Nel suo ultimo libro, La società a costo marginale zero, l’economista e politologo statunitense Jeremy Rifkin prevede che entro il 2050 il capitalismo sarà spodestato dalla cosiddetta sharing economy, l’economia della condivisione. Oltre il 40% dell'umanità produce ormai la propria musica, i propri video e altri tipi di informazioni ad un costo marginale prossimo allo zero. Non c'è bisogno di stare in un hotel o comprare una macchina, perché è possibile collegarsi via Internet con migliaia di persone disposte a prestare le proprie case o i propri veicoli ad utilizzatori occasionali. Ma si possono anche condividere viaggi in taxi in compagnia di altre persone conosciute solo cinque minuti prima, elettrodomestici e qualsiasi oggetto che si intende buttare o che viene usato in media non più di 40 minuti lungo l’intero arco della sua vita, come un trapano. Il Tir-Sharing invece permette agli autotrasportatori di non viaggiare mai a vuoto e ai privati di risparmiare sui costi di spedizione e trasloco, mentre aumentano i condomini che condividono dalla badante al personale di servizio.
Che si tratti di “sharing”, di “bartering” (il baratto tra privati ma anche tra aziende) o di “crowding” (il finanziamento dal basso senza l'intermediazione di banche o altri istituti di credito) “what’s mine is yours” è l’idea che, ormai secondo tanti esperti, cambierà l’economia e la società. Con le sfumature del caso, la filosofia di base è questa: i proprietari fanno soldi da beni sottoutilizzati che gli utilizzatori non si possono permettere di acquistare. E se la moneta è la fiducia, sono i potenti social network a mettere al bando chi non rispetta le regole della condivisione.
Tutto è iniziato negli Stati Uniti 15 anni fa, ma è con Airbnb che il fenomeno della condivisione si è diffuso ad una velocità vertiginosa. Fondata a San Francisco nel 2008 da tre studenti universitari della Silicon Valley in California, la piattaforma grazie alla quale si affitta casa propria a sconosciuti è valutata come una delle start-up più ricche del mondo con più di quattro milioni di iscritti in 35.000 città e 192 paesi del mondo. In Italia, dove l’economia collaborativa richiama esperienze di lunga tradizione, dal mutualismo alle cooperative fino alle imprese sociali, secondo una recente ricerca di Duepuntozero Doxa, il 13% di persone sta già utilizzando i servizi dell’economia collaborativa come BlaBlaCar (car pooling), Eppela e Smartika (crowdfunding), Fubles (calcetto). Ma accade altresì che in mancanza di una definizione “condivisa”, sotto lo stesso cappello ricadono pratiche molto diverse tra loro o che si discostano dalle logiche strettamente collaborative. Come i servizi di car sharing Car2Go ed Enjoy, dove il bene condiviso è messo a disposizione da un’azienda e non dai privati. In Italia le compagnie italiane di auto a noleggio hanno invaso le strade di Milano, Roma, Bologna, Venezia e Genova di Smart bianche bordate d’azzurro, Fiat 500 rosse e Volkswagen up! blu, e così il fenomeno s'è fatto di massa. Un’app installata sullo smartphone o sull’Iphone consente a chiunque di vedere dove è parcheggiata l’auto più vicina, di prenotarla e riportarla nello stesso posto dove è stata presa, anche se in alcuni casi, con la formula one way, la si può restituire in un parcheggio diverso.
Internet delle cose, consumo collaborativo, peer to peer renting, sono tra le declinazioni della sharing economy in tempi in cui, come fa notare il giornale inglese The Economist, “l’accesso vince sul possesso e un numero crescente di persone inizia a percepire la proprietà come un limite, un qualcosa di obsoleto oltre che poco conveniente”. Ma non è solo una questione di risparmio economico. Ad esempio gli italiani che accedono ai servizi di car sharing si dichiarano entusiasti di condividere e fare scelte etiche ed ecosostenibili certi che noleggiare un veicolo invece di comprarlo contribuisce alla riduzione dell’inquinamento atmosferico ed acustico. “Una nuova economia che unisce business ai principi di solidarietà che hanno sempre fatto parte della storia dell'uomo. Uno su tutti, l'idea di comunità”: è il mantra della sharing economy.
Ma non è tutto oro quello che luccica. Al di là delle barriere culturali, due ricerche, una statunitense, una italiana, hanno rivelato come la maggioranza dei possibili utenti non abbia ancora fiducia in questo nuovo modello economico, i detrattori dell’economia condivisa sostengono che non c’è niente di rivoluzionario nel nuovo modello di business in quanto la tecnologia ha consentito di replicare vecchi schemi di accesso privilegiato ai beni e sevizi. Ma l’aspetto più controverso rimane l’assenza di una specifica normativa in materia di tutela del consumatore, concorrenza sleale nei confronti delle imprese tradizionali e tassazione dei profitti maturati. Su questo punto una proposta concreta (e molto controversa) arriva da New York dove si sta discutendo l’ipotesi di far pagare la tassa di soggiorno a chi affitta la propria abitazione tramite il servizio Airbnb.