo, ma in quanto a renderlo “splendido” può accadere che ce ne passi, perché se ti ritrovi senza “amici”, la libertà assoluta di manovra, le mani libere, possono tradursi in elemento di debolezza della nazione, non di forza come l’isolazionismo parrebbe proporre. Stare soli, nel cantuccio delle nebbie del nord e nell’umidore dell’Atlantico, in quel pugno di isolette che è il Regno Unito, con la Scozia pronta a secedere e l’Irlanda del Nord nel bisogno di restare aperta alla repubblica sorella, può risultare in una situazione complessiva dove alla libertà si va a sostituire il dispotismo della debolezza.
Inevitabile riflettere su quella lontana esperienza di Albione, guardando alla cronaca di questi giorni, con il profondo significato storico che potrà assumere nella memoria dei cittadini del regno di Elisabetta. In quel regno la memoria è lunga, il tempo di certi eventi è come un fotogramma fermato per ben imprimerlo nella mente. Gli eventi della Seconda guerra, per fare un esempio, sono tuttora di un’attualità per certi versi sconvolgente, benché nel frattempo se ne siano andati ben tre quarti di secolo.
I Brits stanno vivendo un inaspettato psicodramma, chiusi nella tenaglia di due simultanee e improvvise crisi, e per la prima volta da Brexit sono portati a riflettere seriamente su cosa significherà, dal primo gennaio, l’ingresso in una dimensione nazionale e internazionale di “isolamento” non necessariamente “splendido”.
Tutto ruota intorno all’uscita dal mercato interno prevista per fine anno. Se non si raggiungerà l’accordo per la cosiddetta uscita morbida, Ue e Regno Unito passeranno immediatamente al regime di rapporti commerciali e sociali previsti, in senso molto lato, dalle regole di OMC, Organizzazione Mondiale del Commercio. Quel regime, in sofferenza e con grandi incertezze sotto il profilo giurisdizionale, per la sciagurata avversione manifestata dall’amministrazione Trump al suo funzionamento, non sarà, almeno nell’immediato, in grado di dare tutte le risposte che il divorzio europeo meriterà in caso di hard Brexit, per la semplice ragione che non ha nessun precedente al quale far riferimento. Al tempo stesso, il Regno Unito, uscito dall’ombrello di commercio internazionale UE, si troverà a dover rinegoziare accordi in proprio, il che ha almeno tre controindicazioni, che si stanno già facendo sentire: sono tanti di numero, occorrerà molto tempo per stipularli, la posizione negoziale britannica per queste due ragioni e perché non ha più lo scudo europeo sarà debole.

Con queste considerazioni sullo sfondo, che magari sfuggono all’elettore che si è lasciato convincere dalla retorica nazionalpopulista dei Nigel Farage e Boris Johnson ad esprimersi due volte (al referendum e alle elezioni politiche) a favore di Brexit, ma che sono ben presenti alla city finanziaria, si motiva la terrificante flotta di lorries che la grande distribuzione e i centri di logistica dell’alimentazione e del fresco la scorsa settimana hanno fatto partire per l’Europa continentale, tentando di mettere a segno quanti più acquisti possibili prima del temuto vuoto regolamentare di fine anno. Non c’è solo il rischio che le cose costino di più, ma che alcune non potranno transitare attraverso la frontiera per mille e una ragione pratiche, ad esempio perché la bolla di accompagnamento non è ben redatta, o perché la lungaggine delle pratiche di frontiera è tale da allungare i tempi in modo incompatibile con la catena del freddo di taluni prodotti, o per norme igienico-sanitarie che possono essere emanate in un istante.
Magari quei timori erano eccessivi, ma conta il risultato. Nei supermercati britannici, si sono riviste le scene di assalto all’acquisto di generi alimentari e di prima necessità, con gli scaffali svuotati. Sull’autostrada che, attraverso il Kent, porta alle White Cliffs of Dover per l’imbarco verso il porto francese di Calais, si è formato un pesante allineamento di camion diretti al continente. Si sono contati fino a 1500 mezzi allineati per giorni senza alcuna prospettiva: quasi 700 sulla M20, il resto nel capace autoparco di Dover e persino sulla pista dell’aeroporto di Folkestone. A questi vanno aggiunti i camion che hanno preso strade secondarie per evitare la grande ammucchiata della M20. Per avere un’idea di come avrebbe potuto evolvere la situazione, si tenga presente che nelle giornate natalizie pre Covid-19, tra Dover e Calais transitavano circa 10.000 lorries al giorno, caricando soprattutto fresco e primizie di stagione!
Non è stato solo l’eccesso di pressione sull’eurotunnel a generare il blocco della circolazione. La spedizione dell’armata commerciale britannica in continente per acquisti, è coincisa con il repentino blocco di ogni comunicazione tra continente e Britannia decretato dal lato UE tra domenica 20 e lunedì 21. Sono gli autisti a spaventare le autorità sanitarie continentali, arrrivando da un paese che ha documentato, nell’ultima settimana, una media di 30.000 nuovi positivi al giorno, dovuti anche alla variante britannica di SARS-CoV-2, che sembra avere la caratteristica di più rapida ed estesa diffusione.
Sommando i due fattori, è risultato chiaro che i malcapitati autisti, finiti nella tenaglia Brexit-Covid10, hanno cominciato ad abbandonare l’idea di fare Natale con i loro cari, e si sono chiesti cosa ne sarebbe stato di loro, tra l’andata e il ritorno, visto che nessuna previsione sulla libera circolazione era possibile né in termini di tempi né in termini di regole. Si aggiunge che l’aiuto ricevuto dalle autorità, a quanto risulta da una notizia riportata da BBC, è consistito in “a single cereal bar each by Kent County Council on Monday”.

Nella panna montata della confusione più totale, si è inserito l’elemento di sblocco: la Commissione Europea, nella giornata di martedì 22, ha rilasciato una nota ufficiale con la quale ha invitato ad annullare le misure che vietano la circolazione delle merci tra le isole britanniche e il continente, per non mettere in crisi , e proprio nel periodo natalizio e di fine anno, la catena di approvvigionamento alimentare delle famiglie, a causa del pauroso abbassamento dei livelli di scorte della grande distribuzione organizzata. Contestualmente ha chiesto ai paesi membri di adottare misure che, pur con tutte le cautele sanitarie del caso, consentano il rientro di expatriate con passaporto UE sorpresi dall’immediatezza dei provvedimenti di chiusura assunti da paesi membri UE con forte emigrazione nel Regno Unito. La Commissione ha ricordato ai governi che fino alle 24 del 31 il Regno Unito gode, sotto il profilo della libertà di circolazione di persone e merci, gli stessi diritti dei 27. La posizione della Commissione ha spinto il governo francese a riaprire dalla mattina di mercoledì 23 l’eurotunnel. Il ministro dei Trasporti francese, Jean-Baptiste Djebbari ha twittato poco dopo le 19 CET, la disposizione che consentirà ad aerei, navi e treni Eurostar di entrare in territorio francese. Nel testo di Djebbari si consente alle persone residenti e a chi ne ha ragionevole motivo di muoversi tra i due paesi, purché risultino negative al test Covid. Nella serata europea nulla è dato sapere sui protocolli che gli autotrasportatori dovranno osservare. Non sorprende, visto il confine poroso tra Francia e Germania, che Berlino, all’erta per quanto stava maturando a Parigi, ha provveduto nella stessa giornata di martedì 22 a proibire fino al 6 gennaio l’ingresso a chi proviene dal Regno Unito.
La Commissione, che tra le sue funzioni ha quella di guardiano dell’osservanza dei trattati, ha fatto bene a richiamare gli stati ai loro doveri. Ma ciò che vale sul piano giuridico, racconta un’altra storia sul piano politico. Non è la prima volta che le isole britanniche soffrono dai vicini l’isolamento sanitario: vent’anni fa, l’encefalopatia spongiforme bovina, conosciuta come malattia della “mucca pazza”, portò a restrizioni le esportazioni inglesi di carni, ed ebbe effetti anche su diverse carni nazionali nei paesi comunitari. Ma all’epoca Londra faceva parte della famiglia istituzionale europea e poté far valere i suoi interessi. Tutto fu risolto come si fa tra partner e la pazza crisi rientrò in tempi relativamente veloci senza danneggiare il meccanismo della libera circolazione e gli interessi britannici.
Previsioni? La confusione continuerà a regnare sovrana nella settimana che separa dalla scadenza del 31. Ma almeno i lorries britannici possono da mercoledì scavalcare la barriera del canale della Manica, anche se interrogativi restano sul destino dei lorries destinati alla Germania. Fra tamponi, pratiche amministrative, accordo-non accordo a Bruxelles, più lontano nelle previsioni non è il caso di avventurarsi. È auspicabile che quei lavoratori non diventino ostaggio della partita politica in corso tra Bruxelles e Londra, anche se l’atteggiamento della Commissione per ora appare, sotto il profilo giuridico e in qualche modo umanitario, assolutamente rigoroso e conciliante.
Gli effetti incrociati delle due crisi, faranno capire a molti britannici in quale imbuto si siano andati a cacciare per affermare il loro diritto alla “libertà” (e chi gliela toccava?) e all’”indipendenza” (ma da chi?). Si chiedeva già Howard quanto “splendido” potesse essere l’isolazionismo che priva di amici. In italiano abbiamo un altro modo di tradurre il termine inglese Isolation, ed è “isolamento”. Se l’isolazionismo è una categoria della politica, l’isolamento riguarda anche la dimensione di vita di un popolo, il suo benessere, la sua apertura e ricchezza di rapporti culturali e umani. Si aggiunge che il passaggio dall’isolamento alla solitudine risulta davvero breve. Si ammetterà che, per ora, l’isolamento non stia pagando buoni dividendi agli amici britannici. Purtroppo per loro, siamo solo agli inizi. Per giunta, stavolta, i fedeli sudditi di sua maestà non potranno neppure prendersela con Bruxelles, come i loro governanti li avevano allenati a fare davanti ad ogni provvedimento indigesto dell’Unione.