Ormai da qualche settimana è ufficiale: Amazon ha scelto Long Island City, il quartiere del Queens che costeggia le acque dell’East River, come casa per i suoi nuovi quartier generali, l’attesissimo Amazon HQ2. Come ormai di consueto quando si tratta del gigante targato Jeff Bezos, la scelta di stabilire un nuovo HQ a New York avrà una fittissima rete di effetti diversi sia sulla città, che sull’opinione pubblica.
Dunque, di fronte a una decisione già compiuta, ciò che ci rimane da fare è attendere, osservare, e cercare di comprendere quale sarà la reazione della Grande Mela all’arrivo del gigante di Seattle, e di capire come il gigante stesso si saprà integrare nel baccano di New York.
Necessità Espansive:
Partiamo dal desiderio stesso di Amazon di aprire un secondo quartier generale. Anche qui, di segreti ce ne sono pochi: negli ultimi cinque anni Amazon ha raggiunto le posizioni più ambite nelle classifiche del business internazionale, arrivando addirittura all’ottava posizione della Fortune 500 List di Forbes, la classifica pseudo-ufficiale delle più grandi aziende americane. Dai tempi in cui Jeff Bezos s’impegnava solo a vendere libri online, Amazon è cresciuta a dismisura, diventando il brand internazionale per gli acquisti online, e trasformandosi velocemente anche in uno dei produttori di tecnologia più importanti della scena internazionale.
La spada commerciale di Amazon, dunque, è dotata di tante lame diverse, tutte affilatesi perfettamente negli anni. Fino ad ora, però, la maggior parte delle operazioni del gigante multinazionale venivano dirette dal quartier generale di Seattle. Un campus a pieno effetto, con alloggi per i dipendenti, bar, negozi, e caffè, il campus di Seattle si è lentamente integrato, durante la sproporzionata crescita dell’azienda, nel panorama urbano. Nel 2010, gli uffici della città del Nord-Ovest americano ospitavano solo circa 5,000 dipendenti. Otto anni dopo, nel 2018, il campus di Seattle, naturalmente ampliatosi, ne ospita più di 40,000, come racconta il video qui sotto:
https://www.youtube.com/watch?v=VyXs8B0csDA
Certo, il campus è cresciuto, e con lui sono cresciute le attività “diplomatiche” di Jeff Bezos. Per respingere la resistenza trovata tra alcuni cittadini, Amazon si è cimentato in eclatanti manifestazioni di “community engagement”, di ingaggio della comunità. Ad esempio, si è impegnato a dedicare spazio dentro il campus a Mary’s Place, una non-profit impegnata nel provvedere alloggio per i senza tetto di Seattle. Nello stesso modo, Amazon ha donato più di 2,300 metri quadri del suo campus a FareStart, un’altra non profit impegnata a insegnare l’arte culinaria a chi non se lo può permettere.
Al contempo, però, Amazon ha continuato ad aprire officine in tutto il mondo, Italia compresa, per far arrivare l’infinità di pacchi che maneggia ogni giorno ai giusti destinatari. L’apertura di queste officine, che sono più dei centri di smistamento che campus veri e propri, ha scatenato molte proteste nel mondo. Accusata di violare molti diritti di base del lavoratore, come abbiamo visto noi stessi negli casi di Milano e Roma, Amazon ha trovato una resistenza ideologica non indifferente, in Italia come nel resto del mondo. Nonostante ciò, la crescita del gigante hi-tech non ha fatto una piega, e adesso lo ha condotto ora a uno snodo fondamentale del suo tragitto.
L’affare
È per questo che, nel 2017, Amazon annuncia al mondo la sua intenzione di sviluppare un secondo quartier generale nel Nord America, “equo al campus di Seattle”. Come si può intendere anche solo dalla taglia del campus a Nord Ovest, non stiamo parlando di aprire un ufficio, bensì di aprire un vero e proprio quartier generale, un campus che potrà ospitare decine di migliaia di impiegati, e che dovrà fornire ad Amazon una finestra imprenditoriale sull’East Coast e l’Oceano Atlantico.
La scelta, come rivelato da un’inchiesta del New York Times, era, per Jeff Bezos, tra il quartiere newyorkese di Long Island City e quello di Cristal City, Virginia, un piccolo sobborgo di Washington DC. Le due metropoli, regine dell’East Coast, hanno a lungo lusingato Bezos per la comodità con la quale promettevano di poter gestire le operazioni domestiche su due fronti: uno ad Est e uno ad Ovest, in modo tale da poter controllare con efficienza il dominio virtuale di Amazon sul commercio online di tutta la nazione, e di entrare ancor più in profondità nel tessuto tecnologico di due delle più importanti metropoli mmericane, New York e Washington.
Ma cosa vuol dire, per la città di New York, candidarsi ad ospitare il secondo quartier generale di un gigante dell’industria mondiale come Amazon?
Partiamo dalle dichiarazioni di Andrew Cuomo, governatore dello stato di New York, quando la trattativa era ancora in fase di sviluppo. “Sto facendo tutto quello che posso, abbiamo un ottimo pacchetto incentivo”, aveva detto qualche mese fa ai microfoni della stampa, “se serve, mi cambierò il nome a Amazon Cuomo, fornirebbe un enorme boost all’economia”. La trattativa, dunque, ha subito preso una piega particolare, trasformandosi in una piattaforma attraverso la quale le due finaliste, Long Island City e Crystal City, hanno dovuto competere per attrarre Amazon a sé.
Per “vincere” Amazon, e l’inevitabile boost economico portato da migliaia di nuovi lavoratori e posti di lavoro, il governatore Cuomo, insieme al sindaco De Blasio, hanno stipulato un pacchetto di incentivi troppo ghiotto per il colosso di Seattle. In primis, la zona designata al nuovo Amazon HQ, quella fetta di terreno che si affaccia sull’East River, si trovava già al centro di ambiziosi piani di costruzione. Il waterfront del Queens (quella parte che si affaccia sull’acqua) doveva essere completamente rinnovato e ripensato. La proposta di Amazon non poteva, dunque, arrivare in tempi migliori. Alla fine, la città di New York ha proposto di spostare un centro di distribuzione pasti che abitava la zona, lasciando il posto ad Amazon.

Per quanto importante, la componente territoriale del pacchetto di incentivi proposto da Cuomo e De Blasio sembra comunque scarseggiare in confronto agli 1,7 miliardi di dollari impegnati dallo stato di New York ai fini d’incentivare l’apertura della sede di LIC.
L’idea originale, almeno dalla parte newyorkese della trattativa, era quella di sviluppare un campus che s’integrasse a pennello con le comunità di reddito medio-basso che animano le sponde ovest di Queens. Ciò che s’intendeva creare, cioè, era uno spazio a uso misto, costellato da appartamenti sia costosi che più economici: un luogo dove business e comunità si potessero insomma incontrare. Invece, al posto di questo lusingante spazio comune, nasceranno un numero di uffici, pronti ad ospitare oltre 25,000 impiegati.
Per farlo, Amazon si approprierà di circa 750,000 metri quadri di spazio utilizzabile a Long Island City, con tanto di parcheggio per l’elicottero di Bezos. Per mettere le cose in prospettiva, lo stesso spazio equivale a tre volte l’Empire State Building. Il campus, dunque, sarà un gigantesco agglomerato di edifici e grattacieli, proprio lì, dove il Queens si affaccia sulla parte est di Midtown. Il progetto, a livello di architettura, si baserà molto sul concetto già presente a Seattle, e sarà dunque pieno di alloggi, uffici, ristoranti e bar, che offrono ai dipendenti una vita targata Amazon a trecentosessanta gradi.

Ovviamente, le speranze romantiche dell’amministrazione della città di New York non si sono fermate all’utopistica visione di prima, che senza dubbio non sarebbe stata rispettata in pieno. Come fatto a Seattle, infatti, Amazon si è dovuta, giustamente, impegnare nel donare grandi fette del proprio campus ad attività che possano rendere alla comunità circostante vantaggi non indifferenti. Ha promesso di fare spazio a un’incubatrice di startup ma anche all’espressione artistica, e addirittura ha concesso l’apertura di una scuola. Ha anche promesso di donare 5 milioni di dollari a Queensbridge Houses, il circostante progetto di case popolari più grande di tutta l’America, e di partecipare attivamente nell’incoraggiamento lavorativo e formativo dei suoi abitanti.
Tutto ciò naturalmente, ha portato a se anche dei problemi comunitari che, già nelle primissime ore dopo l’annuncio, hanno trovato riscontro tra le tante facce dei lavoratori che ogni giorno vanno da Queens a Manhattan e viceversa. “Diventerà un caos, mi dovrò trasferire, e ho appena preso casa”, ci racconta John, uscendo dalla metropolitana. “Non so più dove girarmi, non trovo lavoro da tre anni, e spero con il suo approdo di poter lavorare con loro. Il problema è che come azienda mi fa schifo, è il futuro sbagliato”, ci racconta invece Darius, appostato alla medesima fermata.
Come ha confermato Andrew Cuomo, “parliamo di uno dei pacchetti incentivi più grossi della storia di New York”, ma nonostante i sogni romantici presto svaniti, “il ritorno sull’investimento sarà comunque di più o meno 9 a 1”, cosa troppo allettante per allontanare la Grande Mela dal fascino hi-tech di un gigante come Amazon.
Ma sono giuste, queste tattiche di corteggiamento, da parte della città? Il Professor Galloway, di NYU Stern, aveva pubblicato una recente figura che illustrava la discrepanza nei pagamenti in tasse di due giganti diversi, Walmart e Amazon. Walmart, il gigante delle catene di supermercati Americane, ha pagato, dal 2008 ad oggi, un totale di 64 miliardi di dollari in tasse, contro i miseri 1.4 di Amazon. La critica, dunque, nasce da questa strana danza che vede la città corteggiare Amazon, e non l’opposto. A riguardo, Galloway ha detto che “se Amazon fosse più orientato su una crescita futura organica, si parlerebbe del loro investimento nella città, non tanto del pacchetto incentivi offerto dalla città a Jeff Bezos”.
Nonostante tutto, il 13 novembre, Amazon annuncia di aver scelto Long Island City e Crystal City come le due sedi per un secondo quartier generale a due fronti, uno a Washington e uno a New York. A questo punto, dunque, rimane da capire solo quali saranno, a grandi linee, gli effetti sulla nostra magica città insonne, e se, effettivamente, il ritorno sull’investimento si potrà avvicinare a quello vociferato dal governatore dello stato di New York.
L’effetto Amazon
Iniziamo proprio da quello che è, per tutti, l’incentivo maggiore: lo sviluppo del talento tecnologico della città di New York. In quanto a output tecnologico, negli USA, la città di New York è dietro soltanto a San Francisco e San Jose. In quanto a brevetti tecnologici, solo le capitali della Silicon Valley sorpassano New York, che a sua volta si trova sorprendentemente sopra altri grandi centri dell’innovazione, quali Boston, Chicago, Washington DC e Los Angeles.
Non è un segreto che l’avvento dell’era digitale ha portato tantissimo del talento tecnologico dell’America (e del mondo) alla Grande Mela, tanto che, in quel di Amazon, già 1,800 persone lavorano a New York. L’arrivo di un quartier generale del gigante della tecnologia più imponente di tutti causerà, con ogni probabilità, l’influsso di tantissimi nuovi esponenti dell’idea tecnologica.
Certo, se guardiamo il fenomeno in sé, quantificandolo soltanto con l’influsso di personale Amazon, il tutto sembra relativamente piccolo. Guardando un diagramma più espansivo, però, l’arrivo di Amazon fornirà le basi tecnologiche che servono ad attrarre le nuove startup e i nuovi business verso la Grande Mela piuttosto che verso le sponde soleggiate della West Coast. La città, che è sempre stata sinonimo di finanza, troverà nuova aria economica cimentandosi più a fondo nello sviluppo tecnologico, cosa che potrà essere capace di contrastare lo smisurato output della California.
Michael Bloomberg, uno dei new yorkers per eccellenza e uno degli uomini più ricchi del pianeta, si è espresso a riguardo con un tweet di supporto, a confermare che “la decisione di Amazon di aprire una location a Long Island City non fa altro che affermare la crescita del tech talent della città”. “Rappresenta inoltre”, dice sempre Bloomebrg, “il successo degli investimenti immobiliari, scolastici, e ricreazioni fatti dalla città di New York per Long Island City”.
.@Amazon’s decision to locate to Long Island City is an affirmation not only of NYC’s growing tech talent, but also of all the investments – in housing, schools, parks, transportation, and culture – that have turned LIC into such a thriving neighborhood. https://t.co/xtLdT2EQqq
— Mike Bloomberg (@MikeBloomberg) November 13, 2018
Il ritorno in sviluppo tecnologico, come dicono anche gli economisti del Wall Street Journal, sarà elevatissimo, e risulterà in un nuovo aumento del capitale umano della città, che sarà non solo maggiore, bensì più propenso alla tecnologia.
Ciò che si fatica a capire, dunque, non è l’impatto sul business locale, poiché pare impossibile rigirare quest’affare sotto luce negativa per la comunità tecnologica di New York. Ciò che si fatica a definire è l’impatto pratico che Amazon avrà sulla città e sui suoi cittadini. Per cercare di capirlo più a fondo, abbiamo fatto delle domande ad Andrea Pedicini, broker immobiliare di CitiHabitats, membro della Real Estate Board of New York, che è stato gentile abbastanza da aiutarci nel capire le conseguenze dell’approdo di Amazon su diversi componenti logistici della grande mela.
Quali saranno le conseguenze per il mercato immobiliare di Long Island City?
“La conseguenza più ovvia in realtà si é già palesata: dall’annuncio di Amazon, la domanda di unit residenziali a Long Island City si è impennata, e di conseguenza i prezzi, con aumenti immediati attorno al 5%. Nel medio lungo termine Long Island City vedrà necessariamente espandere la propria offerta di spazi commerciali, oggi estremamente carente, come pure uno sviluppo della scena culinaria dell’area.”
Quale impatto avrà la nuova sede di Amazon sull’ambiente professionale di New York e Long Island City?
“Credo non ci sia miglior ambasciatore di Amazon per Long Island City e sono sicuro che la presenza del gigante di Seattle rappresenterà un catalizzatore importante per altre realtà da qui ai prossimi anni. L’area ha il potenziale per diventare la Silicon Valley dell’East Coast, a maggior ragione se si tiene conto che Cornell University ha inaugurato un anno fa il nuovo campus della facoltà d’informatica, Cornell Tech, a Roosevelt Island, esattamente di fronte a Long Island City. Il campus è deliberatamente ispirato a Stanford, vera e propria fucina di idee e cervelli della Silicon Valley. Va poi ricordato che altri colossi tecnologici, come Facebook, Google e Twitter, hanno già i propri secondi headquarters proprio a New York, seppur a Manhattan e su scala diversa rispetto a quello di Amazon”.
Come ne risentiranno i trasporti?
“Quasi in concomitanza con l’annuncio di Amazon, e non casualmente, la città di New York ha annunciato un primo stanziamento pari a 180 milioni di dollari, per migliorare, tra le altre cose, proprio il sistema dei trasporti. Le linee della metro operano già adesso a pieno regime durante la settimana, ed ovviamente la situazione non è destinata a migliorare con l’ingresso di Amazon a meno che non vi si ponga rimedio con un piano migliorativo. Per quanto riguarda il traffico su strada, che in città è decisamente peggiorato nel corso degli ultimi anni, complice soprattutto l’espansione di servizi come Uber e Lyft, c’è il rischio che la durata del. “rush hour” si espanda ulteriormente.”
Le conseguenze per il costo della vita: “Aspetti logistici a parte, di cui abbiamo parlato sopra, la pena maggiore per i residenti di LIC sarà legata ad un aumento generalizzato del costo della vita: dai prezzi delle case, agli affitti, dagli alimentari ai ristoranti. Rischia di diventare uno dei casi di gentrification più eclatanti degli ultimi decenni.”
Dunque, le conseguenze del pieno approdo di Amazon, che sarà completo nel 2034, sembrano dipendere quasi interamente dalla velocità e dalla cautela con la quale Amazon si saprà inserire nel complicato ambiente newyorkese. Anche stando alle previsioni più autorevoli, come l’inchiesta del New York Times, una transizione graduale e lenta sarà la chiave di un inserimento propizio. Senza dover porre all’industria dei trasporti dei newyorkesi forzature immediate, aspettando con calma il suo sviluppo, l’impatto di Amazon può effettivamente trasformarsi in qualcosa di positivo. Se, d’altro canto, la transizione fosse troppo frettolosa, il rischio è quello di saturare i trasporti, dividere la città, e dar spazio, lì sulle acque calme dell’East River, un gigante temuto e malvisto.