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Econ-comiche: Trump, Biden e il passaggio della torcia alla Casa Bianca

Con un ultimo, disperato tentativo di boicottare il suo successore, l'uscente amministrazione Trump tenta di fare terra bruciata intorno alla squadra di Biden

Marcello CristobyMarcello Cristo
Econ-comiche: Trump, Biden e il passaggio della torcia alla Casa Bianca

Illustration by Antonella Martino

Time: 4 mins read

WASHINGTON. 18 gennaio 2021

Il centralinista del 911, il servizio di emergenza della città di Washington, ha inizialmente pensato ad uno scherzo quando, poco dopo l’una del mattino di oggi, ha ricevuto la prima telefonata da un automobilista che transitava nei pressi di 1600 Pennsylvania Avenue dichiarando di aver visto fiamme in direzione della Casa Bianca. Il fatto che non si trattasse di uno scherzo è apparso chiaro pochi minuti dopo, quando analoghe segnalazioni provenienti da altri residenti della zona hanno fatto scattare un allarme generale e un numero imprecisato di veicoli di emergenza si sono riversati nelle strade che circondano la residenza presidenziale.

Per quanto non ci siano state dichiarazioni ufficiali da parte di funzionari dell’amministrazione Trump, le voci che si sono sparse subito dopo l’arrivo dei primi soccorritori sembrano confermare una notizia che, se dovesse rivelarsi fondata, sarebbe a dir poco esplosiva, e cioè che sarebbe stato lo stesso presidente Donald Trump ad appiccare l’incendio all’interno dell’edificio.

Alcuni membri dello staff presidenziale che hanno chiesto di rimanere Q Anonimi, hanno dichiarato di aver udito poco dopo la mezzanotte il presidente urlare a squarciagola da una delle camere private dove, come è solito fare, si era ritirato a guardare la televisione con un flacone di lacca per i capelli e un brodino vegetale. Temendo un malore, Tim Harleth, uno dei responsabili dei locali residenziali della Casa Bianca, si è precipitato nella stanza e ha trovato il presidente in preda ad un chiaro stato confusionale che, pur non essendo particolarmente dissimile dal suo stato di “normalità”, era tuttavia distinguibile per l’aspetto violaceo del colorito che aveva decisamente preso il sopravvento sulla usuale sfumatura di arancione che lo contraddistingue.

Da una seconda occhiata sarebbe apparso chiaro a Mr. Harleth che a causare l’agitazione presidenziale non era stato un malore o un’afflizione in particolare ma una sorta di crisi isterica innescata dalla notizia apparsa sullo schermo televisivo del recente conflitto armato tra Armenia e Azerbaijan per il controllo del territorio conteso del Nagorno Karabakh.

Inizialmente il funzionario ha creduto che, in un momento di ravvedimento, il presidente Trump stesse mostrando, seppur tardivamente, un barlume di interesse per la politica internazionale riavvicinando l’America a quel ruolo di leadership abbandonato quattro anni prima.

A quanto pare invece, a causare l’entusiasmo presidenziale sarebbero state le immagini della popolazione armena che, costretta all’esilio di fronte all’avanzata delle truppe azere, ha proceduto a dar fuoco alle proprie abitazioni per fare terra bruciata prima dell’arrivo delle forze di occupazione nemiche.

Una casa armena in fiamme in Nagorno Karabakh

In quello che potrebbe passare alla storia con l’ultimo dei tanti atti presidenziali ispirati dal Caucaso (la cosiddetta dottrina del Caucaso…) Trump ha lasciato in fretta e furia la stanza per riapparire qualche minuto dopo con una tanica di benzina e una scatola di fiammiferi che avrebbe poi presumibilmente utilizzato per appiccare le fiamme e manifestare in questo modo la sua frustrazione per lo sfratto prossimo venturo.

Le notizie provenienti dal Caucaso sembrerebbero aver costituito la scintilla che ha provocato la sfuriata piromane dell’attuale, unico, autentico presidente americano alla vigilia dell’arrivo alla Casa Bianca dell’innominabile usurpatore democratico, chiaramente colpevole di aver truccato le schede elettorali per sottrarre a Trump la giusta vittoria ma non abbastanza intelligente per assicurarsi, sulle stesse schede, anche i voti necessari per ottenere la maggioranza al Senato.

E tuttavia, l’idea di “fare terra bruciata” intorno alle avanguardie democratiche nemiche, era stata già avanzata circa due mesi fa dal ministro del Tesoro Steven Mnuchin.

Il ministro del Tesoro Steven Mnuchin

Poco prima delle elezioni del 2020 infatti, con i casi di Covid 19 in rapido aumento, lo spettro di un nuovo periodo di lockdown e la conseguente contrazione delle attività economiche, i democratici hanno tentato di varare un nuovo programma di sostegno finanziario per le imprese e le famiglie simile a quello che, durante la prima ondata primaverile, ha consentito a molti americani di evitare la bancarotta.

Ma, dopo aver creato circa due trilioni di dollari in debito pubblico con la sua “riforma fiscale” del 2017 a favore di ricchi e super-ricchi del paese, la maggioranza repubblicana al Senato si è improvvisamente scoperta animata da un nuovo, virtuoso impeto di parsimonia fiscale opponendosi categoricamente all’iniziativa.

Con il Senato repubblicano deciso a non fare nulla sul versante fiscale, l’unico strumento per sventare il nuovo pericolo di catastrofe economica provocata dalla seconda ondata di contagi in atto restava la politica monetaria della Federal Reserve, la banca centrale alla quale, un programma di emergenza creato mesi orsono, attribuiva il ruolo di “garante ultimo del debito”.

Varato a marzo del 2020, il programma agiva come la rete di sicurezza posta al di sotto dei trapezisti che si esibiscono al circo rassicurando le amministrazioni statali e locali lasciate a bocca asciutta dal governo federale che, in caso fossero costrette a farsi prestare denaro sui mercati obbligazionari, la Fed sarebbe stata pronta ad acquistare quel debito nell’eventualità di un ulteriore degrado delle condizioni economiche.

Ma, ovviamente, i programmi di emergenza e gli aiuti finanziari alle imprese e alle famiglie sono giustificabili solo quando i repubblicani possono attribuirsene il merito e, per questo motivo, a metà novembre 2020 con i casi di Covid in crescita esponenziale, Steven Mnuchin non solo ha deciso di non rinnovare il programma alla sua scadenza di fine anno ma ha preteso la restituzione al Tesoro dei 455 miliardi rimasti nel fondo assicurandosi che la nuova amministrazione dell’impostore Biden non abbia a disposizione neanche un centesimo per aiutare gli americani che ne avranno bisogno.

Quando in primavera, con la prima ondata pandemica in ascesa e l’economia in caduta libera, apparve chiaro a tutti la necessità di varare un programma di aiuti finanziari, il presidente Trump con una mossa auto-propagandistica senza precedenti fece pressione sul Tesoro per assicurarsi che gli assegni dei sussidi destinati alle migliaia di disoccupati facessero bella mostra della sua firma.

Ora che, in previsione del cambio della guardia alla Casa Bianca, le vittime economiche di questa seconda ondata sono state abbandonate al loro destino da Trump e dal GOP, forse Biden dovrebbe inviare una lettera alla nazione per fare altrettanta chiarezza su chi siano i responsabili delle sofferenze in arrivo nei prossimi mesi. Temo tuttavia che, tra le macerie fumanti della politica americana post-trumpiana, sia difficile persino trovare un foglio di carta e una penna.

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Marcello Cristo

Marcello Cristo

Sono nato e cresciuto a Napoli dove, nella tradizione magno-greca della mia città, mi sono laureato in Filosofia. Vivo negli Stati Uniti con la mia famiglia da oltre vent'anni facendo la spola tra New York e la California. Dall’America, ho iniziato a collaborare con pubblicazioni italiane come Il Giornale di Indro Montanelli e La Gazzetta dello Sport di Candido Cannavò e poi con il quotidiano in lingua italiana degli Stati Uniti America Oggi per il quale ho lavorato come editor, opinionista e corrispondente dalla California. Nei ritagli di tempo, sto tentando disperatamente di insegnare ai miei figli il napoletano.

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