Chi governa l’Italia? Una domanda che da molti, troppi anni, tormenta gli italiani, ma che, forse, grazie alla decisione presa dal governo nei giorni scorsi, ha finalmente trovato una risposta. Quale sia la situazione dell’economia del Paese è chiara a tutti: indipendentemente dalle dichiarazioni e dalle affermazioni dei vari esemplari di Homo politicus, la realtà è palesemente tutt’altro che rosea. La crisi aumenta, le misure imposte dal governo a colpi di fiducia finora non sono servite molto (anzi forse sarebbe meglio dire che non sono servite a niente), la disoccupazione rimane a livelli storici nonostante le promesse fatte con il Jobs Act e la credibilità del governo è in picchiata (lo hanno dimostrato le ultime elezioni). Restava un solo e unico dubbio: se non sono servite a risollevare l’economia del Paese, a cosa sono servite le misure introdotte nell’ultimo anno? Ieri è stata data la risposta a questa domanda.
Il governo ha deciso di rinviare l’approvazione di atti importanti (come l’azione nei confronti del neo presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca (nella foto, a sinistra, con Renzi), incandidabile o ineleggibile – poco importa – dicendo che è in attesa di conoscere la “procedura da seguire”). Ieri il governo Renzi ha deciso di rimandare anche l’approvazione dei cinque decreti attuativi della delega fiscale. Decreti importanti per gli italiani e le ‘casse’ dello Stato: dalla stima e monitoraggio dell’evasione fiscale alla la revisione del sistema sanzionatorio, fino alla riforma del Catasto (forse perché è troppo rischioso far lievitare le rendite violando la delega). L’intenzione del governo è di rinviare a dopo il varo della local tax (negli ultimi anni è diventata prassi comune cambiare nome a tasse e imposte per nascondere l’aumento del carico fiscale). Anche l’annosa questione del riordino del settore delle scommesse è stata messa da parte: dopo la sanatoria regalata alle imprese (spesso con sede all’estero) che operavano senza autorizzazione, si tratta di un rinvio che potrebbe rendere vana ogni azione nei confronti delle multinazionali del gioco. Il governo si è giustificato affermando che “i testi non erano perfettamente limati e abbiamo preferito rimandarne l’approvazione”.
L’unico a non aver bisogno di “limature”, casualmente, è stato il decreto a favore delle banche. Un decreto che prevede misure dedicate alle banche e al recupero crediti. “Le misure approvate – si è giustificato il ministro dell’Economia, Padoan – hanno a che fare con la necessità di rimettere in moto il mercato del credito che attualmente risente del peso dei crediti deteriorati”. Non è chiaro se il ministro, parlando di credito, si riferisse a quello delle imprese in generale o a quello destinato ai cittadini (nonostante la montagna di miliardi di euro erogati dalla BCE e dallo Stato alle banche, negli ultimi anni alle microimprese e ai cittadini sono state concessi prestiti solo per pochi spiccioli) o a quello destinato alle stesse banche.
Leggendo il decreto, infatti, è evidente che molte delle misure favoriranno direttamente gli istituti bancari. Ad esempio, al fine di aumentare le possibilità di risanamento delle aziende bancarie in crisi, il Tribunale potrà autorizzare “finanziamenti interinali” anche in assenza dell’attestazione di un professionista, basterà sentire i “creditori principali”. Creditori che saranno favoriti anche in un altro modo: laddove questi rappresentino almeno la metà dell’indebitamento aziendale (e fermo restando il pagamento integrale dei creditori non finanziari), sarà possibile la conclusione dell’accordo con il 75% dei creditori finanziari. Il decreto appena approvato prevede anche il regime di deducibilità ai fini Ires e Irap delle svalutazioni dei crediti e delle perdite sui crediti delle banche, degli enti finanziari e delle imprese di assicurazione, attraverso l’introduzione (in luogo della deducibilità annuale pari ad un quinto), della deducibilità “integrale” delle componenti negative di reddito nell’esercizio in cui sono rilevate in bilancio.
Ma non basta. Per velocizzare le procedure (e per scongiurare il fallimento delle banche indebitate) le offerte per l’acquisto dei beni potranno essere presentate oltre che dal debitore, anche da terzi. Tutte misure che, in un modo o nell’altro, favoriscono gli istituti finanziari e la banche. Misure che sono ben diverse da quelle che, invece, sono riservate alle altre imprese, quelle “normali”, che per lo Stato possono anche fallire e lasciare in mezzo ad una strada decine anzi centinaia di dipendenti. O, nel migliore dei casi, essere comprate da qualche imprenditore cinese che imporrà le proprie regole ai lavoratori (anche grazie alle leggi varate dal governo).
Ma c’è anche un altro motivo che spiega tanta urgenza. Con questo decreto il governo ha cercato di compensare il ritardo di Bruxelles nel concedere il via libera per la creazione della bad bank nazionale, lo strumento da tempo nel cassetto del governo per aiutare oltre modo le banche a disfarsi dei crediti deteriorati e a maggior rischio, caricandone, anzi, meglio, “scaricandone” i rischi sullo Stato e, quindi, sui cittadini.
Quello approvato in fretta e furia dal governo (e senza bisogno di “limare” alcunché) forse è solo l’ennesimo aiuto del governo Renzi ad alcune aziende (le banche) in crisi. Aziende nei cui depositi non ci sono “merci” da vendere o prodotti da offrire al mercato: c’è solo spazzatura, anzi “titoli spazzatura”, quelli che gli anglosassoni chiamano “junk bond”, carte piene di codicilli, di notarelle e di numeri, ma che non valgono in centesimo dato che non sono basati su alcun corrispettivo e che i clienti non possono più onorarli. (sopra, a destra, il Ministro dell'Economia, Padoan)
Un’urgenza, quella del governo Renzi di aiutare le banche, che forse permetterà loro di non finire sotto la mannaia della Commissione Europea che solo pochi giorni fa ha fatto dei rilievi e ha chiesto chiarimenti sul meccanismo dei crediti di imposta (Deferred tax assets) concessi agli stessi istituti bancari a fronte delle perdite registrate quando un debitore non ripaga il dovuto.
Come ha ammesso serenamente lo stesso Padoan che (a proposito della possibilità di ridurre i tempi di riscossione dei crediti e di dedurre le perdite da tasse, Ires e Irap, in un solo anno) ha detto: “Fino a oggi le banche che avevano questi crediti potevano beneficiarne in 5 anni. Questo costituiva un congelamento dei capitali delle banche. D’ora in poi questi crediti possono essere goduti nell’anno in cui emergono. Questo accelera decisamente l’aggiustamento dei bilanci delle banche e favorisce la ripresa del credito”.
Il ministro Padoan non ha spiegato come mai il governo non abbia pensato di concedere la stessa attenzione anche ad altre imprese in difficoltà. Tanto più che, molto spesso, i crediti avanzati dalle imprese sono dovuti proprio alla pubblica amministrazione: secondo gli ultimi dati ufficiali, il credito delle imprese nei confronti dello Stato e degli altri enti pubblici ammonterebbe ad una cifra tra i 60 e gli 80 miliardi di euro. Stranamente, però, nessuno si è affrettato a parlare di compensazione per queste imprese.
La verità è che la misura varata dal governo, che pure è stata giustificata con la motivazione che dovrebbe favorire il credito ai provati e alle microimprese, in realtà non offre alcuna garanzia che ciò avverrà realmente. Del resto, era stata fatta la stessa promessa con le centinaia di miliardi erogate dalla BCE alle banche locali e poi in occasione dell’avvio del quantitative easing (senza contare che la liquidità, visti i bassi costi, è quasi a costo zero per le banche, cosa che favorisce non poco la concessione di prestiti).
Nei giorni scorsi il governo si è affrettato a varare una misura per far fronte alle emergenze di un solo settore: quello bancario. Un settore che, come dimostrano i dati i dati resi pubblici proprio due giorni fa (ma guarda che coincidenza) dal membro italiano del consiglio di vigilanza della BCE, Ignazio Angeloni, presenta rischi nel 17% delle esposizioni totali delle banche italiane, più del doppio della media Ue.
Se le banche fossero una normale azienda o un soggetto privato nessun ente concederebbe loro un centesimo di prestiti. Ma le banche, anzi alcune banche, non sono imprese come tutte le altre. Come è avvenuto con il Monte dei Paschi di Siena (MPS) e come è stato confermato dallo Stress Test della BCE, le banche soffrono per le conseguenze del loro modo sbagliato di speculare e di gestire i depositi dei clienti. Un modo di operare che ha reso molte banche troppo “sofferenti”. Per questo, il governo non si è fatto attendere ed è corso in loro aiuto (con i soldi degli italiani). L’ennesima dimostrazione, se ancora ce ne fosse bisogno, di come realmente vanno le cose in Italia.