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July 9, 2013
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July 9, 2013
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A chi appartiene il Made in Italy?

Riccardo GiumellibyRiccardo Giumelli
Time: 4 mins read

Il Made in Italy è il terzo brand più diffuso al mondo, dopo quelli di Coca Cola e  Visa. Così si scrive nel sito del Ministero degli Esteri Italiano. Forse, questa   classifica andrebbe un po' rivista, soprattutto con la diffusione, per citarne alcuni, di brand come quelli di Apple o Facebook. Siamo convinti, tuttavia, che il nostro Made in Italy rimarrebbe nella parte alta di tale classifica. Basta dare un'occhiata su google:  il Made in Italy ha 540.000.000 links, che paragonati a quelli correlati di Made in China (1.220.000.000) oppure Made in Usa (764.000.000), quest' ultimi relativamente più numerosi se si guarda alla quantità della produzione, ci danno un'idea della  sua diffusione.

Il termine Made in Italy nasce e si sviluppa negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso in concomitanza con il miracolo economico italiano. All’inizio fu soprattutto un’etichetta affibbiata dagli altri paesi europei, in particolar modo dalla Francia, dalla Germania e dalla Gran Bretagna per evidenziare la provenienza della produzione non interna. Ma ben presto da mero fatto geografico diviene un brand, capace di evocare un'idea di saper vivere, saper essere e saper fare.

La facilità con cui il Made in Italy diventa evocatore di altri e più profondi e radicati significati, soprattutto di natura culturale, non deve apparire come un fatto spontaneo. Viene da lontano, dalla lunga tradizione della cultura italiana, frutto di contaminazioni e ibridizzazioni tipiche tra cultura, arte, capacità manifatturiera, senso estetico, territorio, genius loci, artigianato, memoria storica ecc…, capace di costruire eccellenze.

Da un recente studio della KPMG (una multinazionale di servizi per le imprese tra le più rinomate), gli stranieri associano ai termini Made in Italy valori come estetica, bellezza, lusso, benessere, passione, creatività. Non vengono contemplati fattori come la tecnologia e l’innovazione. Made in Italy significa prodotti della moda, dell’alimentare e dell’arredamento, mentre sono poco percepite la robotica e l’elettro

Ma oggi è sempre così o sta cambiando qualcos'altro? Il tema è molto complesso, necessiterebbe di approfondimenti e ben più lunghe argomentazioni. Ci limitiamo, tuttavia, ad annotare che i processi della glocalizzazione stanno ridefinendo i significati del Made in.. Stanno cioè deterritorializzandolo, in quanto i prodotti sono sempre più una produzione transnazionale dove intervengono saperi, compentenze, manodopera difficilmente localizzabile in un solo posto o comunque in persone di una sola nazionalità. Non solo e non tanto un Made in, ma in pratica un Made through.

I grandi stilisti italiani si avvalgono di collaboratori di varie nazionalitá, mandano i loro prodotti a tagliare e cucire da qualche parte nel mondo per poi farli tornare in Italia, pronti ad essere confezionati. Per non parlare dei diffusi processi di delocalizzazione imprenditoriale in paesi dove strutture e manodopera sono meno onerosi. Aggiungiamo poi tutto quel mondo che italiano non è ma che vende e promuove il Made in Italy. È notizia di questi giorni che la famosa pasticceria Cova di Via Montenapoleone a Milano è stata comprata da i francesi della Lvmh (http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/13_giugno_27/pasticceria-cova-via-monte-napoleone-venduta-louis-vuitton-2221873397110.shtml), che "non cambierà", sostengono i compratori, seppur aumenterà la propria presenza nel mondo. I francesi che vendono il Made in Italy, quindi. D'altra parte lo fanno già con l'acquisizione di marchi nostrani come la Perugina, la Buitoni, Loro Piana, Bulgari, Brioni ecc.. Per non parlare di tutto quel mondo non italiano che vende da subito italiano. In qualche modo lo ha fatto Howard Schultz con Starbucks dopo un viaggio in Italia o ancor più la Caffè Nero, londinese, che, basta vedere il sito per farsi un'idea, vende un'idea di Italian way of life: caffè, convivialità, gusto, sensualità, estetica.

Insomma, chi sono i padroni del Made in Italy? Di certo non si trovano solo in Italia. È per questo che le tradizionali categorie che lo definiscono possono essere messe in crisi. Anche l'idea che si sta diffondendo in questo periodo di prodotto full made in Italy, cioè fabbricato dall'inizio alla fine in Italia, mi sembra un'operazione di resistenza a forze enormenente più grandi, quelle del business globale.

In tutto questo, che al momento appare una giungla difficile da chiarire, alcune riflessioni di Giuseppe Prezzolini mi sembrano diventare ancore di saggezza capaci di riannodare i fili : "La fama dell’Italia è oggi grande nel mondo per la seduzione del suo sistema di vita, che non è codificato in nessun libro ed aspetta uno scrittore che lo raccolga dagli esempi di molte vite, antiche e contemporanee. Chi ha formato questa fama? Non i retori, non i letterati, non gli uomini politici, non certo i generali e gli ammiragli, non gli amministratori e nemmeno i preti cattolici, che pur certamente son un prodotto genuino della civiltà italiana. Se mai la fama si deve ai narratori, ai poeti, ai pittori e scultori ed architetti, agli attori, ai cuochi ed ai sarti, agli sportivi, ai sommozzatori ed agli aviatori, alle donne innamorate ed agli amanti italiani, alle belle donne del cinematografo ed ai guaglioni della strada…La massa crescente dei turisti rappresenta una votazione internazionale in favore degli italiani. Nutrono quelli per gl’Italiani un certo amore senza stima, ricambiato da parte degli Italiani con una esagerata valutazione accompagnata da un non soverchio amore."

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Riccardo Giumelli

Riccardo Giumelli

Un aforisma che più di altri mi rappresenta è quanto scrisse Machiavelli, citando Boccaccio: “che gli è meglio fare e pentirsi, che non fare e pentirsi”. Come loro sono toscano, animo inquieto in cerca di porti per approdare e ripartire. Dopo gli studi in Scienze politiche, ho iniziato ad amare i libri, fare ricerca e scrivere, al punto da rimanere nell’Università, prima Firenze poi Trento. A Dijon e poi a Parigi, ho lavorato alla Camera di Commercio italiana e all’OCSE. Tornato in Italia, sono approdato a Verona, dove faccio ricerca e insegno. Intanto un matrimonio e due splendide gemelline. Mi occupo di sociologia, cultura e comunicazione. Tra tanti nuovi inizi e altrettanti epiloghi, una costante: ho sempre tifato Inter. Infatti soffro di stomaco.

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