Da molti mesi, ogni volta che il governo Renzi si è vantato di qualche pur misero risultato, c’è stata una pioggia di voci e di articoli che, facendo riferimento a dati “ufficiali”, lo smentivano. Più di un analista ha cercato di capire in che modo il premier e il suo entourage ricavassero i numeri che poi venivano inseriti nei comunicati stampa o proclamati come performance del governo. Nei giorni scorsi, a porsi questa domanda non è stato, però, il giornalista di turno, ma una fonte ben più autorevole. In una intervista al Il Fatto Quotidiano, il presidente dell’ISTAT, Giorgio Alleva, ha pronunciato parole che pesano come massi sul collo del governo e di molti dei suoi uomini: “Quelli forniti dal ministero del Lavoro e dall’Inps sono dati di fonte amministrativa, non statistiche”, ha detto a proposito dei numeri dati dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, e dal Matteo Renzi sui nuovi occupati. Non contento è andato oltre: “Valutare il saldo tra attivazioni e cessazioni dei contratti come se fosse un aumento di teste, cioè di occupati, è una approssimazione non accettabile”.
Uno sfogo, quello di Alleva, che, forse, è giustificato dal fatto che da mesi e mesi l’Istituto Superiore di Statistica è costretto a continue correzioni e rettifiche. Solo pochi giorni fa l’Istituto ha dovuto correggere le parole degli uomini del governo e dire che, per il quarto anno consecutivo, la produzione industriale è in “rosso”. E questo in barba ai numeri dati da Renzi. Nonostante i vanti del premier, infatti, il rischio è che l’anno si concluda ancora con segno negativo, ovvero, in recessione (nel migliore dei casi si avrà stagnazione di certo non crescita). Una prospettiva certo non allettante specie se si tiene conto dei sacrifici imposti dal governo agli italiani.
Altra smentita ad aprile. Anche allora l'ISTAT è stato costretto a smentire i numeri dati da Renzi e affermare che la pressione fiscale (contrariamente a quanto previsto dalle norme sul federalismo fiscale) non è diminuita, ma anzi continua ad aumentare (ha raggiunto il 50,3 per cento alla fine del 2014 con un aumento rispetto all'anno precedente di un punto base). E prima, a gennaio, l’Istituto di Statistica aveva dovuto smentire le dichiarazioni del ministro dell’Economia, Padoan, a proposito della variazione del rapporto deficit/PIL: nei primi nove mesi del 2014 si è attestato al 3,7%, in peggioramento di 3 decimi di punto percentuale rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
La verità è che, da oltre un anno, ogni volta che il governo ha tirato fuori i suoi numeri (e si è vantato di risultati in realtà mai ottenuti), l’ISTAT è stato costretto a pubblicare le dovute smentite e “correzioni”: i numeri che uscivano dalla bocca di Renzi e dei suoi ministri non sembrava avessero molto a che vedere con i dati “ufficiali”, quelli ricavati da enti come l’ISTAT o quelli diffusi da decine e decine di blasonate organizzazioni internazionali.
“Il governo fa il suo mestiere, ma a me preoccupa molto quando si sbandierano dati positivi dello 0,1 per cento anche perché poi come si è visto portano a fare dietrofront il mese dopo”, ha detto Alleva. E, parlando del Jobs Act, ha aggiunto: “Ad oggi gli effetti non appaiono straordinari, sembrano esserci soprattutto sulle stabilizzazioni dei contratti precari, che comunque non è poco”. Anzi, secondo il presidente dell'ISTAT, i risultati, specie per quanto riguarda il progetto europeo Garanzia Giovani, non sono stati all'altezza delle aspettative: “I risultati non ci sono stati. Le cose vanno fatte bene, e vanno trovati forse altri strumenti, come per esempio il reddito minimo”.
Da anni gli italiani vengono infatuati con promesse fatte da governi che poi, per giustificare il proprio operato, danno i numeri. Numeri che, però, spesso sono lontani dalla realtà. Chi non ricorda le promesse fatte da Berlusconi e il famoso “contratto con gli italiani”. Oppure Monti, il “Professore”, quello che avrebbe dovuto salvare l’Italia e che poi, invece stando ai numeri (quelli veri) è stato costretto a rassegnare le sue dimissioni dopo aver peggiorato le cose. Ora è la volta di Renzi, il nuovo che avanza, quello che avrebbe dovuto risollevare le sorti del Partito Democratico e del Belpaese. E, come i suoi predecessori, è stato smentito dai numeri: in solo un anno è riuscito a far perdere diversi punti di share al proprio partito (rispetto ai dati delle ultime europee – di cui lui stesso si è sempre vantato – dato che, in realtà, lui non è mai stato eletto al Parlamento).
Quanto all’Italia pare proprio che, da quando c’è “lui” al governo, la situazione non sia migliorata. E, ora, a dirlo è proprio la fonte più autorevole: l’ISTAT.